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Giovedì, 25 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Cent'anni di baracche, la storia di donna Concetta simbolo del risanamento solo annunciato

Si trova lì dal 1909-1910. Un alloggio d’emergenza, provvisorio come i conteniers abitativi assegnati ai recenti terremotati. È il monumento più integro di un crimine sociale destinato ai messinesi superstiti del sisma del 1908

Eccola, è ancora in piedi e sfida il tempo lungo di una giustizia mancata. E’ il superstite più integro di quei manufatti che il cinismo spietato dei ricostruttori della Messina post terremoto eufemisticamente avevano chiamato “Cottege”. E’ la forma della storia più tragica di una città senza speranza. Si trova lì dal 1909-1910.  Un alloggio d’emergenza, provvisorio come i conteniers abitativi assegnati ai recenti terremotati delle Marche e del Centro Italia.

E’ il più integro, il meno superfetato di un piccolo villaggio baraccato che si trova ancora, in tutta la sua provvisorietà permanente, sulla sponda destra del Torrente Annunziata, in alto. In un anfratto allora lontanissimo dal centro cittadino, oggi laterale ad uno dei quartieri più popolati della città. È il monumento più integro di un crimine sociale destinato ai messinesi superstiti del terremoto. E’ il simbolo di una delle pagine più nere dello Stato Sabaudo. E’ l’archetipo dell’Apartheid messinese.

Baracche, il cottege dell'Annunziata monumento della vergogna

All’interno di quell’asfissiante e sempre umido gruppo di baracche, fino a qualche anno, vi era anche il simbolo vivente, la carne viva di questa secolare asimmetria di trattamento sociale. Il cuore pulsante, di questa mostruosa Apartheid: due occhi che ti guardavano penetranti e interrogativi come quelli di un cane fedele che stai abbandonando sull’autostrada.  Lo sguardo innocente di chi non capisce e non capirà mai, la tua crudeltà d’animo e il perché del suo gratuito sacrificio.

Non ricordo il cognome, ma non serve. La Signora Concetta non la dimenticherò mai. Ho avuto l’onore, e anche l’imbarazzo morale di conoscerla, durante un convegno organizzato da Legambiente dei Peloritani, al quale fui invitato nella qualità di relatore ad illustrare gli studi che da tempo conducevo sulla ricostruzione urbanistica della città dopo il 1908 e sulla nascita dei “villaggi ultra popolari”.

Era il maggio del 2008, a cent’anni esatti dal terremoto e nel Salone delle Bandiere del Palazzo della Provincia era stata allestita la mostra: “Cent’anni di Baracche, ideata da Giovanni D’Arrigo con gli scatti del bravissimo Roberto Pruiti.

Ricordo che all’improvviso i lavori furono interrotti da un rispettoso silenzio, come se fosse giunta in sala una grande personalità. Era entrata la Signora Concetta, e tutti andavano a salutarla come se fosse un capo di stato. A pensarci retrospettivamente, fu come se fosse arrivato un solenne capo indiano. Di fatto si trattava del rappresentante di una tribù di messinesi chiusi da un secolo in una riserva.

Corpulenta, quasi ottuagenaria e con gravi difficolta deambulatorie, si era presentata in sala accompagnata da altri baraccati per vedere il magnifico video denuncia “Messina 2008- la città negata” realizzato sempre da Roberto Pruiti, di cui era protagonista assoluta. Era stata l’unica ad avere il coraggio di firmare, con una croce, la liberatoria che autorizzava la pubblicazione della sua immagine e il permesso che si divulgasse il filmato relativo al tugurio in cui era nata e in cui da sempre era stata costretta a vivere (e a morire): una baracca di legno con un unico vano malsano e un cesso, (vedi foto) senza acqua corrente.

Era una donna umile vestita di povere vesti logore ma con un grande carisma. Sono andato a trovarla qualche tempo dopo. Mi ha accolto con un sorriso amaro che traduceva tutto il peso di un’ingiustizia subita per tutta la vita.

Mi ha raccontato di essere nata in quella baracca e di essere sempre vissuta in quei pochissimi metri quadri: una stanza occupata quasi tutta da un letto, un misero tavolino addossato ad una parete e in un angolo un cucinino. Separato da un pannello in cartone, un water senza lavello o bidet. Il lavabo era fuori, con l’unica presa d’acqua. E lì era costretta a lavarsi, anche d’inverno. All’epoca viveva da sola, ma in quell’antro buio e zuppo di tanfo, vi fu un tempo in cui viveva tutta la sua famiglia.

Quando le chiesi perché stava scalza mi raccontò che le scarpe per venire al convegno gliele avevano prestate. La sua silenziosa dignità struggente, che si limitava a dire: “lei pensa che mi daranno una casa?……..“, mi procurò un forte disagio. A guardarla, nonostante non avesse nessun chignon, faceva venire in mente le parole di Pino Daniele: “Donna Cuncetta parlate,  donna Cuccetta dicite! Donna Cuncè, alluccate per dispetto!!! Dint'a stu tuppo niro, ci stanno tutt'e paure, 'e nu popolo ca cammina sotta 'o muro”

L’immagine della Signora Concetta è l’emblema dei messinesi superstiti del sisma, rapinati di ogni avvenire, che per oltre cent’anni hanno vissuto e vivono ancora con la schiera piegata sotto quel muro che in riva allo Stretto ha bloccato la civiltà e la giustizia sociale.

Da qualche anno è morta, ma il suo ricordo immortalato dalle foto di Pruiti incarna la metafora autentica della Fenomenologia della Baracca: quello stato d’animo gregario e poco reattivo che ha messo i messinesi superstiti del terremoto e le loro post genie all’interno di una baracca mentale. La baracca dove i diritti si chiamano favori e i favori qualora fatti vengono chiamati miracoli.

Chiedono supplici da oltre un secolo favori e nessuno li ha mai informati che si tratta di diritti. La Signora Concetta fu eroina involontaria, versione femminile, di quel tale Giovanni Cammarata. E’ notizia di questi giorni che nuovi governi e nuovi politici non riescono ancora a districare le solite secolari pastoie burocratiche e legali. Mentre i baraccati aspettano l’eterno Godot di un diritto negato da oltre un secolo, la casa!

Ancora sanguina la ferita civile di una notte nera della giustizia che non passa, di un’asimmetria di trattamento sociale così enorme per la sua durata che nessuna coscienza può dirsi innocente. Nessuna!

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