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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Argimusco, quelle pietre testimoni della civiltà megalitica tra contemplazione e misteri

Girato a Montalbano Elicona il video di “Torneremo ancora”, l’inedito di Franco Battiato, ci riporta tra i “magici” Menhir. La forma più elementare dell’opera dell’uomo sulla terra la cui sacralità ancora oggi suggestiona

Girato in Sicilia, tra l’Etna e i menhir dell’altipiano dell’Argimusco, a Montalbano Elicona, l’ultimo video di “Torneremo ancora”, l’inedito di Franco Battiato contenuto nell’omonimo album uscito recentemente. Un luogo caro a Franco Battiato l’Argimusco, tra densità spirituale, contemplazione e misteri.

Quando l’uomo apparve sulla terra era un essere smarrito, disorientato. Prima cercò rifugio nelle grotte, si intanò come fanno tutti gli animali, là dove non trovò grotte scavò la roccia per rifugiarsi.

Poi affrontò gli spazi aperti alla ricerca di cibo e di altre risorse, esponendosi a gravi rischi esistenziali, come quello di perdersi, soprattutto in ambienti naturali dove non c’erano sono punti di riferimento ricorrenti, come le pianure o gli altipiani. Questo gli procurava angoscia: Il terrore di smarrirsi e di non poter ritornare nel proprio rifugio. Soprattutto di non tornare in tempo e restare a brancolare nel buio. Un grave rischio che gli metteva una paura cosmica.  

Così concepì che per muoversi in certi ambienti toccava a lui costruire degli elementi che gli avrebbero consentito di allontanarsi quanto necessitava e di ritrovare la strada del ritorno.

Montalbano Elicona, viaggio tra i megaliti dell'Agimusco

Un’esigenza pratica che fu anche una esigenza emotiva forte. Costruire dei riferimenti sul territorio lo avrebbero aiutato a superare la paura dell’immenso dovuta all’impossibilità di controllare dimensioni vaste che gli sottomettevano l’anima e gli facevano concepire l’idea del mistero e della divinità.

Queste paure le consolò erigendo, negli spazi aperti, grandi pietre, collocandole in punti strategici. Mise in verticale lunghe pietre, elementi necessari per l’orientamento nello spazio capaci di essere visibili da lunghe distanze. Segni che tracciavano un cammino, una rotta, che potevano indicare la direzione giusta.

Creò un sistema di mobilità vera e propria che gli consentì di andare verso destinazioni ignote e al tempo stesso di tornare ai luoghi di provenienza, o di mettersi in salvo in tempo.

Queste lunghe pietre verticali, oggi li chiamiamo Menhir, (lunghe pietre), sono la forma più elementare dell’opera dell’uomo sulla terra. Da essi deriveranno in seguito le forma più raffinate e descrittive degli obelischi, i quali hanno la stessa radice semiotica.

I Menhir costituiscono la palingenesi dell’architettura: sono i primi elementi realizzati dall’uomo che hanno forma e funzione. Il loro scopo fu di essere topograficamente dei “punti fiduciali” che agevolavano la mobilità dell’uomo primitivo. Al tempo stesso la loro forma, dal chiaro significante, assunse valore monumentale simbolico, la cui sacralità ancora oggi suggestiona. Sono stati i primi elementi con il quale l’uomo ha modellato il paesaggio. Segni verticali, richiami nel deserto, elementi visibili primordiali di cui il mondo è affollato: se ne sono riscontrati in Francia, Gran Bretagna, Spagna e anche in Italia.

Sono i testimoni della civiltà megalitica (5000-1800 a.c.): un periodo in cui l’uomo primitivo era dedito a modificare in maniera grezza grossi blocchi di pietra, molto prima delle piramidi egizie.

Un esempio singolare di questa civiltà si riscontra anche in un altipiano a confine tra la catena montuosa dei Peloritani e quella dei Nebrodi. Dove si trova un complesso articolato di megaliti: grandi blocchi di pietra che formano una sorta di costellazione lapidea. Un luogo ad alta suggestione. Un paesaggio lunare circondato alle spalle dai boschi che guarda il mar tirreno e le dirimpettaie isole del dio dei venti. Il quale per secoli le ha flagellate modellandone le forme in un amorfismo soggettivamente espressivo: come le nuvole nelle cui forme suggestive ognuno ci vede quel che ha nell’animo.

L’altopiano di Argimusco, anche per un relativista è un posto di forte impatto emotivo, dove se la ragione lo spiega il cuore comunque si spaura.

Quei blocchi misteriosi, parlano all’uomo di oggi linguaggi incomprensibili, forse troppo grandi, per i suoi miseri codici linguistici, frenetici e materiali. Così il mistero Argimusco è un mistero irrisolto come quello di Stonehenge.

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