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Venerdì, 29 Marzo 2024
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“Messina più povera senza Felice Irrera”, in memoria del prof dal sorriso malinconico che credeva in un mondo migliore

Da uno dei componenti de “La Cricca”, il ricordo di uno studioso e amico che fino all’ultimo giorno non ha smesso la sua personale ricerca letteraria e storica. Anche davanti ai pidoni di Rodia

Messina è sempre più povera. E chi ha avuto la fortuna di essere tra gli amici di Felice Irrera lo è ancora di più. Spiegare perché quella di Irrera è una figura insostituibile, come studioso e come amico, è un compito davvero arduo da assolvere, tuttavia non ci si può esimere dal provarci. La prima idea che mi viene in testa è che non esiste un confronto con Felice dal quale non mi sia sentito arricchito e gratificato. Aveva trascorso una vita professionale a formare giovani di belle speranze al liceo “Maurolico”: a insegnare loro che anche se si vuole fare il medico, l’avvocato, il notaio o chissà quale altra professione, non si può prescindere dalla conoscenza, dal riconoscimento e dall’apprezzamento del Bello, sotto qualunque forma esso si manifesti. E dopo il suo pensionamento, Felice Irrera aveva continuato a tempo pieno la sua personale ricerca letteraria e storica.

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Avevo conosciuto Felice Irrera a Centonove, dove, come ho avuto modo di specificare in altra occasione, un paio di scellerati avevano dato modo a dei Signor Nessuno di riempire un po’ di pagine culturali, e diventammo presto amici. Se dovessi individuare così, di getto, una cifra che più delle altre lo caratterizzava, direi che era la curiosità: che si traduceva in vivacità, voglia di fare, di scoprire sempre cose nuove e intraprendere strade che non sapeva esattamente dove avrebbero condotto. Era stato così con la traduzione della “Messana illustrata” di Placido Samperi, da molti tentata e presto abbandonata, e da lui portata a termine insieme a Pino Puzzello. E la stessa accoppiata concedeva il bis con il “Sicanicarum rerum compendium” di Francesco Maurolico: due opere latine che da secoli attendevano qualcuno che le traducesse. Due opere che in tanti avevano finto di aver letto, ma ne avevano solo sbocconcellato dei piccoli pezzi. E spero che il lavoro cui attendeva, sulla “Commedia” di Dante, veda presto la luce per rendergli il giusto onore.

E prima ancora ci aveva riuniti - Giuseppe Iannello, Daniele Macris, Giuseppe Ruggeri, Guglielmo Bambino e il sottoscritto - per dare vita a un blog, “La Cricca”: nome sulle origini del quale per delicatezza sorvolo. “La Cricca” riceveva il battesimo a Sciglio, vicino Roccalumera, dove eravamo andati a visitare la biblioteca voluta e inaugurata da Matteo Steri, e dove concludemmo la serata a pescestocco a ghiotta.

La vena conviviale di Felice si manifestava regolarmente quando ci riunivamo per una cena, o per i pidoni a Rodia, o per un semplice aperitivo a piazza San Giacomo. Ciascuna di queste occasioni, però, diventava il trampolino di lancio per una nuova idea, per un’altra iniziativa, per l’ennesima avventura. Come il volume sui viaggiatori a Messina: ci attirò con il perfido inganno dell’aperitivo e affibbiò a ciascuno di noi un compito da svolgere per realizzare uno dei più bei libri che raccontano la nostra città.

A tavola, in altro momento, festeggiammo lo scampato pericolo dopo la malattia che lo aveva minacciato, e diventò anche quella un’occasione per nuove proposte e nuovi progetti.

Ma Felice Irrera non era solo uno studioso e un infaticabile traduttore. La curiosità di cui sopra, assieme a una nuova spiritualità maturata negli ultimi anni, lo aveva portato a frequentare la storica chiesa dei Marinai – quella del “Vascelluzzo”, per intenderci – e a produrre una storia della chiesa e della confraternita annessa: un libro realizzato insieme alla moglie, Liliana Nania, che più volte era stata valida spalla nelle realizzazioni del marito, e adesso ne diventava a tutti gli effetti “socia”. E alla famiglia di Felice mi unisco in un ideale abbraccio.

Ma ora mi fermo con l’elencazione dei lavori: comunque ne lascerei fuori chissà quanti, tanto vale staccare. Mi piace però ricordare l’altra faccia del Felice Irrera scrittore, quella ironica e satirica. A cominciare dai poemetti di tanti anni fa, di cui spesso ci faceva dono: ciò avveniva durante le nostre chiacchierate o in occasione di qualche visita a casa sua. “Ah, ho pubblicato questa cosetta” diceva con la modestia che era un’altra delle sue caratteristiche, e ce ne allungava una copia. E il romanzo-racconto “La biblioteca segreta del monastero”; e le poesie satiriche che pubblicava sulla sua pagina Facebook, che rivelavano la parte giocosa, ma non per questo meno indignata - della sua anima.

Ultimo aspetto che voglio evidenziare, la sua onestà morale e intellettuale, anche quando assumeva posizioni che andavano contro il sentire comune. Come il disvelamento – con relativa dimostrazione – dell’inconsistenza della leggenda della Lettera della Madonna, o la posizione contro la frettolosa santificazione del vescovo Angelo Paino.

Mi mancherà tutto questo. Mi mancheranno le chiacchierate telefoniche a milleduecento chilometri di distanza, durante le quali mi raccontava le cose a cui lavorava e mi dispensava consigli e indirizzamenti quando gli sollevavo dubbi e domande sul mio lavoro. Mi mancherai, Felice, e mancherai a tutti quelli che hanno avuto il piacere di dividere con te un po’ del loro tempo in questo mondo.

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