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Giovedì, 25 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

L’architettura è un’idea che prende forma. È una storia che si plasticizza. Le città sono fatte di architetture, di palazzi, di monumenti, di spazi modellati dall’architettura. Le città sono la forma della Storia. “Quando visitiamo una città lo sguardo percorre le vie come pagine scritte” I. Calvino. Se la scrittura racconta il pensiero dell’uomo la città narra come egli vive o ha vissuto

La forma delle idee

Chiesa di San Tommaso, la bellezza castigata

Disturbante articolazione volumetrica e incongrue stratificazioni hanno mortificato uno dei pochi esempi di architettura arabo siculo normanna rimasta a Messina. Ecco come il vigore maschile di una solenne architettura è stato cancellato o distorto da un culto dedicato alle vergini

Qualche giorno fa, mentre stavo facendo visitare il centro storico ad un’amica che veniva in città per la prima volta, percorrendo la via Romagnosi diretti alla Galleria Vittorio Emanuele III il suo sguardo intravide la parte posteriore della chiesa di S. Tommaso, e stranita dall’incongruità della sua cupola mi chiese: “.. è un osservatorio astronomico?”. Chiarì subito che si trattava di una delle architetture più importanti della città, una progenitrice dell’Architettura Arabo Siculo Normanna, ma l’impressione da quella prospettiva era quella, non le si poteva dare torto.

Uno dei momenti più alti della storia dell’architettura isolana è quella dell’Architettura Arabo Siculo Normanna. Un linguaggio che assume un valore culturale universale distinguendosi per il suo atteggiamento inclusivo delle esperienze architettoniche e culturali precedenti.

Chiesa di San Tommaso sotto la lente, la galleria fotografica

Una cifra autoctona sviluppata durante il dominio normanno che tenne conto dei codici di base del luogo in cui si è insediata. Fece sintesi delle tradizioni locali, in primis di quelle araba e bizantina che in quel periodo erano l’immagine indiscussa dei popoli del Mediterraneo e della loro storia. A queste esperienze espressive arditamente innestò la tradizione romanica del nord Europa, già declinata pregevolmente in Puglia e Calabria e plasticizzato la sua virile cultura guerriera.

Con questi ingredienti i normanni in Sicilia hanno elaborato un linguaggio ibrido, una sorta di esperanto architettonico che ha prodotto segni nuovi dal significante antico senza tagliare radicalmente con il preesistente elaborandone una sua evoluzione.

Un modello simbolo di integrazione

L’Architettura Arabo Siculo Normanna rappresenta il modello a cui dovrebbero ispirarsi tutti i nuovi poteri egemoni quando si insediano in un territorio, proponendo l'integrazione e l'evoluzione delle architetture preesistenti, invece di cancellare la tradizione e recidere le identità dei popoli, come spesso accade, imponendo radicalmente la loro cultura. Posto che comunque, per dirla con De Andrè, “non ci sono poteri buoni” e quindi sarebbe sempre auspicabile l’autodeterminazione, almeno culturale e artistica, dei popoli.

L’estetica dei Normanni fu un filtro delle culture che l’hanno anticipata, un crogiuolo delle tracce del passato. Essa esaltò la capacità del popolo siciliano di riplasmarsi ad ogni cambio di potere restando sempre sè stesso, mantenendo sempre forti le radici identitarie e le secolari tradizioni. Una bellezza che pur cancellando per mandato politico quella del preesistente mondo islamico e ortodosso ne assorbì comunque gli stilemi ed i significanti.

Questo processo politico-culturale che si plasticizzò in un nuovo linguaggio architettonico ebbe avvio a Messina, naturale approdo dell’invasione normanna, per poi ramificarsi in tutta la Sicilia in direzione Catania e Palermo.

La storia cancellata da calamità naturali e... umane

In riva allo Stretto questo straordinario incipit culturale, questo lievito, è stato in gran parte cancellato dalle catastrofi naturali che hanno afflitto la storia della città (i terremoti) ma anche dai poteri e dalle culture dominanti che sono sopravvenuti.

Così Messina conserva pochissime tracce dei prodromi di questa grande stagione culturale. Nel magazzino della sua memoria ritrova solo uno sparuto numero di elementi. Sono opere dal grande valore storico artistico che vista la loro superstite sporadicità assumono un grande valore identitario e documentale. Frammenti che aiutano ad intuire la forma del passato di questa città e del suo territorio. Piccoli brandelli di genius loci sbiadito. Sono “lacerti di memoria”, come direbbe Gillo Dorfles.

