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“Meglio morto che frocio”, quando i figli finiscono in ospedale

A poche ore dal Pride dello Stretto, una storia che viene dal passato ma simile a tante che se ne leggono ancora oggi. Perché l'omosessualità in famiglia è ancora una sfida irrisolta. Come spiega l'Agedo. Che consegna un vademecum per vincere le paure

Era il mese di agosto del 1993. Oggi, se non è stempiato, avrà di certo tutti i capelli bianchi. Allora invece aveva una zazzera castana, i boccoli che sfioravano il collo.

Accanto al lettino dell’ospedale, una spazzola, una crema e una pochette con i trucchi. Così ha potuto incipriarsi un po’ prima di farsi fare una foto per il giornale scattata dal mitico Oskarino, quel Fernando Carciotto che ci ha lasciato un paio di anni fa e che era capace di fotografare anche dal buco della serratura, una vera garanzia per i giornalisti alle prime armi.

Ma questa è un’altra storia.

Quella che vogliamo ricordare oggi è quella di un ragazzo che nel ’93, quando aveva l’età di Cristo, finisce sulle pagine dei giornali perché  portava la croce di vivere anni non teneri con gli omosessuali.

Su quel lettino di ospedale soffriva per le ferite al braccio e all'addome ma pativa ancora di più perchè quei proiettili erano stati sparati, così almeno era sembrato in un primo momento, per ordine di suo padre che preferiva vederlo morto piuttosto che “frocio”.

Sì, perché Giuseppe – di cui non ricorderemo il cognome - viveva in un piccolo comune della provincia di Messina. 

E come nella canzone di Pino Daniele  è nu buono guaglione, fà 'a vita 'e notte sott'a nu lampione.

E sotto un lampione, due killer “improvvisati” a bordo di una Fiat Uno gli si avvicinano. Gli sparano il primo colpo al volto da vicino senza beccarlo tanto che Giuseppe crede che si tratti di una pistola giocattolo. Poi tornano indietro e partono altri due colpi che stavolta vanno a segno: uno gli perfora il gomito, l’altro il fegato. Gli spari richiamano l'attenzione di molti automobilisti.

Arrivano le ambulanze. Un lungo intervento chirurgico gli salva la vita. Quella sera in ospedale ci sono anche i parenti, compreso il papà che piange "come una vite tagliata". Ma pochi giorni dopo il colpo di scena: Giuseppe ha riconosciuto uno dei killer dagli occhi, perché era strabico. E da lì, a cascata, si ricostruisce tutto e  finiscono agli arresti. Papà compreso. Che verrà prima condannato in primo grado e poi assolto in appello perché – secondo la Corte d’assise - non avrebbe dato l'incarico né di uccidere né di sparare ma “solo” di dare una lezione, impaurendo quel figlio che tutte le sere si travestiva per andare sui marciapiedi della zona.

Giuseppe, comunque, aveva giurato: “Non lo perdonerò mai. Un uomo che arriva a fare quello che ha fatto mio padre non si può perdonare”.

Chissà se ha mantenuto questa promessa. E chissà oggi quanto sarebbe contento di stare in mezzo al corteo contro tutte le discriminazioni.

Ventisei anni dopo. Gli stessi anni  che ha compiuto l’Agedo, l’associazione che  raccoglie e sostiene genitori, parenti e amici di omosessuali, bisessuali e transessuali. Sul sito dell’associazione è disponibile anche un vademecum che può aiutare alcuni genitori ad affrontare questa consapevolezza. Perché ancora oggi, lo hanno spiegato ad uno degli eventi collaterali al Gay Pride dello Stretto che si svolge oggi a Messina, accettare l'omosessualità di un figlio o una figlia è ancora una sfida irrisolta e difficile da affrontare per molti genitori. E la chiusura è ancora più decisa quando si tratta di transessuali.

Oggi, ventisei anni dopo, tante cose sono cambiate. Ma le storie di figli uccisi, accoltellati o scacciati via perché omosessuali, riempiono ancora le cronache dei giornali. E ci vogliono tanti Gay Pride prima di poter “uscire poi per strada e gridare so’ normale...”. Tanti. E partecipati. Messina vi aspetta. Oggi. Concentamento alle 16.30 in piazza Antonello. Partenza 17.30.

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