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Redazione

Coronavirus tra verità e menzogne, l'unica salvezza è andare alla ricerca del buon senso perduto

La pandemia è un fatto incontrovertibile. Ma tra negazionisti e terrorismo esiste la logica, l'unica che può fermare la pericolosa tendenza verso questo crescente “black-out” della ragione che si traduce in atti amministrativi non coerenti con la situazione epidemiologica attuale

L’Italia si spacca. Prediligendo, com’è costume dei popoli ancora in via di sviluppo, gli estremi. Che si toccano piuttosto che confliggere. E generano così la confusione che nasce dall’irrazionalità, cioè quella pericolosa regressione verso gli sconfinati territori dell’inconscio collettivo.

Perché di cosa, se non dei più oscuri archetipi dell’inconscio collettivo, si nutrono le scomposte reazioni di folle che urlano al “negazionismo”, in ciò allineandosi con le altre, di folle, quelle dei catastrofisti, i quali invece avrebbero voluto tutto chiuso, e subito, già alla fine dell’estate? Parliamo degli archetipi della violenza, dell’autodifesa, della paura “tout-court” che esclude qualunque possibilità di convivenza, figuriamoci di resilienza. Ma, soprattutto, vibra in queste reazioni la mai sopita pulsione dell’uomo di assumere il controllo del proprio futuro, reso possibile grazie al presunto incontrastato dominio della ragione sul contingente. Una ragione di cui tuttavia, a conti fatti, non si riesce a rinvenire nemmeno una briciola nella babele di opinioni idee ostentazioni che mettono a dura prova le più elementari espressioni di quello stesso controllo.

La pandemia è un fatto incontrovertibile. Da valutare con estrema attenzione per proporre interventi efficaci non solo sul piano scientifico e sanitario, ma tenendo anche conto dei suoi profondi riflessi sociologici, antropologici ed economici. Il mondo intero si è speso – e continua a spendersi – in simili valutazioni, che quotidianamente sottraggono risorse materiali e tante anzi tantissime ne impegnano di umane. Deve farlo, perché il livello di guardia nei confronti del coronavirus non può abbassarsi per la constatata imprevedibilità dei suoi meccanismi patogenetici, malgrado notevoli progressi siano già stati compiuti nella diagnostica e nella terapia. Ogni giorno è un passo in più verso la conoscenza e forse si giungerà anche a un vaccino specifico in grado di prevenire la virosi. Ma c’è qualcosa che manca e continua a mancare in questa pur capillare ricerca che apre sempre nuove frontiere nel campo, mai del tutto esplorato, della virologia. E questo qualcosa è il buon senso.

Già, ma cos’è il buon senso? Cartesio, nel suo “Discorso sul metodo”, lo definisce la “chose du monde la mieux partagée ; car chacun pense en être si bien pourvu, que ceux même qui sont les plus difficiles à contenter en toute autre chose n’ont point coutume d’en désirer plus qu’ils en ont”. E, in effetti, ciascuno di noi ritiene di possederne abbastanza e dunque non s’ingegna a procurarsene dell’altro, ignorando che questo giudizio, di fatto, del buon senso lo priva perché il vero buon senso risiede nel credere di non averne mai a sufficienza.

Ciò che è venuto sempre più a mancare in questi mesi concitati che hanno fatto il pieno di protagonismi, deliri, improperi è proprio il buon senso. Nella misura, in fondo minima, che basterebbe a inquadrare il difficile momento che stiamo vivendo nella categoria dell’imprevedibile, da fronteggiarsi pertanto muniti di quel giusto residuo d’accettazione richiesto in casi del genere. Un buon senso che permetterebbe, tanto per fare un esempio, di valutare l’inopportunità della tracciabilità a tutti i costi dei positivi per Covid sull’intero territorio nazionale così rincorrendo “sine die” un fenomeno che, giocoforza, va estendendosi esponenzialmente senza tuttavia comportare significativi aggravi alla salute e soprattutto alla risposta dei servizi sanitari alle esigenze dell’utenza. Un’informazione superficiale e tendenziosa, quando non addirittura criminale, continua ad aggirare in modo spregiudicato ogni possibile steccato etico e deontologico, procurando un allarme sociale fondato non già sulla situazione così com’è ma piuttosto su quella che potrebbe diventare. Si moltiplicano le proiezioni catastrofiche di quanti, come l’infettivologo Massimo Galli o l’igienista Walter Ricciardi, pretendono a tutti i costi di conoscere a menadito la prossima evoluzione della curva epidemica. Come le profezie di un tal Alessandro Vespignani (epidemiologo non medico, un ossimoro in termini) che predicevano la necessità di ben 150.000 posti di terapia intensiva non avessero già fatto ampia scuola in tal senso.

L’ennesimo dpcm del nostro Governo (in vigore dal 26 ottobre) conferma la pericolosa tendenza verso questo crescente “black-out” della ragione che si traduce in atti amministrativi non coerenti con la situazione epidemiologica attuale, e pertanto facilmente aggredibili sotto molti punti di vista. Principalmente quello scientifico, atteso che gli attuali dati della pandemia da covid-19 non giustificano l’adozione di misure tanto drastiche da limitare la libertà personale danneggiando peraltro intere categorie di lavoratori gravemente penalizzati dalle forzate limitazioni del proprio esercizio (ristoratori, titolari di palestre, lavoratori del cinema e dello spettacolo). Né si può, anteporre il tanto sbandierato “rischio” sotteso all’innalzamento dei contagi (fin adesso nel 95 per cento dei casi asintomatici) a quello ben più grave connesso alla sospensione dell’attività produttiva di una Nazione, come l’Italia, la cui ossatura economica praticamente si fonda sulla piccola-media impresa.       

La perdita del buon senso non può che esitare in un diffuso quanto pericoloso serpeggiamento d’idee rivoluzionarie, poiché alla violenza degli atti di questo Governo, il cui effetto si riverbera in misura sensibile sul tessuto sociale ed economico nazionale, finirà per corrispondere la violenza delle dimostrazioni di piazza, con le conseguenti infiltrazioni eversive che ne decreteranno l’illiceità. Ma non illeciti, a onore del vero, appaiono lo sconforto e la demotivazione di una comunità sgretolata dapprima da un’informazione delinquenziale e priva di filtri, e quindi da una serie successiva d’imposizioni non compatibili con la realtà dei fatti. Il che, se comunque non può costituire alibi per la violenza di cui già si è detto, certamente giustifica l’impulso di ribellione all’attuale arbitrio del potere costituito.

* medico e giornalista

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