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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Asilo nido al Comune mai usato, una metafora del grande spreco dei fondi europei

Li chiamano facilitatori e sono ormai i nuovi messia, costretti ad intercettare risorse che quasi mai rispondono ai reali bisogni del territorio. Un esempio a Palazzo Zanca dove si pensa ad ospitare bimbi di dipendenti decrepiti

Un’improbabile cancellata circoscrive, anzi recinge, una delle rientranze dell’articolato profilo del palazzo Municipale. Uno spazio stranamente chiuso ormai ridotto ad un ricettacolo di lordume, dove la natura in forma di sterpaglia sta riprendendosi il proprio spazio.

Qualche anno fa venne alterata malamente una delle finestre che danno su via Consolato del Mare per ricavare una porta d’ingresso esterna, mettendo in contatto la strada con alcuni locali del palazzo che avrebbero dovuto ospitare un asilo nido aziendale per i figli in fasce delle lavoratrici dell’Ente.  La nuova porta è servita da un piano inclinato in metallo con ringhiera passamano dall’intradosso reso inaccessibile da una banale rete metallica, che abbatte la barriera architettonica costituita dall’eccessivo salto di quota. Lo spazio arretrato rispetto al ciglio stradale è stato chiuso da una cancellata e la superficie reclusa pavimentata in gomma. Tutto quanto presenta un’espressività aliena al partito architettonico del monumento alterando in modo improprio l’andamento originale del perimetro.

Asilo nido a Palazzo Zanca monumento allo spreco

All’interno dell’area recintata tutto vige in stato di totale abbandono. Le opere descritte hanno l’atteggiamento tipico di quelle che non sono mai state usate.  Quanto descritto grava fortemente sul decoro urbano e rappresenta la forma delle funzioni improbabili.

Se i fondi comunitari diventano una prigione

Rientra in una fenomenologia di gestione e realizzazione di funzioni ed opere pubbliche poco virtuosa che, in Italia, ormai si perpetua senza prospettive risolutorie da molti decenni. Nessuna opera pubblica è più programmabile con criterio dagli amministratori locali, tutto decide l’Europa. Tra pareggi di bilancio in Costituzione e patti di stabilità, gli enti locali non hanno molta possibilità di spesa finalizzata ad insediare nuovi servizi e nuove funzioni necessarie alle comunità che amministrano.

Quindi? Ci sono i soldi per un improbabile asilo nido da realizzare a Palazzo Zanca, intercettiamoli!  Almeno ricaviamo qualche risorsa economica da spendere per ristorare le corti del consenso.

Probabilmente si sarà trattato di uno di quei bandi facili dove l’amministrazione poteva teoricamente porsi in coerenza con le condizioni dettate. Certo, quanti altri comuni siciliani, tutti in bancarotta, e con il personale vetusto e ridotto al lumicino, avrebbero potuto partecipare, privandosi di locali necessari per svolgere le attività amministrative? Così subito si impronta un progetto, della cui efficacia non interessa niente a nessuno, poiché quello non è l’obiettivo, si sa in partenza che l’opera non servirà a nulla.  

Intercettiamo l'inutile e il superfluo

Questo è quello che verosimilmente da anni succede in tutta Italia.  Quasi sempre pur di intercettare risorse economiche si fa quello che non sarebbe propriamente necessario tralasciando spesso di fare l’impellente. Quello che serve non lo stabiliscono le comunità e i loro diretti rappresentanti, ma lo stabilisce l’Europa che ha in mano da decenni i cordoni della borsa ed elargisce risorse secondo regole insensate e schizofreniche, snaturando ogni esigenza concreta delle comunità.

Le comunità locali non decidono più il loro destino. Le povere amministrazioni se vogliono far circolare risorse economiche debbono adeguarsi a questo balordo sistema comunitario. Così si fa l’inutile ed il superfluo lasciando marcire quel che necessita e tutto si trasforma in una colossale eterogenesi dei fini che crea piccole cattedrali nel deserto. 

Si sprecano risorse che se spese con specifica proprietà servirebbero a far risorgere le condizioni civili e democratiche del nostro paese ormai ridotte ai minimi termini. Invece si va avanti per puntuali e inconsulti micro interventi quando viceversa servirebbero infrastrutturazioni di grande scala e l’insediamento di nuove funzioni strategiche atte a determinare efficienze economiche, sviluppo culturale e civile, equità sociale e recuperare degli equilibri ecologici e ambientali perduti che espongono tutti ad altissimi livelli di rischio di ogni genere. Ma per fare ciò servono politiche olistiche di governo del territorio, in modo che le opere pubbliche, le funzioni sociali e i servizi essenziali siano in simbiosi con la vita dei cittadini.

Masterplan e il patetico attacco alla diligenza

Nessuna amministrazione può fare una vera programmazione strategica di opere pubbliche realizzando opere pubbliche necessarie in coerenza con lo sviluppo urbano, con le esigenze sociali  non avendo soldi e  giuste ed aggiornate competenze. Tutto resta in capo ai Piani Triennali delle Opere Pubbliche che sono patetici contenitori privi di risorse e dunque non osano grandi progetti strutturali. L’unico efficace strumento attuativo furono Piani Pluriennali d’Attuazione che Giovanni Astengo aveva introdotto nel testo della L. 10 del 1977 da tempo abrogati. Restano solo i Masterplan: patetico attacco alla diligenza dove, quasi sempre, c’è poco da rapinare.

