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Redazione

Il populismo? E' l'illusione dei senza diritti

Elezioni in Umbria e quelli presidenziali in Argentina. Due eventi politici distanti geograficamente tra loro, ma che hanno un comune denominatore: la capacità attrattiva di un atteggiamento ideologico che fa presa sulle fasce più deboli della società. Ecco perchè

Eventi politici distanti geograficamente tra loro, come le elezioni regionali in Umbria e quelle presidenziali in Argentina, a ben vedere hanno un comune denominatore: la capacità attrattiva del populismo sulle fasce più deboli della società.

Fenomeno non nuovo dal punto di vista politologico e sociologico si dirà, visto che anche negli anni Trenta del ‘900 i fascismi e il nazismo in Europa andarono al potere sostenuti, ad un tempo, da settori della grande borghesia industriale e agraria, dai reduci disillusi della Grande guerra e da moltitudini di diseredati, abbacinati dall’illusione del rapporto diretto con l’uomo forte e carismatico al comando.

Ma, oggi, il populismo si presenta in forme nuove e, in verità, diverse, in uno scenario profondamente cambiato.

Nell’800, alle origini della modernità, l’economia di mercato aveva stimolato libertà, non solo economiche, e diritti, oltre che mobilità sociale, e nella seconda metà del secolo scorso l’intervento pubblico in economia di stampo keynesiano e le politiche sociali di tipo redistributivo attraverso il Welfare State, avevano temperato le asprezze del capitalismo in Occidente, anche in ordine all’esistenza di un sistema alternativo e conflittuale sul piano economico e politico, rappresentato dal collettivismo comunista. Oggi, la globalizzazione economica e finanziaria e la smaterializzazione del capitale stanno generando una società organicistica e incorporata, con masse di individui isolati nei confini di Stati-nazione con sempre meno poteri ed élites finanziarie a livello planetario. Una società divisa tra subalterni dentro i confini statali e oligarchi dentro il loro potere globale, il risultato è evidenziato da un dato: a più di dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. L’anno scorso soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale.

E la concentrazione di ricchezza in poche mani ha anche una conseguenza anche sul piano politico: la crisi della rappresentanza collettiva, la disintermediazione sociale, lo svuotamento della partecipazione alle scelte pubbliche, in una parola quella “post-democrazia” descritta da Colin Crouch.

Una delle cause di questo scenario che sembra distopico ma, purtroppo, è reale, il cui interfaccia è la “democratura” (democrazia più dittatura) di Putin, viene rappresentata dalla circostanza che i partiti di sinistra nel XX secolo rivendicavano, con o senza fine ultimo, diritti collettivi e reddito per i settori più deboli delle società, attraverso la solidarietà di classe o di ceto e la presenza politica nelle istituzioni liberaldemocratiche. Oggi, i partiti che si richiamano a quella tradizione, predicano l’austerità nell’illusione che assecondando la “fine della storia” di marca liberistica e accettando il paradigma della flessibilità, della precarietà e della (presunta) meritocrazia che diventa, tranne pochi casi, una gabbia di classe, “addà passa’ a nuttata” per dirla con il Grande Eduardo,  mentre al posto dei diritti sociali si propone l’impegno per quelli umani, in primo luogo delle moltitudini di immigrati, che spingono oltremodo i settori più poveri della società verso chi alimenta razzismi e paure.

Bolsonaro in Brasile e Piñera in Cile sono andati al potere proprio sull’onda di un populismo che, rivolgendosi ai più poveri, tutela i privilegi dei ricchi, provocando adesso rivolte sociali; Orban in Ungheria e i Paesi di Visegrad alimentando razzismi e alzando muri; Salvini in Italia, tra flat tax e paura dell’immigrazione, invero incontrollata, guardando a questi modelli, che hanno in Donald Trump una sorta di paradigma. Certo, il peronismo in Argentina è un caso a sé, poiché gli eredi del justicialismo (tranne Menem) hanno sempre perseguito una ipotetica “terza via” tra capitalismo e socialismo, con elementi di sindacalismo nazionale, patriottismo, interventismo pubblico, terzomondismo, che appaiono molti vicini sul piano della cultura politica alla breve esperienza della Repubblica di Fiume del 1920, basata sulla Carta del Carnaro di D’Annunzio e di Alceste de Ambris.

La sconfitta delle forze di sinistra alle elezioni umbre, alleate con i pentastellati, il “non partito” della democrazia del click che non vuole far votare gli anziani, deve fare riflettere, come del resto il triste declino della socialdemocrazia tedesca arresasi all’ordoliberalismo della Merkel: i partiti socialisti e laburisti devono riscoprire il conflitto sociale e politico in favore delle classi più deboli ed emarginate, come è avvenuto di recente in Portogallo e Danimarca, che, in caso contrario, saranno periodicamente attratte dai diversi populismi, quale illusione dei “senza diritti”. E attenzione, perché anche sul territorio i piccoli populisti crescono…

* docente Università Messina

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