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Giovedì, 25 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Guarino Guarini e Barocco siciliano, un “genio” che nasce a Messina con l’antica Chiesa della S.S. Annunziata

Dalla città dello stretto partì una grande stagione architettonica e culturale che divenne uno dei simboli più conosciuti della Sicilia. Storia di un esercito di preti che presero ispirazione dalle opere messinesi

L’antica Chiesa della S.S. Annunziata realizzata a Messina nel 1662 fu il primo esempio di Barocco Siciliano. Un’architettura di grande valore universale, rimasta in piedi dopo il 1908, venne successivamente demolita per prosaiche utilità.

Uomo umbratile, genio matematico, filosofo prestato all’architettura, Guarino Guarini fu il primo ad importare la suggestione spirituale dell’Architettura Barocca nella Sicilia della seconda metà del ‘600, quando l’isola era ancora ancorata ai linguaggi svevi e arabo normanni e soffriva la contrapposizione secolare tra le corone di Francia e Spagna che l’aveva esiliata dal grande processo di trasformazione umanistica del Rinascimento. Unica eccezione l’esperienza espressiva del grande Antonello da Messina.

Barocco siciliano, la prima opera a Messina

Nato a Modena il 17 gennaio del 1624, già all’età di 15 anni cominciò il suo noviziato nell’ordine dei padri teatini trasferendosi a Roma in seminario.  Nella capitale rimase per 8 anni osservando dal vivo il trionfo della nuova architettura romana di Bernini e Bormini. Tornato sotto la Ghirlandina nel 1647, prese i voti e cominciò ad insegnare filosofia. Aspri contrasti con il duca Alfonso IV d’Este lo costringono a lasciare le rive del Panaro e vagare per la penisola fino al 1660, anno in cui giunge a Messina per insegnare matematica e filosofia nella locale accademia.

Le prime opere a Messina di Guarino Guarini

Nella città peloritana cominciò le sue prime grandi opere come architetto. Nel 1662 realizzò la Chiesa della SS. Annunziata con annessa, Casa dei Teatini, ubicata lungo l’attuale tracciato di via Cavour. Qualche anno dopo fu la volta della Chiesa di San Filippo Neri, ubicata nella parte alta dell’allora via Cardines, oggi via Cesare Battisti, poco più su dell’attuale Casa dello Studente.

L’innovativo progetto per la Chiesa messinese dei Padri Somaschi, opera che racchiude il paradigma di tutta l’architettura di Guarino Guarini, redatto nel 1660, purtroppo non vide mai la luce. Proprio in questo progetto egli concepì il tema della cupola ad archi incrociati che riproporrà, qualche anno dopo, nella famosa Cappella della Sacra Sindone a Torino: un edificio a pianta centrale costituita da due esagoni dove la cupola che svetta su tutta la fabbrica presenta un sistema di nervature intrecciate che ne alleggerisce la gravità favorendo la luminosità interna.

Della Chiesa di San Filippo Neri non abbiamo nessuna testimonianza fotografica, viceversa è ampiamente documentata la Chiesa della S.S. Annunziata. Le immagini d’epoca riferiscono un linguaggio complesso generato da una geniale soluzione in pianta che risolve la difficile ubicazione e il necessario adattamento al preesistente. L’opera si distingue per l’unicità del suo campanile ottagonale, compatto come una torre guardia, che cerca di vincere il tentativo dissimulatore del formidabile andamento della facciata che ad esso si antepone. Una trovata scenica che risolve in modo creativo la complessità del compito. In quest’opera compaiono le prime volute, i primi festoni e i primi barocchismi in Sicilia. Si tratta della palingenesi indiscussa del Barocco Siciliano.

