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Giovedì, 28 Marzo 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Alessandro Cerruti, lo stile Coppedè e quel leone dei mari sulla via Garibaldi

Da Genova a Messina, lo stilema del leone che tiene in bocca un’ancora fu segno distintivo adottato da molti armatori del XX secolo. Storie incrociate all'ombra dell'architetto che sbalordì la città peloritana con la sua verve funambolica. E tante imitazioni

L’estetica e l’espressione di un rapporto oscillante tra stile e moda.

Lo Stile è un atteggiamento formale immutabile, fatto di regole, canoni, proporzioni. Una lingua vera e propria che ha la sua sintassi, la sua grammatica. Lo Stile fa riferimento ad una categoria di pensiero definita e coerente. La Moda, viceversa, è un’espressione effimera che esprime desiderio di conformità ed è scatenata da un istinto d’imitazione fortemente legato al bisogno di appartenenza.

Uno degli stili architettonici che rappresentarono il positivismo italiano tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX fu il Neo Eclettismo. Stile citazionista ed evocativo di un passato del cui blasone e fasto si forzava di appropriarsi non potendo esprimere un’identità propria. Un linguaggio dai contenuti reazionari che contrastò molto l’avanzata delle avanguardie. Per ciò divenne cifra della prima borghesia industriale italiana, di una classe sociale pragmatica, che raggiunse in modo molto repentino i vertici della società italiana senza avere avuto il tempo di maturare un percorso culturale proprio. Fu l’espressione architettonica della borghesia capitalistica del famoso triangolo industriale Torino Milano Genova, nel quale il capoluogo ligure ebbe un ruolo preminente, essendo di questa geometria l’unico vertice a contatto con il mare, il porto dal quale l’Europa intraprendeva i viaggi verso il nuovo mondo.

Architettura, lo stile Coppedè e il leone dei mari

Protagonisti di questa nuova Repubblica Marinara del XX secolo, furono un gruppo di intraprendenti capitani d’industria ed armatori come il pioniere Raffaele Rubbattino (colui che fornì le navi per la spedizione dei Mille in Sicilia), Carlo Pastorino (Eridania- Mira Lanza), Attilio Odero (Officine Ansaldo), Erasmo Piaggio (armatore, capostipite dei Piaggio inventori della Vespa), Giuseppe Parodi (proprietario di tutte le tonnare di Sardegna) e tanti altri.

Tra questi vi era anche Alessandro Cerruti, un armatore di Varazze, che deve la sua fortuna ad una particolare vicinanza a Casa Savoia, con la quale aveva solidi rapporti d’affari. La sua compagnia di navigazione si chiamava “Lloyd Sabaudo”. Armatore di area governativa Cerruti divenne presto anche uno degli imprenditori edili più attivi nella ricostruzione della nuova Genova, quella dell’espansione urbana di via XX Settembre. Il suo successo nell’edilizia lo deve alla collaborazione con l’allora famosissimo architetto Gino Coppedè. Quello che oggi diremmo un’archistar. Colui che fece del suo stile architettonico una vera e propria moda. Il suo linguaggio architettonico fu talmente singolare ed estroso da essere di difficile classificazione al punto che fu unanimemente appellato, dai critici dell’epoca, come: “Stile Coppedè”, pregiandosi così di un singolare primato, quello di essere l’unico architetto a vantare uno stile onomastico.

Lo “Stile Coppedè” a quell’epoca era molto ambito da tutta la borghesia industriale italiana d’estrazione positivista che faceva a gara per assicurarsi l’estro architetto toscano nella realizzazione delle proprie ville, castelli e palazzi. Avere una dimora progettata da Coppedè era uno status simbol.

Alessandro Cerruti, con la sua Società Anonima “Ferrobeton”, fu tra i primi imprenditori italiani ad essere titolare dei brevetti innovativi per costruzioni in c.a.. Brevetti che, unitamente al suo essere filo governativo, furono le credenziali, che lo porteranno a Messina durante la ricostruzione. Insieme alla tecnica innovativa antisismica la sua impresa importò in riva alla Stretto anche il marchio Coppedè.

Il sodalizio tra Cerruti e Coppedè ebbe inizio quando il primo intervenne in una lottizzazione di ville signorili su uno dei poggi più panoramici di Genova, dal quale si dominava il porto e la città, subentrando ad Erasmo Piaggio. Sull’altura si giungeva da via Salvago, una strada che si innestava alla lussuosa nuova circonvallazione di Corso Firenze, proprio dove sorgeva il Castello Bruzzo, realizzato da Gino qualche anno prima per Pietro Micheli (il primo a produrre in Italia automobili, dopo verrà Agnelli e la FIAT, e il primo produttore cinematografico italiano). Le ville già in stato di avanzamento progettate dall’ing. Severino Picasso non piacquero a Cerruti, il quale affascinato dal Castello sottostante, fece di tutto per affidare a Coppedè l’incaricò di rivedere la progettazione e l’apparato decorativo dell’intera lottizzazione. L’opera di Gino ebbe un grande successo ed inaugurò l‘imperitura collaborazione tra l’architetto toscano e l’armatore di Varazze, il quale riservò per la sua famiglia due di quelle architetture. In una trasferì la sua residenza, l’altra la donò alla figlia Maria. 

