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Redazione

Paura a Kabul, Afghanistan in mano ai talebani: cronaca di una missione tradita

Dopo 20 anni ritorna l’Emirato in Afghanistan. Le lancette della storia -si dice- si spostano indietro archiviando come una parentesi anni in cui l’Occidente si era illuso, con la presenza militare, di instillare in quell’area stili di vita “moderni” rispetto alla chiusura cui il primo Emirato Islamico dei Talebani lo aveva costretto fra il 1996 e il 2001, quando vennero vietati cinema e musica, ridotte le libertà personali delle donne, cui fu imposto il burqa, anche semplicemente quelle di guidare auto, bici e moto, di utilizzare cosmetici e gioielli e di vedere uomini che non fossero il marito, mentre venivano distrutti i Budda della valle di Mabiyana e si dava asilo all’organizzazione terroristica Al Qaida, responsabile degli attentati dell’11 settembre del 2001 contro gli Stati Uniti. Conseguente fu, il 7 ottobre successivo, la dichiarazione di guerra degli Usa e della Gran Bretagna e, nel breve volgere di poche settimane, l’espulsione dal potere dei Talebani, che assieme a personaggi importanti di al Qaida, trovarono rifugio al confine col Pakistan o all’interno di questo Paese. 

Qui gli “studenti” islamici si riorganizzarono e, sfruttando le falle di un governo fragile e corrotto, non hanno mai abbandonato la loro opera di reclutamento utile a rimpiazzare i vuoti di un conflitto asimmetrico sanguinoso finito di fatto con gli accordi di Doha, nel febbraio 2020, i quali hanno sancito la vittoria del gruppo islamista su una potenza ben altrimenti equipaggiata e tecnologicamente avanzata come gli USA, che hanno dovuto riconoscere, come prima i Russi, l’impossibilità di tenere “manu militari” l’Afghanistan e la sua impermeabilità ai valori e agli stili di vita occidentali. L’America archivia cosi una ulteriore, cocente sconfitta da molti paragonata a quella del Vietnam, reiterando una manifesta incapacità di controllo nell’area medio-orientale dopo che, pure la vittoriosa campagna convenzionale in Iraq, aveva assunto i tratti di una vera e propria tragedia dando la stura a conseguenze terribili nel Paese e in Occidente, diventato campo di attacchi terroristici islamisti.

Al di là di tutti gli errori tattici, a cominciare da Bush che aveva distolto risorse militari dall’Afghanistan per attaccare l’Iraq e finire con un ritiro in agosto, in piena stagione dei combattimenti, che ha dato la possibilità ai Talebani di condurre a termine in pochissimo tempo l’occupazione di Kabul, credo bisogna interrogarsi in profondità sul senso di questa ulteriore débâcle in una regione rilevantissima per gli equilibri geopolitici mondiali che ha trascinato nella polvere l’immagine stessa di tutto l’Occidente agli occhi dell’intero pianeta. La storia, infatti, non è semplicemente tornata indietro, le dinamiche temporali dell’umano sono sempre in continua, perenne, evoluzione e non ripropongono esattamente situazioni e termini già visti, nemmeno in Afghanistan, se non altro perché il nuovo Emirato si troverà dentro un contesto geopolitico differente, dove attori come la Turchia, la Russia e, soprattutto, la Cina hanno adesso molto da dire.

Si tratta, difatti, come già per le primavere arabe e i fratelli musulmani in Egitto, di una conferma della non esportabilità del modello occidentale moderno e democratico in aree, quelle medio-orientali in particolare, del pianeta, semplicemente accompagnandolo con una più o meno lunga occupazione, sperando che i nostri stili di vita e i nostri paradigmi politici democratici e liberali siano naturalmente assunti da quelle popolazioni. La grande Umma islamica, almeno fin qui, appare di fatto in maggioranza “fondamentalista”, a giudicarla solo con i nostri parametri, in alternativa controllabile da regimi più o meno sanguinari e antidemocratici (da Gheddafi ad al Sisi passando per Saddam Hussein o i Paesi del Golfo, su tutti l’Arabia Saudita). Qualsiasi vuoto rispetto a questi poteri forti sembra, naturaliter, favorire il fondamentalismo come ogni operazione di occupazione. Credo occorra ormai prendere atto con serenità, ma con assoluto realismo che grandi aree del pianeta sembrano assolutamente refrattarie alla narrazione, al sogno paradisiaco, democratico e liberal-liberista occidentale.

Dal bipolarismo socialismo-reale vs capitalismo siamo passati almeno a una dinamica triangolare con weltanschanuung, visioni del mondo altamente strutturate e capaci di muovere intere società in aperta rotta di collisione con il disegno occidentale. Si tratti di quella islamica, dove la religione, checché se ne dica, appare elemento cardine e fondante senza la quale sarebbero difficilmente traducibili e comprensibili gli equilibri politici ed etnici o i semplici interessi economici, o di quella cinese, dove l’economia di mercato diventa solo strumento politico ai fini di un tentativo imperiale mondiale dove una storia millenaria si fonde con la più recente applicazione di un socialismo unico e originale. Intanto l’Occidente appare sempre più stanco, confuso e senza direzione, al cappio di una politica effeminata del presidente Usa e dell’ebete orgoglio del segretario agli esteri Blinken che dichiara a Kabul “missione compiuta” a chi gli fa notare le assonanze fra la capitale afgana e la Saigon del 1975.

No, signor segretario, a Kabul l’Occidente e l’America hanno tradito la loro missione, e poco importa che essi continuino a detenere ancora, non sappiamo per quanto tempo, la leadership economica, militare e scientifica: per il popolo afgano l’unica narrazione occidentale realistica è ormai quella della sua debolezza e viltà, al netto di tutti i racconti cinematografici e pubblicitari in cui essa è maestra. Non credo che l’Afghanistan e il mondo intero dimenticheranno tanto presto questa sua splendida performance.

Paura a Kabul, Afghanistan in mano ai talebani: cronaca di una missione tradita

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