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Redazione

Ricostruire la collezione Ruffo, imperdibile occasione di ricchezza e cultura

La proposta per "salvare" un pezzo di storia messinese. Molti quadri sono andati perduti a causa delle varie dispersioni che hanno subito, però alcuni sono stati rintracciati in vari luoghi del mondo dagli studiosi che nel corso dei decenni

Passando dalla cortina del porto, quasi nei pressi della pizzeria Fratelli La Bufala, proprio all’inizio della famosa Palazzata costruita per volontà del vicerè Emanuele Filiberto di Savoia a partire dal 1622, quanti sanno che proprio lì aveva sede una delle collezioni d’arte più importanti d’Italia ve d’Europa? Parliamo della famosa collezione di Antonio Ruffo principe della Scaletta, iniziata a partire dagli anni Quaranta del Seicento e che alla fine degli anni Settanta, passando indenne la rivolta antispagnola del 1674-78, contava quasi trecento quadri commissionati ai massimi artisti dell’epoca, oltre ad una serie infinità di marmi, opere preziosissime di argenteria e arazzi, mobili e altre meraviglie.

Nel Palazzo Ruffo di Messina, innalzato grazie alla sapienza imprenditoriale di Antonia Spadafora, che alla morte del marito don Carlo Ruffo prese in mano energicamente le sorti della famiglia, oltre alla stupenda collezione artistica (probabilmente la più importante collezione privata di famiglia non regale o papale del suo tempo), si riuniva l’aristocrazia intellettuale del tempo, che amava conversare di tutte le materie dello scibile umano. Successivamente alla morte del Principe, avvenuta proprio nel 1678, la collezione cominciò a smembrarsi per le varie divisioni ereditarie fino scomparire del tutto a metà Ottocento, quando la restante parte di opere rimaste a Messina venne distrutta da un incendio avvenuto nella villa Ruffo di Gazzi.

Il Principe, da grande mecenate ed esperto d’arte, trattava direttamente con gli artisti, imponendo non solo i temi ma discutendo sulla qualità delle opere stesse, che dovevano essere sempre di prima scelta. Infatti, abbiamo numerose lettere indirizzate ad artisti del calibro di Artemisia Gentileschi, Guercino, Rembrandt, Pietro da Cortona, in cui Ruffo puntualizza il suo pensiero e non bada a spese pur di avere per sé solo il meglio. Unico cruccio del Principe fu quello di non aver trovato nemmeno un piccolo quadro di Caravaggio, sebbene abbia sguinzagliato i suoi emissari in tutt’Italia alla ricerca di una piccola reliquia del Merisi da aggiungere alla sua mirabolante collezione. Tuttavia, se non ebbe Caravaggio, il Ruffo -unico collezionista in Italia del suo e dei nostri tempi- ebbe ben tre opere dell’olandese Rembrandt, da molti stimato addirittura superiore al Caravaggio, e cioè un “Aristotele guarda il busto di Omero”, un “L’Omero cieco” e un “Alessandro il Grande”. Oltre al Rembrandt, Ruffo collezionò quadri di pittori come Guercino, Artemisia, Salvator Rosa, Andrea Sacchi, Ribera, Pietro da Cortona, Stomer, Novelli, Guido Reni, Mattia Preti, nonché i maggiori pittori messinesi del Seicento come il Rodriguez, il Barbalonga e soprattutto Agostino Scilla, il pittore-filosofo che di Antonio Ruffo fu anche amico e consigliere. Insomma, una pinacoteca che se fosse ancora in piedi, potrebbe tranquillamente far concorrenza a molti musei del mondo.

Cosa si potrebbe fare? Purtroppo molti quadri sono andati perduti a causa delle varie dispersioni che hanno subito, però alcuni sono stati rintracciati in vari luoghi del mondo dagli studiosi che nel corso dei decenni si sono occupati della collezione. Ad esempio, la tela con “Aristotele che guarda il busto di Omero” è custodita al Metropolitan Museum of Art, laddove approdò nel 1961 dopo un vorticoso giro tra mercanti e aste d’arte. Non solo di questa tela sappiamo la collocazione; ma di tanti altre, come quella di Ribera, di Stomer, di Novelli, del Rosa e di Artemisia, sappiamo perfettamente dove attualmente si trovano, anche se non sempre chiaro è il giro che le ha portate lì. Una bella iniziativa, organizzata di concerto con il Museo Regionale, l’Università ed il Comune, potrebbe essere quella di riunire in una mostra temporanea le opere che possiamo ricondurre alla Collezione Ruffo. Sarebbe un’iniziativa ambiziosa e lungimirante; sarebbe un ritornare indietro nel tempo quando Messina era davvero una capitale mediterranea in grado di stare sullo stesso piano delle maggiori città europee. Sarebbe, come dimostra l’organizzazione dei grandi eventi, l’occasione per far girare l’economica e mettere in pratica finalmente quello che spesso la “politica” dice senza capirne il senso: fare soldi con il turismo.

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