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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Lavori al Jolly Hotel, quell'insulto architettonico che rompe il ritmo

Il prospetto laterale lato sud ha subito l’incauto ampliamento dettato da una nuova esigenza “interna”. Uno sfregio per lo storico palazzo che ha portato la città nel Novecento e che ci parla ancora della Palazzata

La forma in architettura è anche espressione delle necessità dettate dalle ergonomie interne finalizzate a migliorare il più possibile l’uso per il quale l’organismo architettonico è destinato. I cambi di destinazione d’uso delle architetture nelle città sono questione nevralgica, spesso sottovalutata dagli strumenti urbanistici e dai pianificatori. Il fenomeno, se non regolamentato, causa carichi urbanistici difficili da recepire dalle già dimensionate infrastrutture preesistenti (strade, reti di servizi, parcheggi, etc.). Ciò spiega taluni caos urbani che nuocciono fortemente alla qualità della vita cittadina. Mutare la destinazione d’uso espone anche a delle trasformazioni degli involucri architettonici che incidono fortemente sulla loro espressività. Producono squilibri compositivi e turbano l’armonia dei prospetti, e cosa più grave, possono compromettere anche la visione dell’ambiente urbano. Sulle architetture di pregio, può verificarsi non solo la trasformazione della forma e dei volumi, ma gravi distorsioni del loro valore culturale, storico, artistico e documentario, causando sottrazioni di memoria collettiva o l’insulto di stereotipi estetici nei quali generazioni di cittadini, nel tempo, si sono riconosciuti.

E’ il caso del Jolly hotel di Messina. Oggi il prospetto laterale lato sud, al piano primo, ha subito l’incauto insulto di un ampliamento dettato da una nuova esigenza ergonomica interna: è stato aggiunto un corpo, che in origine non c’era. Sono state praticate bucature e altre superfetazioni che hanno violato fortemente l’involucro architettonico e la sua espressività.  Alterando la sagoma del Jolly Hotel non si è alterato solo un organismo architettonico che aveva una sua ferrea definizione, un suo equilibrio perfetto e una palese armonia geometrica, coerente e poetica, si è alterata soprattutto una visione urbana, si è rotto il ritmo del razionalismo messinese.

Si è rotto il passo della nuova palazzata, e ora la percezione inciampa e restituisce dolorose sgradevoli sensazioni.

La nuova palazzata

Era il 28 agosto del 1930 quando fu bandita la gara d’idee denominata: “Concorso per una facciata tipo verso il mare della nuova Palazzata”. La città era rimasta a lungo senza potersi specchiare sulle acque del suo porto, come aveva fatto per secoli.  Il tema richiamò molti grandi architetti italiani. Parteciparono 29 gruppi di progettisti con altrettanti progetti. Uno di questi gruppi era composto, persino, da Adalberto Libera e Mario Ridolfi, due maggiori del razionalismo italiano: il primo famoso per aver realizzato il Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma e la Villa Malaparte a Capri; il secondo per il Palazzo Delle Poste di piazza Bologna a Roma e per aver dettato la cifra stilistica delle case popolari realizzate, nel secondo dopo guerra, in tutta Italia, dall’Ina Case nell’ambito del famoso Piano Fanfani.

A vincere fu un gruppo di progettisti eterogeneo, così come eterogenea era la loro proposta: una sequenza di undici blocchi regolari distanziati da spazi uguali. Il motto del progetto era: Post fata resurgo. La cifra stilistica non era del tutto razionalista, risentiva delle esperienze e della formazione degli elementi del gruppo: Camillo Autore, discepolo di Ernesto Basile; Guido Viola, Giuseppe Samonà, Raffaele Leone ed Enrico Calandra.  Furono premiati con la seguente motivazione: “Lo spirito di sobria e ritmata monumentalità e il ritmo architettonico generale informato ad una felice funzione di modernità di spirito come italianità tradizionale di forme basate su un’alternanza di partiti verticali con partiti orizzontali molto felicemente tratta per evitare i pericoli di una monotonia lungo il fronte”.

Jolly Hotel ieri e oggi, così si deturpa uno dei palazzi più belli del centro

Una sequenza di palazzi, posti a cortina sul porto, che partendo da sud verso nord è come un evolversi del modernismo classicista verso il razionalismo con al centro un elemento cerniera (l’attuale Palazzo del Banco di Sicilia di Camillo Autore autentica metafore di questo passaggio). Il ritmo costante dei blocchi scandice il transito dal gusto monumentale dei blocchi di Guido Viola alla purezza quasi De Stil degli ultimi edifici. Nella loro veduta d’insieme è lampante il progredire da un modernismo ancora contaminato da stilemi classicisti verso la rottura totale di una architettura del tutto liberata dalla ridondanza e dell’orpello che si fa neoplastica. Tra questi il Jolly Hotel.

Una bellezza nuova che, sia pur con ritardo, ha portato la città nel ‘900. Una cifra razionalista che con la sua purezza creativa diviene un elemento di grande qualificazione identitaria e si propone in prima fila sul porto, mettendosi alle spalle il conservatorismo della stagione ecclettica. Il palazzo del Jolly Hotel, il numero 10, come il n° 4, 5, 6, 9 e 11, palesa la sua struttura portante, mette in mostra travi e pilastri conferendo loro il compito di dettare il ritmo del partito architettonico. Il prospetto è scandito da regolarissime campiture costituite dalla ostentazione strutturale. Particolari fatti di multipli e sottomultipli di geometrie regolari. Materiali innovativi come i pannelli di tesserini in vetro colorate di giallo e di viola, modelli geometrici che si rifanno con estrema coerenza alla razionalità perfetta dei volumi e al passo uguale dell’intera cortina che alterna costruito possente a brevi vuoti. Un atteggiamento rigoroso ma brillante al tempo stesso, che insieme a tutti gli altri palazzi si sostituisce alla bellezza convulsa dell’antica palazzata dandoci un’idea altra della modernità e della bellezza architettonica.

La Nuova Palazzata è la metafora di un miraggio razionalista sull’acqua. Una suggestione fatta di semplicità di forme, schiette, chiare, dignitose, a volte autorevoli, come il palazzo dell’Inps, di Giuseppe Samonà, (riconosciuto come autentico capolavoro dell’architettura italiana del XX secolo).

Un ritmo che non ammette dilatazioni o articolazioni volumetriche, pena la perdita del suo incanto!

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