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Centro antiviolenza parte civile nei processi per femminicidio, Currò: “Un interesse che coincide col nostro statuto”

L'avvocato presidente emerita del Cedav spiega le ragioni della richiesta anche per l'omicidio Musarra. “Un riconoscimento per chi opera nel territorio da anni, battendosi per la prevenzione e contro la violenza sulle donne”. Nel 2016, al processo che vedeva imputato il marito di Omayma, fu una novità

Sembra essere trascorso un secolo da quando nel 2016 al processo che vedeva imputato il marito di Omayma, la mediatrice culturale tunisina residente con la famiglia a Messina, uccisa barbaramente dal coniuge a colpi di bastone dinanzi alle tre figlie atterrite, un pm in aula, si dichiarava contrario alla Costituzione di parte civile del Cedav onlus non ritenendo che sussistesse un interesse proprio per tale evenienza e poi, invece, essere ammessa dal Gup e dalla Corte di Assise di Messina.

Per il processo per l’assassinio di Alessandra Musarra, iniziato oggi in Corte di Assise, il Cedav onlus si è ancora costituito parte civile, insieme ad altre associazioni e nessuna eccezione è stata sollevata dalla difesa dell’imputato né dal Pubblico Ministero in aula.

In passato, molti sono stati i dinieghi ma anche numerose le ammissioni soprattutto dopo la ratifica da parte dell’Italia avvenuta con la legge n. 77 del 27 giugno 2013 della Convenzione di Instabul, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, che prevede espressamente tale eventualità.

Ma cosa determina una Associazione, che si batte da anni a fianco delle donne che subiscono violenza, a decidere di costitursi parte civile in un processo di femminicidio? Il messaggio è chiaro ed ha un forte contenuto simbolico. Troppo spesso le donne uccise hanno affrontato da sole il loro calvario che li ha poi portate alla morte. Spesso le vittime non si sono neppure confidate con i familiari di quanto stavano subendo o con le persone vicine per vergogna o per la mancanza di consapevolezza di quanto si sarebbe potuto verificare.

In alcuni casi le vittime si sono sentite troppo sole ed indifese per rivolgersi a chi avrebbe potuto aiutarle interrompendo la spirale della violenza in atto. Altre volte, le donne avevano persino denunciato il loro aggressore. In tutti questi casi, molte donne uccise da chi diceva di amarle non pensavano che il marito, il compagno o il fidanzato potesse arrivare al gesto estremo dell’assassinio.

carmen Currò-3In un contesto sempre più drammatico ed inaccettabile dal sentire comune, che vede non decrescere in maniera significativa i numeri delle donne uccise per mano di uomini con i quali avevano intrattenute una relazione sentimentale, a volte padri dei loro figli, la costituzione di parte civile di associazioni che tutelano le donne e si battono contro la violenza, assume una grande significato culturale da ascrivere alla considerazione che oggi si ha della violenza sulle donne come crimine contro l’umanità. Invero, l’offesa dell’interesse tutelato dalla norma penale che prevede la costituzione di enti tiene conto della evoluzione che, negli ultimi anni, ha avuto il concetto di violenza di genere. Già sin dalla Quarta Conferenza Mondiale sulle donne delle Nazioni Unite, tenutasi a Pechino nel 1995, si evidenziava come i diritti delle donne sono diritti umani, che la violenza sulle donne intesa come sopraffazione, abuso, limitazione delle libertà personali, disparità di trattamento e sottrazione di opportunità, rappresenti una violazione dei diritti fondamentali della persona, ed anche un fenomeno che coinvolge l’intera struttura della società ovvero la vita sociale in tutte le sue articolazioni.

In ragione di tale assunto si può affermare che il danno causato dalla violenza di genere ha una triplice dimensione lesiva: personale, sociale, pubblica. Nel caso di Associazioni a difesa delle donne e a contrasto della violenza di genere l’interesse diffuso alla tutela del bene protetto, ovvero la integrità della donna e la salute della stessa, sono insiti negli scopi che perseguono tali Enti e nelle stesse ragioni della loro esistenza. In sintesi, la costituzione di parte civile in un processo per femminicidio da parte di Centri antiviolenza che con continuità, stabilità e riconoscimento operano nel territorio da anni, battendosi per la prevenzione, sensibilizzazione e contrasto della violenza sulle donne, ha una valenza sociale intensa in quanto dal reato hanno ricevuto un danno ad un interesse proprio coincidente con quello che statutariamente perseguono. Il risarcimento del danno viene considerato non tanto in termini economici ma, soprattutto, in termini simbolico-valoriali per la abnormità dell’offesa subita da una donna che diventa di tutte le donne nel momento in cui un Ente la fa propria.

Avv Carmen Currò*

Specialista in diritto di famiglia e Presidente emerita del Cedav onlus di Messina

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