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Scandalo concorsi all'Università, quando i cognomi tra i docenti si ripetono troppo

L’Ateneo di Messina non viene investito direttamente dall'inchiesta di Catania ma sembra sempre che ci sia il suo “zampino”. Due anni fa toccò con l'indagine di Firenze. Ma il problema è antico e si chiama nepotismo

L’Università di Messina non viene investita direttamente dallo scandalo più di quanto non accada per altri atenei in Italia. Ma è come se “a fare scuola”, nel recente scandalo dei concorsi e delle nomine pilotate all’Ateneo di Catania che ha portato a sospensioni dei vertici dell’università etnea, 41 perquisizioni in tutta Italia e l’iscrizione nel registro degli indagati di 40 docenti, ci sia sempre lo ”zampino di Messina”, l’università che per prima finì sulle pagine nazionale per il fenomeno del nepotismo: il dirigente dell’Ufficio personale, Aldo Lupo- accertarono le inchieste- aveva sistemato tra parenti vari, figli e nipoti, ben otto persone. Ma c'è stato anche lo scandalo del concorso in Veterinaria.

E soprattutto quello dei nomi ricorrenti, Cuzzocrea, Navarra, D’Alcontres, si raddoppiano tutti in incarichi stratificati fra i vari dipartimenti.

Nel 2017 un’altra inchiesta partita da Firenze chiamava in causa sempre l’Università di Messina.  Era stata la denuncia di un candidato escluso, Philiph Laroma, divenuto una star nel web, a gettare una luce sinistra su tutto il mondo accademico: tra 
gli indagati anche una serie di
 docenti che hanno prestato la loro 
attività anche all’Università Kore di Enna
.

Università bandita, i docenti Fedele e De Ponte tra gli indagati 

Qual era il meccanismo? Con la
 complicità di alcune aziende, ben 
addentro alle Università, come la
 Ssdt e l’Aipdt, i baroni riuscivano a 
conoscere in anticipo i concorsi in
 preparazione nei vari atenei, al fine
 di favorire la cosiddetta “abilitazione
a coppie”, uno scambio di favori tra 
baroni universitari che non lascia
 scampo a chi è “fuori dal giro”.

Ne sa qualcosa il 44enne Giambattista Scirè, autore di molti libri, ricercatore originario di Vittoria che si è formato proprio a Firenze e che è stato clamorosamente escluso da un concorso a Catania, nonostante avesse i titoli per vincere.

Solo quest’anno, dopo anni di battaglie inelle aule di giustizia,  è riuscito a fare valere le sue ragioni.

Ma ne sa qualcosa anche un messinese, Giuseppe Ingrao, oggi 48 anni, professore associato di Diritto tributario nei dipartimenti di Giurisprudenza ed Economia dell’Università di Messina, che nel 2015 ebbe la sventurata idea di partecipare al concorso di abilitazione scientica nazionale per diventare ordinario. La sua esclusione è talmente ingiusta da suscitare lo sdegno di allieve e “complici” di chi doveva farlo fuori tanto da definirlo “povero Cristo”. “Ma come fai a non metterlo dentro, come fai?”,  risulta dalle intercettazioni. La sua produzione era troppo varia, “più che varia, quello tocca tutto, tutto, tutto, tutto lo scibile dalla speciale, alla generale, alla processuale”. Insomma lo hanno liquidato dicendo che era troppo bravo per essere preso.

Lo sanno bene anche due ricercatori italiani, costretti ad emigrare, Stefano Allesina e Jacopo Grilli, che un paio di anni fa si sono divertiti a prendere in esame i casi di nepotismo nelle università italiane. Un lavoro commissionato dall’Università di Chicago.

Il fenomeno- emerge dall’inchiesta- è tutto concentrato nelle Università del Sud, con un primato a metà tra Messina e Catania. Tanto che in Sicilia i “cognomi” ricorrenti tra i docenti sono ben 236 al posto degli 82 della Puglia.
 Sarà un caso...

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