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Redazione

“Ho fatto un sogno sulla mia città”, il progetto-scuola per riscoprire identità e memoria

L'iniziativa promossa dalla Biblioteca Regionale ha coinvolto i giovanissimi studenti di Ainis, Basile, Jaci, La Farina, Maurolico e Verona-Trento. Cortometraggi, video e perfino la pubblicazione di un romanzo a più mani, incentrate su personalità che hanno dato lustro a Messina nell’ultimo scorcio della sua storia

Si è appena concluso il Progetto-scuola 2019-2020 “Ho fatto un sogno sulla mia città” promosso dalla Biblioteca Regionale di Messina, cui hanno aderito gli Istituti superiori “Ainis”, “Basile”, “Jaci”, “La Farina”, “Maurolico”, “Verona-Trento”. Il “sogno”, ideato e curato nei minimi particolari dalla direttrice della Biblioteca Tommasa Siragusa, è quello di una Messina finalmente depurata dalle scorie del provincialismo autoreferenziale che da decenni non permette il suo decollo. Gli istituti partecipanti l’hanno realizzato con originali produzioni didattiche – cortometraggi, video e perfino la pubblicazione di un romanzo a più mani – incentrate su personalità che hanno dato lustro a Messina nell’ultimo scorcio della sua storia, quel Novecento d’ombre e luci che, a fatica, cerca di risalire la dolorosa china di tirannie e oscurantismi. Personalità che hanno strutturato, in senso positivo, un’identità urbana spesso sfregiata dal morso dell’apatia e dal degrado dell’anima, consentendo di poter oggi parlare di una cifra virtuosa cittadina in grado di opporsi alla dilagante globalizzazione della nostra sofferta post-modernità.

E’ stato così che l’universo delle giovanissime generazioni ha potuto popolarsi di figure – ben più che fantasmi – con i tratti di Giovanni Pascoli, che a Messina della sua vita trascorse, com’egli stesso scrive, “gli anni più belli e operosi”; o di Maria Costa, custode di storie e leggende marinare espresse nel prezioso vernacolo pre-terremoto; o, ancora, di Nino Ferraù, originario della provincia nebroidea e che operò a Messina nel segno di un costante rapporto con i grandi della cultura italiana del tempo (Quasimodo, Pavese, De Chirico, solo per citarne alcuni).

Un esempio – l’ennesimo, ma sembra ve ne sia oggi più che mai bisogno – della “resilienza” da opporre al tenace cupio dissolvi cui i nostri giovani, costretti dalla pandemia al protratto isolamento della didattica a distanza, rischiano forse più d’altri di andar incontro. Una resilienza che ha il nome e il cognome di un progetto pensato per consolidare il senso d’appartenenza perduto che, lungi da campanilismi e “sovranismi” di sorta, è l’humus indispensabile per tornare a immaginare una città a misura di futuro. Sull’esempio del passato.

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