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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Museo del grano a San Filippo Superiore tra mulini e zampognari, quando l'antico sa di contemporaneo

A tu per tu con Marco Freni curatore scientifico dell’anello tematico legato alla musica di tradizione orale. "Questo Casale è un importante crocevia di mestieri e di pellegrinaggi, di suoni e di canti". Ambizioni e prospettive

Pochi forse sanno che esiste una scienza – la molinologia – che studia le tecniche molitorie occupandosi anche dei riflessi che quest’antica arte proietta nel tessuto sociale e culturale delle comunità. Nel 2011 in Italia si è costituita l’AIAMS (Associazione Italia Amici dei Mulini Storici) con il proposito di riqualificare e valorizzare i mulini storici. In Sicilia sono stati restaurati e funzionano, ad esempio, il mulino a vento delle Saline di Priolo Gargallo (SR) e i mulini ad acqua Santa Lucia di Palazzolo Acreide (SR) e La Timpa di Ragusa Ibla (RG).

Ma cos’è, davvero, un mulino storico? Una testimonianza di vita certo, ma anche di cultura popolare, che getta radici profonde nel territorio consentendo di recuperare informazioni che rischierebbero, altrimenti, di essere per sempre derubricate dalla mappa di conoscenze dell’uomo moderno. Come ogni arte umana, pure quella molitoria ha un suo retroterra specifico, peculiare. La sua particolarità, ritengo distintiva rispetto al resto, consiste nell’associazione che subito stabilisce con il pane, alimento fondamentale dell’uomo, con l’intero carico simbolico che ne consegue.

In un’epoca come la nostra, votata all’immanentismo del “mordi e fuggi” ove ben poche tradizioni nutrono ormai un presente sempre più fluido e magmatico, la valorizzazione e il recupero dell’arte molitoria rappresentano pertanto, almeno secondo chi scrive, un importante momento di riscatto identitario del territorio. La conoscenza del contenuto storico di queste strutture fa capire che non di anonimi ammassi di pietre si tratta, su cui magari costruire l’ennesimo complesso edilizio suburbano. Si tratta piuttosto di reperti di archeologia industriale che trasmettono nozioni rilevanti, oltre che sulle tecniche anche e soprattutto sulle caratteristiche dei luoghi e sui connotati antropologici di chi li abitava. Il fatto, peraltro che, tanto per i mulini ad acqua che per quelli a vento, l’energia necessaria al movimento della ruota molitoria abbia un’origine naturale e non inquinante è assolutamente moderno e propositivo in tema di fonti rinnovabili. Saperne di più sull’antica arte molitoria è insomma un’occasione da non perdere, se è vero che nessun futuro è possibile se non affonda i piedi nel passato da cui un sempre più miope presente vorrebbe sradicarlo.    

In quest’ottica - e si deve dire con ottimi risultati in termini di pubblica fruizione - si colloca oggi il Museo del Grano di S. Filippo Superiore, presente all’evento “Notte d’arte” svoltasi in città il 17 e il 18 settembre scorsi. Fondato da Nino Bebba con l’intento del recupero della vasta rete di mulini insistenti nel villaggio – ospitante, com’è noto, i resti della una volta sontuosa abbazia basiliana di S. Filippo il Grande – la struttura vive oggi un periodo di fervida attività. Al recupero dei mulini si affianca difatti la secolare tradizione degli zampognari che con la loro musica hanno sempre accompagnato il pascolo e la transumanza. Ne abbiamo parlato con l’etnomusicologo Marco Freni, da poco approdato al Museo come curatore scientifico dell’anello tematico legato alla musica di tradizione orale. Marco Freni, dopo aver conseguito la laurea triennale al DAMS di Bologna con una tesi sulle ‘bbanniate’ del pesce a Messina, ha conseguito una seconda laurea in Musicologia (indirizzo etnomusicologico) a Roma nel 2014, con una tesi sui repertori femminili di Messina e della sua provincia. Grazie a questa tesi, nel 2018 vince il Premio Arte e Cultura Siciliana “Ignazio Buttitta” (XX edizione) del centro culturale R. Guttuso di Favara, sezione tesi di laurea. Nel 2020 vince il premio “Tirrenico Awards, gli oscar delle giovani eccellenze 2020 – oscar per la musica (composizione)”, evento patrocinato da Regione Siciliana, assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana. Allo studio ha da sempre affiancato l’attività di musicista e compositore, di divulgazione e di ricerca che lo porta ancora oggi a girare la Sicilia raccogliendo canti di tradizione orale e testimonianze di vita e di lavoro delle società agropastorali e non solo.

