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Il covid diventa una malattia professionale: cosa significa e perché è una svolta

Cosa cambia dopo l'intesa raggiunta tra i governi dell'Ue

Ora è ufficiale. Il Covid-19 sarà riconosciuto come malattia professionale nei settori dell'assistenza sanitaria e domiciliare, dei servizi sociali, e nei settori in cui sono maggiori le attività con un rischio accertato di infezione. A raggiungere l'accordo sulla necessità del riconoscimento sono stati i governi europei, i lavoratori e i datori di lavoro che partecipano al comitato consultivo Ue per la sicurezza e la salute sul lavoro (Ccss). Il comitato in questione ha anche chiesto a tutti i Paesi membri di aggiornare il proprio elenco nazionale delle patologie legate alle attività lavorative.

Covid riconosciuto come malattia professionale: cosa cambia

"L'Unione europea ha raggiunto proprio in queste ore un accordo che riconosce il Covid-19 come malattia professionale e ha chiesto a tutti i Paesi membri, e dunque anche all'Italia, di aggiornare il proprio elenco nazionale delle patologie legate alle attività lavorative", ha confermato in una nota anche l'Enpam, l'ente di previdenza dei medici e dei dentisti. Ora, in vista di una nuova raccomandazione attesa entro la fine dell'anno, la Commissione aggiornerà la sua raccomandazione sulle malattie professionali. Gli Stati membri saranno poi chiamati ad adattare le loro legislazioni nazionali. "Questo accordo invia un forte segnale politico per riconoscere l'impatto del covid sui lavoratori e il contributo essenziale delle persone che lavorano nei servizi sanitari e sociali e di altri lavoratori a più alto rischio di contrarre la malattia", ha commentato il commissario Ue per il lavoro, Nicolas Schmit.

Cosa cambia in concreto rispetto a prima? Una volta che il covid sarà riconosciuto come malattia professionale in uno Stato membro, i lavoratori dei settori interessati che hanno contratto la malattia sul posto di lavoro potranno acquisire diritti specifici ai sensi delle norme nazionali, come il diritto ad avere un indennizzo. Questo accordo rappresenta "un'importante presa di posizione soprattutto nei confronti di medici e odontoiatri - ha commentato il presidente dell'Enpam Alberto Oliveti -, perché conferma quanto da noi sostenuto fin dall'inizio della pandemia, quando i primi nostri colleghi sono caduti nel vano sforzo di contrastare il Covid-19".

In Italia - ricorda l'ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri - un primo intervento per sanare in ambito lavorativo la mancanza di una copertura assicurativa per i decessi da Covid-19 è stato già attuato dall'Inail, che ha riconosciuto un risarcimento ai medici dipendenti, parificando retroattivamente il Covid-19 a infortunio sul lavoro. La misura però - ha sottolineato l'Enpam - non ha avuto effetto per liberi professionisti e parasubordinati non iscritti all'Inail. Sono così rimasti esclusi i familiari superstiti dei medici di famiglia, che tuttavia sono una delle categorie che ha pagato un tributo di vite tra i più alti per fronteggiare le prime ondate della pandemia.

"La decisione dell'Ue apre ora la strada a un riconoscimento della malattia professionale a tutti i camici bianchi - ha spiegato Alberto Oliveti dell'Enpam - e dovrebbe spingere lo Stato, come da noi auspicato, a riconoscere retroattivamente a tutti i medici caduti per Covid-19 quel risarcimento che finora ha riguardato solo una parte di loro". Per questo scopo, ha ricordato l'ente, esiste già uno strumento che potrebbe essere efficacemente utilizzato. "Si tratta del fondo di Stato per i morti sul lavoro, istituito con la legge finanziaria 2007, che purtroppo registra una dotazione insufficiente per coprire tutti gli aventi diritto. Un aumento di questi fondi, alla luce della decisione dell'Unione europea, sarebbe un gesto significativo da parte dello Stato", ha detto Oliveti.

Fonte: Today.it

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