Quelli ancora integri in ordine di tempo:

- l’abbazia S.Filippo da Fragala’ a Frazzano’ del 1090;

- la chiesa dell’Abbazia di S. Maria di Mili del 1091;

- la chiesa dell’Abbazia di S.S. Pietro e Paolo ad Itala del 1092;

- la chiesa dell’Abbazia di S.Pietro e Paolo d’Agrò (Ecclesia Munita) a Casalvecchio del 1117;

- la chiesa di S.S. Annunziata dei Catalani, nel cuore della città, del 1150;

- la chiesa della Badia di S. Maria della Scala in contrada Badiazza (Ecclesia Munita) a Messina, del 1168;

Tra questi va annovera anche la chiesa di S. Tommaso un piccolo gioiello di architettura arabo siculo normanna di pregevole valore culturale incastonato nel centro storico tra il Monte di Pietà, la Chiesa a croce greca di S. Antonio Abate e la Galleria Vittorio Emanuele, in via Romagnosi.

Un brandello di autentica storia messinese, che ci dà l’idea del ruolo che ebbe la città all’inizio del processo di latinizzazione dell’isola da parte dei Normanni.

L'esempio Santa Maria di Mili

L’opera, considerata la tipologia architettonica, è sicuramente coeva a S. Maria di Mili, probabilmente di poco anteriore vista l’assenza degli archi incrociati e degli archetti absidali sospesi.

Potrebbe trattarsi di un elemento palingenetico di quelle architetture sopra elencate che furono le matrici delle grandi cattedrali e dei tempi di Cefalù, Palermo, Catania, Monreale, etc..

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L’indizio principale è la muratura in pietrame con i consolidanti ricorsi in laterizio, poi la navata unica, la piccola abside e l’evidente traccia dell’originale copertura a tetto a due falde. Elementi restituiti da un buon restauro operato dalla Soprintendenza sul finire del secolo scorso che ha fatto ben comprendere l’originaria semantica maschia e guerriera del tempio.

Il resto è un susseguirsi di stratificazioni che hanno notevolmente alterato l’originale. Sovrascritture che se non fosse per i forti e strutturali connotati che caratterizzano i primordi della cifra normanna in Sicilia essa sarebbe illeggibile.

L’organismo architettonico giunge a noi con un improbabile trabeazione lapidea sul prospetto a capanna che normalizza il timpano.

La trabeazione ha l’aria di essere stata sottratta da altra architettura e la data in essa riportata (1530) potrebbe essere riferita all’erezione dell’edifico da cui è stata recuperata e non al periodo in cui fu intitolata a S. Tommaso (come vedremo in appresso potrebbe risalire all’epoca dei teatini). Al suo interno riporta un’epigrafe consacrativa all’apostolo cristiano non del tutto leggibile ma che verosimilmente potrebbe essere: TIBI DIVE SACRAVIMUS AEDEM (DA) PRO TERRENIS AETERNAE PLATEAE REDDERE MAGNA POTESTATE REX INTUS TE DUCE STRUXIT.

Stridono i riempimenti triangolari eseguiti per sostenere la trabeazione montata sull’apice del timpano dai quali si evincono alcuni brani dell’intonaco con il quale, a suo tempo, è stata ricoperta l’intera facciata.  Stride la perforazione del frontone con un oculo marmoreo del tutto estraneo.

Sconvolge la trasformazione del tetto a falde in una volta a padiglione.

Sulle pareti laterali si notano una serie di trasformazioni delle bucature, ora aperte ora chiuse.

All’interno la tipica austerità virile delle chiese normanne del primo periodo è occultata da un intonaco color crema a piena parete mentre la sua originale articolazione lineare ad unica navata è stata infranta dall’intromissione di un improbabile presbiterio caratterizzato da paraste ed archi in leziosa pietra rosa che sostengono uno sproporzionato tamburo cubico che a sua volta regge una cupola emisferica così fuori scala da sembrare una capsula spaziale. Tutto sembra essere frutto di un adattamento ad un vezzoso linguaggio neorinascimentale improprio ed inopportuno, ove per ingentilire l’interno si è deformata l’armonia volumetrica esterna.

