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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Fotovoltaico, il finto ecologismo che contamina il paesaggio: architettura solare nuova speranza

Ridurre il fabbisogno di energia, aumentare il comfort termico ma senza tralasciare l’aspetto estetico-architettonico dell’edificio. Si muovono i primi passi verso un futuro che è già tra noi ma ha tanto bisogno “dell’età eroica della giovinezza”

Il paesaggio urbano, ormai da tempo è invaso da un finto ecologismo utilitarista che contamina fortemente la visione del paesaggio urbano; soprattutto quello delle città che hanno il quinto prospetto: quelle città che grazie a belvederi, punti di vista panoramici o circonvallazioni, presentano una immagine d’alto della loro massa architettonica. Queste vengono costantemente mortificata dai tetti coperti da pannelli fotovoltaici.

Grazie a questa nuova tecnologia siamo in un momento epocale per la storia dell’architettura. Essa, da sempre, qualunque fosse la sua cifra stilistica, la sua estetica di riferimento, la sua stagione, il suo valore culturale, si costituiva su due fattori di senso: la forma è la funzione. Oggi per la prima volta a questi due fattori essenziali se ne aggiunge un terzo: l’utilità. L’architettura può essere un organismo che produce energia. Energia pulita. Energia rinnovabile. Energia ad impatto ambientale vicino allo zero: energia sostenibile.

Energia solare, gli edifici che cambieranno il volto dell'architettura

Purtroppo questa nuova potenzialità ecologica spesso si trasforma in un elemento inquina la visione delle città.

Il cosiddetto “bulding integrated photovoltaias”, il fotovoltaico integrato all’architettura esistente, ha posto per gli architetti nuove complessità progettuali dovute alla rigida modularità dei pannelli. Complessità che alla luce dei fatti invece di essere risolte sono state totalmente eluse cedendo alla facilità esecutiva, alle logiche utilitaristiche degli ecobonus, alla prosaicità delle aziende produttrici, dalla faciloneria degli impiantisti. Tutto con la costretta compiacenza degli architetti ridotti, ormai, a semplici esecutori di quanto dispone il mercato.

Così assistiamo ad improprie quanto diffuse integrazioni della tecnologia del fotovoltaico nell’architettura esistente che infettano il panorama urbano fornendo percezioni ferali del paesaggio.

Un danno paesaggistico incommensurabile ancor più grave di quello perpetrato dall’alluminio anodizzato e dagli apparecchi esterni dei climatizzatori (non sempre la tecnologia migliora la vita, o almeno il senso estetico).

Siamo nel pieno di un drammatico equivoco che scambia la contaminante integrazione di impianti tecnologici, senza alcuna elaborazione formale e senza alcun rispetto dell’armonia architettonica degli edifici, con l’auspicata Architettura Sostenibile.

Un atteggiamento che consegna ovunque una semantica banale, metafora alessica di una postmodernità dove tutto tende ad esser facile o facilitato mentre del miracolo della semplicità, concepita come una complessità risolta, atteggiamento di ogni opera d’arte, non si ha più notizia.

Così si accetta l’idea che per fare un’architettura sostenibile si debba rinunziare all’articolazione creativa di un nuovo processo architettonico, lasciando spazio al dilagare del pragmatismo inespressivo della semplice integrazione tecnologica. Si accetta qualsiasi contaminazione dell’involucro architettonico per luminosi scopi ecologici, somministrando all’ambiente un rimedio che risulta peggiore del male.

La Soil Arck

Non ci resta che sperare in un grande sforzo di emancipazione lessicale rispetto all’abusata semplice “bulding integrated photovoltaias”.

In verità all’orizzonte si intravedono nuove semantiche architettoniche che interpretano una modifica radicale, anche, del paradigma architettonico più evoluto. Nuove proposte di un’architettura che si pone nella sfera ideale della categoria del divenire, affrancandosi dai codici ordinari con espressività inedite e di nuovo senso.

La Solar Architeture rimette il progetto architettonico all’interno di nuovi valori artistici, storici, sociali, esprimendo un’avanguardia che va oltre l’Architettura High Tech, oltre l’Architettura Eterotopica.

La Soil Arck, attraverso una inedita trattazione delle tecnologie solari incarna, e pratica, a pieno l'ideale vero della sostenibilità sviluppando nuovi canoni di bellezza.

Si tratta di un linguaggio, ancora non uscito del tutto dalla fase prototipa, che potrebbe trasformarsi in un vero rinnovamento linguistico dell’architettura e divenire volano di un nuovo rinascimento artistico e culturale, in un recupero della creatività e della idealità progettuale che in certi contesti appare perduta.

Queste architetture sembrano essere un’interpretazione colta della possibile virtuosa società del domani. La Solar Architeture potrebbe essere l’orizzonte che aspettiamo.

Si tratta di un’architettura che non abdica la sua creatività alla tecnologia ma se ne serve per esprimersi in forma creativa, a volte piacevolmente visionaria.

Il suo valore culturale ed artistico è ancora tutto da cogliere, ma la sua espressività, certamente, non cede alle spietate logiche commerciali e agli strumenti legislativi ed economici che agevolano quel falso ambientalismo che mira solo ad aprire nuove frontiere di mercato e nuovi territori speculativi.

Forse per capire meglio servirà un’angolazione retrospettiva, ma è evidente che il solco è già tracciato e la Soil Arck (un’architettura concepita anche per auto alimentarsi senza depauperare risorse naturali) da tempo ha emanato i primi vagiti e sta già camminando i suoi primi passi verso il futuro.

Un futuro dove sarà difficile che qualcuno possa inventarsi giacimenti privati di Sole e dove l’energia solare potrebbe produrre la rivoluzione delle ricchezze redistribuite e delle opportunità perequate.

Questa nuova cifra architettonica potrebbe plasticizzare il significante di ciò che si spera abiti il futuro: una società più umanista ed egalitaria. Una società dove l’architettura solare sia l’archetipo di una raggiunta socialità democratica che affermi quegli ideali mancati nel secolo scorso e che ebbero come significante l’architettura razionalista e tutte le avanguardie del IXX e XX secolo.

Ad interpretare queste nuove cifre riusciranno meglio gli architetti nati digitali, architetti giovani.  Serve quello che Alberto Moravia chiamava l’età eroica della giovinezza, di cui oggi si sente la mancanza. Serve quella generosa spinta biologica delle nuove generazioni che in politica come nell’arte ha sempre prodotto rivoluzioni e indicato la strada dell’avvenire.

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