Così senza un orizzonte di senso, senza la valutazione delle necessità specifiche, l’Europa emette i suoi bandi, che regalano pettini ai calvi e rasoi ai barbudos. Dando il via alle ridde sgomitanti degli infeudati che si affannano ad arrivare per primi ad accaparrarsi i soldi banditi come tanti cani che si contendano un solo osso. Tutto questo triviale spettacolo serve per fare cosa?  In questo scenario l’utilità è un dettaglio marginale. In una crisi economica devastante come quella che stiamo vivendo, ogni piccolo finanziamento per i destinatari è il famoso fegatino di mosca. Tutto si traduce nella abilità di rendicontare le spese, nel mettere le carte apposto, nel fingere formalmente che si stia costruendo un mondo migliore, più emancipato, più europeo usando a sproposito e in modo urtante quest’aggettivo.

Facilitatori, i nuovi messia

Così sono nate nuove figure professionali di cui spesso sfugge il senso che pian piano sono diventate centrali e indispensabili nella realizzazione di opere pubbliche, più dei progettisti che forniscono l’idea risolutiva, più dei tecnici che forniscono la competenza, più delle imprese che eseguono i lavori, perchè essi sono coloro che possono intercettare i soldi, coloro che si sanno muovere in quei labirintici ed enciclopedici bandi  esoterici che chi sa maneggiar quelle grida è visto come un guru, come un sacerdote di un dio, Il dio denaro.

Un quadro sconsolante dove la volontà e l’autodeterminazione delle popolazioni è una chimera, la democrazia diretta un inutile strumento, Il mandato popolare una farsa, e chi gestisce i finanziamenti fa il bello e il cattivo tempo ed ha assunto il vero potere. 

Questi nuovi messia si chiamano facilitatori (che sa tanto di unguento lubrificante). Sono i soli, santoni di un nuovo credo, che pur non avendo conoscenze scientifiche o abilità tecniche o amministrative, si sanno muovere nei meandri imperscrutabili che portano alla cassaforte.  

Ma i progetti non servino ai cittadini

A cosa serve tutto questo? Serve a sostenere e ristorare i progettisti, i fornitori dei materiali, gli esecutori, i politici, i funzionari ed i facilitatori, raramente serve ai cittadini.

Come l’asilo nido finanziato al Comune di Messina che appartiene pienamente alla fenomenologia sopra descritta.

Un asilo nido nei posti di lavoro è senza dubbio un indicatore di efficienza ed emancipazione sindacale e sociale. Nelle nazioni nord europee le pubbliche amministrazioni si dotano di asili nido, e anche di mense, per tutelare le lavoratrici, le  donne e la maternità. Ma si tratta di nazioni che assumono le giovani generazioni nella pubblica amministrazione e che non sono obbligate dall’Europa allo scellerato blocco del turnover.

Asilo nido ma i giovani dove sono?

Ed ecco il grande cortocircuito: l’Europa, secondo la ratio emancipata di cui sopra, finanzia gli asili nido nelle pubbliche amministrazione per supportare le giovani classi lavoratrici, senza verificare che nazioni come l’Italia a causa delle politiche austere imposte da essa stessa non può applicare il turnover e dunque non ha giovani generazioni impiegate che possono essere i fruitori dei servizi finanziati.

L’Europa non sa che, grazie ai suoi vincoli, nella Pubblica Amministrazione italiana l’età media del personale è di 50,7 anni, con il il 17 % dei dipendenti supera che 62 anni e solo il 2,9% sotto i 30 anni.

Ciò significa 1,5 giovani donne potenzialmente madri ogni 100 lavoratori. Verosimilmente il dato va dimezzato ad una giovane mamma che necessita di un asilo nido ogni 200 lavoratori.

A fronte di 3,2 milioni di impiegati pubblici italiani (in termini assoluti il 59% in meno di quelli francesi, il 65% di quelli inglesi, il 70% di quelli tedeschi). I pensionati pubblici sono già 3 milioni, quasi quanti quelli in servizio.

Pubbliche amministrazioni senza turnover

Con questi dati come si può pensare di finanziare asili nido nella pubblica amministrazione Italiana se non prima si finanzia l’ingresso delle giovani generazioni.

Con questi dati, che proiettati nella realtà messinese si confermano pienamente, con qualche aggravante, come si può finanziare un Asilo Nido ad un comune senza prevedere lo svecchiamento del personale?  Se l’Europa ci impone il blocco del turnover, nei comuni dovrebbe finanziare in alternativa agli asili nido dei giovevoli presidi di assistenza geriatrica aziendale, i quali essendo una funzione sicuramente fruita (ci sono ampiamente i numeri) avrebbero evitato quelle vergognosa incuria da abbandono che turba il decoro del centro storico.

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