Sicché dall’esterno la cupola si evidenzia con un’articolazione di volumi del tutto disarmonici al punto da sembrare una struttura aliena sovrapposta. Una sorta di eterotopia disturbante. Un insieme di volumi squilibrati che alterano la percezione di quello che al netto delle sovrascritture possiede una bellezza architettonica rara e un valore culturale immenso.

L’opera è contaminata da una confusione di elementi così fuori scala che, vista dalla strada, più che ad una chiesa la fanno somigliare ad un osservatorio astronomico.

L’architettura è questione di forma mentis.

Come più volte affermato in questa rubrica l’architettura è un’idea che prende forma. Una categoria di pensiero che si plasticizza. L’architettura è questione di forma mentis.

Se questa è buona esprimerà armonia ed equilibrio, diversamente disturberà l’animo fornendo percezioni sgradevoli.

Nel caso della chiesa di S. Tommaso le forme delle sue contaminazioni ci dicono che in passato qualcuno, latore di una categoria di pensiero disarmonica e insensibile, ha violato la sua forma originale cambiando radicalmente la sua espressività, mortificando la sua bellezza fino a condurla all’oblio.

Forse quella sua bellezza ieratica, virile, mal si confaceva a una categoria di pensiero verginale. E così venne cancellata da una forma mentis dalla visione del mondo radicalmente opposta a quella che in origine l’aveva concepita. A sostenere questa ipotesi ci aiuta la storia della chiesa che secondo alcune fonti, nel XVI secolo fu la cappella del Conservatorio delle Vergini Riparate, intitolata alla Madonna delle Vergini Riparate.

Il Conservatorio fu tra i più importanti istituti di ospitalità della Sicilia spagnola, un tempo chiamati ospizio di pubblica pietà, che accoglievano ragazze violate o ragazze vergini rimaste orfane, “conservandole al riparo dai pericoli della vita”. Questi conservatori erano istituti religiosi che avevano la finalità di mantenere l’integrità morale delle vergini e consentire di ripararla a quelle donne la cui “verginità avevano perduta con lubrichi contatti con il mondo maschile”. In questi luoghi le prime prendevano i voti e le seconde, le repentite (ree-pentite), avevano la possibilità di pentirsi delle loro “vite peccaminose” ritirandosi in clausura.

Se si dà credito alla fonte che indica l’intitolazione della chiesa alla Madonna intorno al 1585, anno in cui viene istituito il conservatorio, si smentisce la tesi secondo la quale i rimaneggiamenti e l’intitolazione a S. Tommaso risalgono al 1530. Così si conferma il sospetto precedentemente avanzato che la sovrapposizione in facciata della trabeazione e l’intitolazione all’apostolo Tommaso sia avvenuta in epoca successiva al 1530. Probabilmente dopo il 1606 quando la struttura fu acquisita dai patri teatini i quali chiusero il conservatorio.

Questa ricostruzione sembra la più plausibile poiché spiegherebbe tutti i rimaneggiamenti operati in senso più mistico compresa la terribile copertura con intonaci delle possenti murature normanne. Tutti significanti più adatti al culto mariano e alla frequentazione di donne poste al riparo da ogni segno che potesse alludere al mondo maschile e procurare alle pulzelle pensieri peccaminosi.

Nel 1662 Guarino Guarini realizzerà la famosa Chiesa della SS. Annunziata con annessa, Casa dei Teatini, ubicata lungo l’attuale tracciato di via Cavour. Dopo il 1886 con la legge che aboliva gli ordini religiosi la chiesa passò in mano ai privati. 

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Oggi la chiesa di S. Tommaso a Messina con la sua disturbante articolazione volumetrica e le sue incongrue stratificazioni traduce lucidamente la metafora di come il moralismo fanatico religioso, quando castiga la bellezza e impone idee che vanno contro natura, crea grottesche disarmonie che spesso si plasticizzano anche nelle forme architettoniche.

La forma sgraziata di questa chiesa ci conduce ai soprusi compiuti un tempo dalla misericordia pelosa di certo clero con la quale operava forzature innaturali analoghe a quelle che d’impatto si possono percepire osservando l’ex chiesa normanna messinese, opprimendo le anime più deboli e reiette della società facendone ginecei appetibili ed esclusivi nascosti dentro la sacralità delle mura dei Conservatori delle Vergini o dei conventi di clausura.

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