Può farci un resoconto di questi suoi mesi di collaborazione al Museo?

Sono approdato al Museo del Grano e dell’Arte Contadina nell’ottobre del 2021, grazie a Nino Bebba e Angela Cardile, veri motori propulsivi dell’associazione Museo del Grano di San Filippo Superiore, i quali mi hanno dato la possibilità di curare l’anello tematico dell’Etnomusicologia. Da allora sto lavorando al recupero, al restauro e alla catalogazione del materiale già presente al Museo (strumenti musicali, materiale documentario e bibliografico) e al reperimento di altri strumenti musicali utili a raccontare la straordinaria realtà musicale di tradizione orale non solo di questo borgo ma dell’intera provincia di Messina e della Sicilia più in generale. I lavori stanno proseguendo a ritmo serrato e si spera di rendere fruibile il polo museale etnomusicologico nel giro di un paio di mesi.

Come nasce il Museo del grano?

Il Museo del Grano, che sta lavorando nell’ottica di diventare Ecomuseo diffuso sul territorio, nasce nel 2017 dopo una trentennale attività di raccolta, conservazione e divulgazione ed è stato promotore di una notevole quantità di mostre ed eventi sul territorio. Alle spalle anche una collaborazione con l’Istituto Superiore G. Minutoli tracciando la presenza di diversi mulini presenti nella vallata, nonché avanzando un’ipotesi di riutilizzo del Monastero Basiliano, e nel tempo ha curato diverse rassegne dedicate alla zampogna a paro e agli strumenti della musica popolare, all’agro-artigianato e al turismo rurale, all’apicultura, alla bachicoltura, e ai grani antichi siciliani, per citarne solo alcune. Il prossimo evento “Un’arnia per amica”, curato da Luigi Fileti e in collaborazione con il FAI, è previsto domenica 2 ottobre e sarà un momento didattico alla scoperta dei segreti che si celano all’interno di un apiario.

Quali dovrebbero essere, secondo lei, le caratteristiche che dovrebbe avere una struttura come il Museo del Grano per intercettare le risorse europee che possono consentirne la piena valorizzazione?

Come accennato, da qualche tempo il Museo del Grano sta lavorando per diventare Ecomuseo diffuso sul territorio. Questo pone in luce almeno tre aspetti fondamentali che stiamo curando e sviluppando e che vanno di pari passo con le politiche europee. Il primo aspetto riguarda operazioni come il recupero degli edifici abbandonati, dai siti industriali a quelli privati, che ormai caratterizzano tristemente molti casali e borghi intorno a Messina (come in tutta la Sicilia). Questo permette di non lasciare al degrado fisico e culturale questi luoghi, ma anzi di farli rivivere grazie ad una loro “rifunzionalizzazione” culturale ed economica, in un’ottica di identità e integrazione. Il secondo è legato ai concetti di economia circolare ed energia sostenibile. Queste tematiche, oltre a proiettarci in una dimensione di respiro europeo e mondiale, ci permettono di riflettere su modelli e cicli lavorativi appartenenti alle società preesistenti che in questo borgo, grazie ai mulini, alla bachicoltura, al ciclo lavorativo del vino e dell’olio, al commercio della neve (solo per citarne alcuni) ci consentono di osservare un’antropizzazione del territorio mai invasiva ma sempre bene integrata e rispettosa del nostro bene primario, il pianeta Terra.

Ma c'è anche un aspetto identitario...

