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Agrumi addio, Messina si scopre tropicale

Crescono anche per i cambiamenti climatici le coltivazioni di mango e avocado Made in Sicily. A far la parte del leone la città dello Stretto e la sua provincia. Lo studio della Coldiretti presentato al Villaggio contadino di Milano

Dimenticate per un attimo arance, limoni e profumo di zagare. La Messina degli agrumi sta scomparendo. In Sicilia, in 15 anni, il terreno coltivato ad aranci è diminuito del 31%; quella dei mandarini del 18%; la situazione dei limoni è sull’orlo del baratro: giù del 50%. La produzione non è più redditizia come un tempo e la concorrenza extracomunitaria è spietata. La qualità è inferiore ma lo sono anche i prezzi di importazione, se paragonati a quelli di
 produzione siciliana. Non c’è partita. L’agrume made in Sicily vende poco.

Nel frattempo, però, con i cambiamenti climatici arrivano le prime coltivazioni di mango e avocado Made in Sicily, insieme a tante altre produzioni esotiche di largo consumo come le banane e specialità meno conosciute come lo zapote nero fino alla sapodilla.

E' quanto emerge dal primo studio Coldiretti "I tropicali italiani" presentato in occasione dell'apertura del Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da Piazza del Cannone a Piazza Castello con oltre diecimila agricoltori.

Quello della frutta tropicale Made in Italy - sottolinea la Coldiretti - è un fenomeno esploso per gli effetti del surriscaldamento determinati dalle mutazioni del clima e destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole.

Lo dimostra il fatto che si è passati da pochi ettari piantati con frutti tropicali a oltre 500 ettari con un incremento di 60 volte nel giro di appena cinque anni. A far la parte del leone è la Sicilia - spiega Coldiretti - con coltivazioni ad avocado e mango di diverse varietà nelle campagne tra Messina, l'Etna e Acireale, ma anche a frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l'uva moscato. Il tutto grazie all'impegno di giovani agricoltori - ricorda la Coldiretti - che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni.

Le prime aziende che sperimentarono la produzione tropicale in Sicilia, nacquero intorno agli anni ’80, ma la vera spinta produttiva è stata registrata negli ultimi quindici anni.

Molti agricoltori hanno convertito gli agrumeti in vivai tropicali, acquistando nuovi impianti e innestando specie e varietà con tecniche colturali innovative. Al momento, le aziende specializzate sono concentrate lungo il versante tirrenico. Nel messinese, la gran parte si trova  tra Acquedolci, Sant’Agata e Milazzo. Parliamo ancora di una produzione di nicchia, che per quanto in fase di espansione, vede la presenza di imprese di piccole dimensioni, con una collocazione territoriale puntiforme. E’ il principio di un’economia con enormi margini di sviluppo.

Un segmento di mercato che sta crescendo vertiginosamente – spiega lo studio della Coldiretti -  considerato che oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero banane, manghi, avocado italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè diffuso per l'occasione. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la garanzia dell'origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dal fatto che l'Italia - precisa la Coldiretti - è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell'Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%).

Insomma produzioni sempre più ambite. Un paio di anni fa aveva fatto discutere anche l’attenzione al settore suscitata della criminalità organizzata. Nel 2016 si registrarono una serie di furti sospetti. Circa cinque quintali di mango, dal valore commerciale di 2500 euro, erano stati rubati in un “mangheto” (un ex agrumeto convertito 4 anni prima) di località Inganno, al confine con i territori comunali di Acquedolci e Sant’Agata di Militello. Quasi in concomitanza era stato sottratto un quintale di mango in un’altra azienda di Acquedolci. Stessa sorte per un vivaio specializzato di Milazzo, nel quale erano stati portati via circa 200 chilogrammi di mango. La contemporaneità dei furti, suggeriva un crimine su commissione: i frutti tropicali rappresentano denaro contante, soprattutto se il prodotto viene piazzato sui mercati specializzati in frutta esotica.

Oggi il fenomeno della frutta esotica italiana, spinto dall'impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio di capacità di innovazione. Attenzione però al nodo trasporti, avverte il presidente della Coldiretti  Ettore Prandini: “Le aziende nel settore ortofrutticolo troppo spesso sono ostacolate da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito all'Italia di agganciare la ripresa della domanda all'estero, con un crollo nell'ortofrutta fresca esportata nel 2018 dell'11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all'anno precedente. Occorro – conclude - trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d'Europa e del mondo".

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