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Giovedì, 28 Marzo 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Ridolfi e la forma del tempo, tutti i segreti dell'Isolato 276: gioiello dell'architettura neorealista

Più che un palazzo un'opera d'arte che ha avviato a Messina un processo di alto valore culturale. Tutto sui balconi a punta di diamante e le geometrie che attingono alla teoria della relatività di Einstein

All’inizio del XX secolo la scienza cominciò a formulare le nuove leggi della fisica che porteranno alla fisica nucleare. Nel 1900 il fisico tedesco Max Planke elaborò la Teoria dei Quanti. Nel 1905 Albert Einstein formulò la prima versione della Teoria della Relatività. Nel 1908 Hermann Minkowski interpretò geometricamente le conclusioni sulla struttura del tempo e dello spazio di Einstein: "il tempo è continuità dello spazio mediante il movimento della materia". Il tempo è la “Quarta Dimensione” ed ha una sua forma.

In architettura la nuova rappresentazione spazio temporale ispirò la cifra dell’avanguardia praghese dando vita all’Architettura Cubista. Un linguaggio architettonico del tutto originale che si propose come l’estetica di un movimento rivoluzionario in opposizione alla dominazione austriaca e presto divenne l’elemento plastico di una rivoluzione sociale e politica che precorse la rivoluzione russa del 1917 e portò alla Repubblica Socialista Indipendente della Cecoslovacchia.

Ridolfi, l’isolato 276 un gioiello dell’architettura razionalista

L’architetto italiano che più di tutti assorbì l’ontologia del cubismo architettonico cecoslovacco, declinandolo in chiave neorealista, fu Mario Ridolfi. Un architetto romano (1904-1984) tra i maggiori interpreti dell’architettura italiana del ‘900, famoso per aver realizzato, nel 1933, il Palazzo delle Poste di Roma. Uno degli esempi più rilevanti del razionalismo italiano. Impegnato nel processo di ricostruzione dei quartieri popolari dell’INA Casa del secondo dopo guerra. Ridolfi nel 1949 con l’originalità del suo Villaggio Italia realizzato a Terni catturò molto l’ambiente degli intellettuali dell’epoca. Un Quartiere popolare la cui cifra spartana, essenziale, esprimeva una semplicità onesta e rassicurante. Un’essenzialità di linguaggio di chiara visione socialista. Un verbo che si distaccava molto dalle declinazioni correnti dell’architettura popolare caratterizzato da geometrie inedite che presto influenzeranno molte realtà italiane e molti architetti. Sulle ali del successo ternano, l’architetto romano realizzerà nel 1950 il famoso il Quartiere Tiburtino a Roma e poi a seguire i quartieri di Cerignola, di via Tiglio a Napoli e di via Etiopia a Roma, sempre per l’INA Casa, di cui marcò fortemente le linee stilistiche. Presto dalle case popolari passo alla progettazione di case economiche lavorando per l’I.N.C.I.S. (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali). Per questo istituto Ridolfi realizzò anche un edificio a Messina. 

Il palazzo di Ridolfi tra umanesimo e benessere

Era l’inizio del 1952 quando nella centrale via Tommaso Cannizzaro, tolti i ponteggi, apparve un edificio di originale bellezza ultronea. Un Palazzo a corte, a quattro elevazioni f.t., destinato ad alloggi per gli impiegati statali che operavano in città, con botteghe al piano terra. L’organismo architettonico occupò l’intera superficie dell’“Isolato 276” affacciandosi con il prospetto principale sulla già citata via Cannizzaro e con gli altri prospetti sulle vie Ugo Bassi, del Vespro e Natoli.

Un palazzo, alieno al contesto che con la sua semantica totalmente inedita affrontò subito l’inappropriato rinascimento fiorentino del dirimpettaio Palazzo Costarelli, la pedante esuberanza decorativa del Palazzo della Camera di Commercio e il marziale neoclassicismo della Caserma della Guardia di Finanza contrapponendosi a questi con una nuova categoria linguistica che esprimeva più i valori dell’uguaglianza che quelli dell’ostentazione dei privilegi e del potere economico e militare. L’opera manifestò da subito e con chiarezza l’intenzione di tenere più alla salvaguardia dell’individuo e a garantire un’esistenza concreta e positiva a chi lo abita invece di fare sfoggio di lusso e opulenza.

L’articolato edificio è un’architettura che fornisce l’idea di appaganti atmosfere domestiche. Visitando i suoi spazi si ha la sensazione piacevole di quando s’indossa un abito comodo, anche se non propriamente elegante e costoso. Nel suo cortile si respira, come in tutte le architetture di Ridolfi, un umanesimo colmo di famigliarità e di sereno benessere. L’edificio proietta un senso di comunità felice e dà la sensazione che al suo interno non si vive alcuna alienazione o asimmetria sociale.

Quest’opera incanta per la sua forte espressività rigidamente geometrica ma al contempo stranamente poetica, e affascina per il modo in cui s’impone nel contesto cittadino con la sua schietta identità razionale, scientifica, seria, onesta, leale. Caratteri che mettono in imbarazzo l’anacronistico e insensato neo eclettismo che la circonda. Sembra quasi che l’edificio si assuma il compito di mettere ordine nella babele estetica della città risorta dopo il 1908 e ulteriormente violata dai bombardamenti del 1943 che l’hanno ridotta ad essere il fantasma di se stessa.

Questo palazzo ebbe la forza, tipica delle vere opere d’arte, di essere il lievito che sviluppò in riva allo Stretto un lessico neorealista autoctono di grande qualità, pienamente interprete del fenomeno nazionale. E’ un’architettura che assunse in sé un forte valore didattico quale elemento palingenetico di quella pregevole stagione neorealista messinese, nella quale la città visse una vera rinascita civile, sociale, culturale e non solo architettonica. Stagione nella quale operarono grandi architetti come Rovigo, Pantano, ed altri, che offrirono alla città un patrimonio di case popolari, piazze, fiere, cinema, stabilimenti balneari, ecc.. di grande qualità lessicale e in alcuni casi di struggente lirismo. Architetture (che indagheremo in altra sede) non secondarie, semmai omologhe, a quelle che hanno qualificato le grandi città italiane in quegli anni.

L’Isolato 276 è stato ed è un gioiello architettonico che ha avviato a Messina un processo di alto valore culturale: i suoi balconi a punta di diamante altro non sono che un legame con la grande avanguardia socialista europea, le sue geometrie declinano lo stesso verbo che fu il segno distintivo del socialismo dell’Est Europa e le sue forme attingono la loro origine ontologica dalla teoria della relatività di Einstein.

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