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Redazione

Alluvione a Giampilieri dieci anni dopo, tra i cortei degli studenti e la “Memoria nel fango”

Oggi la presentazione delle iniziative in ricordo di una immane tragedia mentre i giovani scioperano per il Global Strike For Climate. In un territorio ancora ferito e agonizzante, come lo raccontava il medico-scrittore Beppe Ruggeri pochi giorni dopo quel maledetto 1 ottobre

Saranno presentate stamattina, nel corso di una conferenza stampa nella Sala Falcone Borsellino di Palazzo Zanca, le iniziative promosse dall’Amministrazione comunale in occasione del decimo anniversario dell’alluvione di Giampilieri. All’incontro con l’assessore alla Protezione Civile Massimiliano Minutoli, prenderanno parte il presidente del Consiglio comunale Claudio Cardile, il consigliere Biagio Bonfiglio, il presidente della I Circoscrizione Giovanni Scopelliti, il direttore artistico Milena Freni, i presidenti Fulvio Manganaro del comitato “Salviamo Giampilieri” e Donatella Manganaro dell’associazione “Giampilieri 2.0”, la dirigente dell’istituto comprensivo Santa Margherita Fulvia Ferlito, per il dipartimento regionale di Protezione Civile Bruno Manfrè, il geologo Biagio Privitera del servizio di Protezione Civile della Città metropolitana, l’esperto comunale di Protezione Civile Antonio Rizzo, e per l’Università degli Studi di Messina Filippo Grasso e Jenny Gioffrè.

Il calendario degli eventi prenderà il via domenica 29 e si concluderà martedì 1 ottobre per ricordare una delle tragedie più feroci che ha colpito Messina e che vedrà tante iniziative in campo per non dimenticare. 

Non dimenticare di Giampilieri, e di Scaletta, e di tutte le comunità  sommerse da un mare di fango in quel terribile 1 ottobre 2019.

Un momento particolarmente buio della nostra storia, un momento in cui si è percepito, con sinistra nitidezza, lo stridente contrasto tra evoluzione scientifica e involuzione civile.

Perché proprio quando il progresso sembra elevare la società a vette vertiginose, ci si accorge che tale progresso, per motivi inspiegabili, non ha tutelato l’uomo, travolgendolo. Un tema portato in piazza oggi anche con il corteo Fridays for Future che coinvolge tanti studenti in tutta Italia nel Global Strike for Climate. 

“La memoria nel fango” è il titolo di un lungo articolo pubblicato da Giuseppe Ruggeri su Centonove, a una settimana dall’evento. Un articolo che viene riproposto a dieci anni dall’alluvione. Per riflettere su tutto questo.

La memoria nel fango

Giuseppe Ruggeri-2di Giuseppe Ruggeri

“Il resto è silenzio” è la frase che chiude l’Amleto di Shakespeare dopo che la tragedia si è consumata. Si è consumata giungendo fino al punto del non ritorno. Un punto posto in un luogo oscuro dello spazio e del tempo. Quale potrebbe mai essere questo luogo? Se lo saranno chiesto in molti, in quel pomeriggio di furia ciclonica, mentre gli automezzi galleggiavano in due metri buoni di poltiglia terrosa, e i detriti s’accumulavano, a montagne s’accumulavano formando dune colline montagne che sommergevano le case, affossandole, diroccandole. Un ammasso convulso che avrà ricordato il peggiore dei gironi infernali.

Ma nei gironi dovrebbero finirci i malvagi. Non certo gli innocenti. Quanti innocenti ci saranno stati in quella marea montante di persone che correvano da tutte le parti cercando di sfuggire al fiume di fango che nel frattempo precipitava giù dall’alto, dal cielo e dalla terra precipitava?

Chi può saperlo. Forse tutti lo erano, in fondo, incolpevoli, perché spesso si è vittime di un sistema che è difficile, a volte impossibile arginare. Esattamente come la furia ciclonica e incontrollabile che si abbatteva sul villaggio di Giampilieri e sul comune di Scaletta Zanclea, tra i tanti – anzi tantissimi – brandelli di storia e tradizioni presenti nel nostro territorio.