Un altro aspetto riguarda i processi identitari e il recupero delle tradizioni etno-antropologiche che contraddistinguono la nostra cultura in tutte le sue accezioni. In un mondo in cui la globalizzazione tende a livellare le differenze, ritengo sia importante proiettare il concetto di identità non in un’ottica di “chiusura” entro i propri confini culturali ma, al contrario, di confronto e condivisione. Le numerose dominazioni che da sempre si sono susseguite in Sicilia hanno favorito lo scambio di beni materiali ma anche di quei beni immateriali i quali, citando Antonino Buttitta, hanno reso l’Isola una realtàfortemente stratificata e articolata tanto economicamente quanto socialmente e culturalmente”. Un ritorno a certe pratiche lavorative, insieme alle appena citate operazioni socioculturali, credo sia in armonia con le linee guida europee, consentendoci di poter provare a intercettare dei bandi europei ma anche nazionali e regionali. Inoltre è fondamentale il colloquio costante con gli enti locali non solo per affermare la propria presenza sul territorio ma soprattutto per essere partecipanti attivi nella costruzione di una comunità consapevole e propositiva.

Ad affiancare l’attività di recupero strutturale dei mulini della vallata di S. Filippo c’è anche quella musicale. Può parlarcene, con particolare riferimento alla tradizione degli zampognari?

Oltre ad occuparmi di strumenti musicali, sto lavorando al recupero e alla riproposizione dei repertori in circolazione a San Filippo e non solo. La sua particolare posizione ha reso questo Casale un importante crocevia di mestieri e di pellegrinaggi, di suoni e di canti ed è stato da sempre un importante centro di suonatori di zampogna, che nel nostro territorio viene detta a paru per via della eguale lunghezza delle due canne (chanters) diteggiabili. In questi mesi, per esempio, stiamo effettuando delle riprese al fine di ricostruire alcune fasi della vendemmia, con particolare riguardo alla calata di cofinara, che a San Filippo Superiore vedono la zampogna giocare un ruolo importante nell’alleviare la fatica, costituendo una discriminante nell’accettazione del lavoro. Una delle domande ricorrenti, C’è a zampogna? Si non c’è non ci vegnu!, credo riassuma questo concetto. La zampogna è considerata la più alta espressione del sapere pastorale in tema di organologia musicale. La sua complessità tecnica, la sua storia millenaria, i suoi repertori rivelano un mondo le cui radici affondano in tempi molto lontani e che in questo centro hanno trovato terreno fertile per crescere e resistere fino ai giorni nostri.

So che abbiamo un fuoriclasse in questo campo.

Salvatore Vinci è un indiscusso esponente di rilievo in questo campo. Classe 1953, seguendo le orme del padre Giacomo e dello zio Paolo, suona la zampogna da quando aveva 7 anni e già a 12 anni aveva 40 suoi clienti (parrucchiani) presso i quali eseguiva le novene a Natale. Salvatore, depositario di questa arte antica, è intimo appassionato e profondo conoscitore di questo strumento e dei suoi repertori e prova a trasmetterne i segreti alle nuove generazioni, alle quali però raccomanda di studiare profondamente le radici prima di sperimentare. Scorrere con gli occhi i titoli dei brani annotati da Salvatore, equivale a scoprire repertori tramandati da secoli, come quelli natalizi (novene, sonate pastorali), carnevaleschi e legati ai contesti sociali in genere (stunnelli, balletti accompagnati dal canto, parafrasi di canzoni popolari a livello nazionale). Si possono ascoltare inoltre repertori legati ai cicli lavorativi, come il canto dei cufinara (portatori d’uva) eseguito nel periodo della vendemmia, o le suonate eseguite durante la tosatura delle pecore. Inoltre, la collezione di strumenti posseduti da Salvatore ci permette di toccare con mano tecniche di costruzione e lavorazione dei legni che risalgono anche a due secoli fa, nonché della conciatura degli otri, arte di cui è un indiscusso esperto. Fortunatamente Salvatore non è l’ultimo suonatore della famiglia; il figlio Giacomo è un altro affermato musicista e il giovane nipote7 è già un abilissimo suonatore di zampogna, organetto e tamburello con una passione non meno forte del nonno e del padre. I codici e i linguaggi musicali, i repertori e le prassi esecutive, le tecniche di costruzione legati a questo strumento costituiscono un patrimonio raro da custodire e preservare. Stare accanto a Salvatore Vinci significa letteralmente stare accanto ad un patrimonio vivente dell’umanità e non ci sono parole che possano esprimere l’immensa gratitudine che ho nei suoi confronti per consentirmi di apprendere queste storie direttamente dalla viva fonte.

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