Lungo via Piaggio “Villa Maria Cerruti”, si distinse dalle altre ville progettate dal funambolico architetto (le famose Villa Cogliolo, Villa Delle Piane, Villa Cerruti, Villa Piaggio, Villa Canepa, etc.), per il suo declinare una singolare versione neo manierista dello “Stile Coppedè”.  

La solenne esuberanza dell’involucro interpretava in maniera lampante la condizione sociale e professionale conquistata dall’armatore, il suo agio opulente dall’alto dominava la città. Un dominio capitalista che il fiorentino esplicitò in modo trionfante nell’apparato decorativo adottando stilemi originali e innovativi. Su tutto campeggiava un leone, simbolo d’incontrastata potenza, con in bocca un’ancora alla quale si aggrappava un artistico e leggiadro delfino. Un segno fastoso quanto icastico che esprimeva tutta la potenza dei Cerruti nel ambito della navigazione internazionale. Era il periodo in cui la “Lloyd Sabaudo” solcava gli oceani facendo rotta per l’America e l’Australia con i mitici transatlantici dedicati, ai quatti conti Savoia: Conte Rosso, Conte Verde, Conte Biancamano e Conte Grande.

Lo stilema del leone che tiene in bocca un’ancora fu presto segno distintivo adottato da molti armatori dell’epoca.

Uno stilema simile, meno fastoso e opulento, lo troviamo ostentato in bella posta sulle paraste laterali all’ingresso dell’is. 479, su via Garibaldi a Messina.

Alessandro Cerruti e i suoi figli, assunsero un ruolo preminente nella ricostruzione della città di Messina dopo il terremoto del 1908. Molti fabbricati furono realizzati della loro imprese, la “Fratelli Cerruti” e la “Ferrobeton” che si avvalsero dell’opera di Gino Coppedè. L’architetto sbalordì la città peloritana con la sua verve funambolica nonostante fosse costretta dai rigidi vincoli della nuova normativa antisismica. Egli si limitò ad intervenire sugli involucri facendo largo uso di apparati decorativi in amalgama di cemento, trattando intonaci con graffiti a buon fresco, offrendo ai messinesi una versione epidermica del suo stile. Il suo verbo blasonato scatenò in città il gusto per quella anacronistica decorazione che fu il lievito del “neo eclettismo messinese” di marca coppedeana. Molti progettisti locali, e non, visto il grande successo cominciarono ad emulare i palazzetti realizzati dal toscano al punto che lo “Stile Coppedè” in città divenne una vera e propria moda.

Sulla fenomenologia dello Stile Coppedè a Messina diremo in altra occasione. Qui accenniamo solo al fiorire di nuove maestranze edili che si specializzarono nella produzione di decori in amalgama di cemento (i cementieri) interpretando a lungo lo stile del toscano diffondendone gli stilemi.

In questo scenario, è plausibile che un’armatore messinese nel realizzare la sua dimora nella nuova via Garibaldi, dopo il 1908, ambisca ad avere, come segno che celebri la sua attività, uno degli stilemi dello “Stile Coppedè” importati in città da un suo famoso collega, l’armatore di Varazze Alessandro Cerruti, divenuto segno distintivo della categoria.  Così fa capeggiare sulle paraste d’ordine maggiore che affiancano l’ingresso del suo palazzo due teste di leoni che sorreggono tra le fauci un’ancora assicurata ad uno scudo gentilizio da canapi marinari annodati. Un inequivocabile riferimento alle attività del padrone di casa. Un modello in amalgama di cemento di chiara marca coppedeana fortemente assonante al celebre Leone ancorato, effige degli armatori Cerruti.

Ecco come un semplice repertorio architettonico possa evocare una storia minore, della contraddittoria ricostruzione della Città di Messina e ci racconti di una moda che legava l’amena via Piaggio di Genova e l’elegante Villa Maria Cerruti con la via Garibaldi a Messina ed uno dei suoi singolari palazzi neo-eclettici.

Due città di porto, un grande armatore emulato da un armatore, ormai di provincia, che perduti gli antichi riferimenti estetici di un tempo, colto da un istinto d’imitazione e da un forte bisogno di appartenenza si impaluda con uno stilema dello “Stile Coppedè” di moda nell’ambiente degli armatori italiani.

Ecco come l’architettura ci racconta storie.

Ecco come la storia si può comprendere anche dalle forme dell’architettura e come l’architettura, anche nei suoi più piccoli particolari, è sempre la forma di una storia. La forma di piccole storie che ci aiutano a mettere a fuoco le storie maggiori, quelle narrate sui libri che talvolta (poichè scritte da chi ha il potere di farlo o da chi è mosso da spinte enfatiche) non riportano tutti i fatti nella loro pura verità.

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