Un territorio ferito. Ferito e agonizzante. Un territorio che, nell’ultima lotta intrapresa contro la morte, ha tentato disperatamente di riprendersi ciò di cui la pervicace e sconsiderata opera antropica l’aveva privato. Così è stato per gli alvei dei torrenti non risparmiati dall’espansione edilizia la quale, ostruendo i punti di deflusso delle acque, ha man mano creato una serie di “tappi” con la conseguente formazione di vere e proprie frane di fango. Un fango irrefrenabile che, in uno scenario pompeiano, ha inseguito per ore la popolazione costringendo alcuni a rifugiarsi sui tetti delle case, altri a precipitarsi fuori dalle macchine lanciandosi nelle vie a cercare riparo, altri, purtroppo, a soccombere sepolti dalle ondate che, a più riprese, hanno travolto l’abitato.

“Il resto è silenzio”. Chiuse le porte e le finestre, la frazione di Giampilieri è adesso un villaggio fantasma. Là dove c’era una piazza con l’antica chiesa è una montagna di detriti, il reticolato medievale di viuzze è pressoché scomparso, sostituito da un unico terrapieno di fango che sfiora i tetti delle case rimaste ancora in piedi. La protezione civile e i vigili del fuoco si danno da fare per evacuare le abitazioni, non è un compito facile, l’attaccamento alle radici spesso è più forte della sventura, i sopravvissuti sono come uccelli che non vogliono essere privati del proprio nido, ancorché sospeso pericolosamente in cima all’albero. Emana da quel deserto una sensazione irreale, come se da un momento all’altro tutto dovesse tornare come prima, i luoghi, le situazioni, le cose. Perché tutto questo fa parte di noi, del nostro esserci, e non può si può ammettere che cambi. Che il cordone a un certo punto si recida e ognuno vada incontro al suo destino.

Riesce difficile accettare un evento di tale portata, che pure ha avuto i suoi illustri precedenti in Italia, basti ricordare, per tutti, il crollo della diga del Vajont (1963) e l’alluvione di Sarno (1998). E. per restare da noi, proprio a Giampilieri il 25 ottobre 2007 una frana provocò danni per 11 milioni di euro, fortunatamente però senza fare vittime. Nel Mezzogiorno, secondo uno studio del Cnr, più del 60% del territorio è a rischio di frane, a causa della maggiore incidenza, rispetto alle altre regioni, del dissesto idrogeologico.

Nell’editoriale del “Corriere della Sera” dello scorso 3 ottobre, dall’eloquente titolo “Senza memoria”, Paolo Conti scrive che, in buona sostanza, la nostra è una nazione che non fa tesoro della memoria collettiva, “quella capacità, in altri Paesi diffusa e radicata, di ricordare i disastri, metabolizzarli, trasformarli in materia sociale e politica di nazione civile; cioè esperienza, saggezza amministrativa, lotta all’abusivismo e alla cementificazione selvaggia, consapevole azione preventiva”. Meno di dieci anni fa, dalle stesse colonne seppure in un contesto diverso, Indro Montanelli si dichiarava del medesimo avviso. Asseriva che l’Italia non ha memoria, probabilmente non vuole averne perché tutto sommato non giova averne.

Quanti lo ricorderanno? Mi auguro altri, oltre che me. Ma non ci spero tanto. E, soprattutto, credo che una città come la nostra, dove l’identità rappresenta sempre più una chimera, debba fare tesoro di una tragedia che l’ha innalzata – ignominiosamente, c’è da dire – agli onori della cronaca. Questo potrebbe essere il modo migliore per imprimere un brusco e decisivo cambio di direzione in ambito di gestione del territorio. Almeno dalle nostre parti, dove le urgenze sono diventate emergenze e il criterio di discernimento del grado di rischio ha subito un pericoloso appiattimento verso il basso. Non sono un tecnico e non credo di avere alcuna competenza in merito a cosa si potrebbe fare per intervenire con tempestività ed efficacia con misure che cautelino questo nostro territorio notoriamente instabile, ma credo che applicarle contribuirebbe a sciogliere alcuni nodi di quel “male oscuro” che continua a divorare Messina e la sua provincia. 

Centonove 9 ottobre 2009

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