Da Parigi a Torino

Guarini lasciò la Sicilia per Parigi, i frati teatini, avendo apprezzato le sue opera messinesi, lo chiamarono nella capitale francese per la realizzazione la Chiesa di Sainte Anne la Royale, poi in Portogallo e in Cecoslovacchia per realizzare altri edifici dell’Ordine. Da Parigi la sua fama lo condusse a Torino, citta di parate, il cui carattere era stato ideato da un gruppo di architetti piemontesi di estrazione militare. Voluto da Carlo Emanuele II, il prete teatino importò nella capitale sabauda un verbo nuovo, internazionale, elaborato tra Messina, Parigi, Praga e Lisbona, assumendo quel ruolo di emancipatore dell’architettura piemontese che cinquant’anni dopo sarà di Filippo Juvarra. Entrambi latori di esperienze espressive, elaborate anche nell’ambiente messinese, che hanno proiettato Torino nell’Olimpo delle grandi capitali assolutiste dell’Europa.

Il dinamismo delle sue opere peloritane e la loro inedita teatralità, stupirono l’ambiente siciliano e richiamarono l’attenzione di molti architetti appartenenti agli ordini religiosi, in crisi di rappresentatività in un‘epoca dove si intravedevano all’orizzonte lampi di relativismo.

I preti architetti

Quanto seminato a Messina dal Guarini germinò a Palermo qualche decennio dopo con Angelo Italia, un gesuita che nel 1702 con la Chiesa di S. Francesco Saverio compì nell’isola il passaggio tardivo dal manierismo al barocco, adottando per la prima volta le colonne tortili e proponendo un campanile di chiara cifra guariniana. A questi fece seguito, sempre a Palermo, Paolo Amato, un prete dell’ordine degli infermi, che nel 1736 con la Chiesa del SS. Salvatore, ruppe ogni canone classico e scatenò, con una lussureggiante decorazione interna, un pathos mistico mai più raggiunto. Seguiranno altri interessanti episodi. Ma il seme pastinato da Guarini esplose in modo fragoroso a seguito del tragico terremoto del 1693 che colpì severamente la Val di Noto, radendo al suolo intere città.

Siamo alle porte del secolo dei lumi ed in Sicilia già si registravano le prime spinte relativiste che facevano spazio al diffondersi della cultura illuminista. A seguito dell’immane catastrofe Il Vicerè Juan Francisco Pacheco Uzeda nominò vicario generale per la ricostruzione della Val di Noto Giuseppe Lanza Duca di Camastra, incaricandolo di sovrintendere alla ricostruzione delle città cadute. Il panormita si avvalse della collaborazione dell’architetto fiammingo Carlos De Grunembergh, già autore in Sicilia di numerose fortificazioni tra le quali la Real Cittadella. 

I due concepirono nuovi impianti urbani in aree ritenute più sicure, come nel caso di Noto, abbandonando quelle ormai dirute. Il disegno delle città risorte “ex nihilo” interpretava pienamente il razionalismo illuminista e si poneva in aperta contrapposizione alla concezione barocca della città Teatrum Mundi. I due progettarono strade lineari, intersezioni ortogonali, tessuti a scacchiera all’interno dei quali ricavavano piazze, slarghi, ampi marciapiede: tutti spazi di concezione laica. Le azioni di ricostruzione riscossero un enorme successo nella popolazione per la loro capacità operativa, l’efficacia del soccorso prestato, per la visione strategica dei progetti urbanistici, virtuosa e democratica.

La chiesa locale soffrì molto il gradimento popolare di queste operazioni ricostruttive e si adoperò subito nel contrastare quel riformismo urbanistico illuminista che rischiava di fare delle nuove città strutture fisiche ove si sarebbe potuta innescare un’irreversibile deriva relativista. Nacque un braccio di ferro tra il potere temporale del Vicerè e quello spirituale del Clero che vedeva disperdere il suo consenso secolare. Le città erano ormai disegnate, bisognava intervenire sugli alzati, che sono i veri elementi che veicolano le emozioni negli spazi urbani. Così i vescovi di Catania e Siracusa, usando tutta la loro “autorità pastorale”, fecero in modo che i due urbanisti venissero, in ognuna delle nuove 50 città della Val di Noto, affiancati da architetti di loro fiducia, quasi sempre preti, i quali avevano come preciso mandato quello di declinare i lessici del barocco romano ritenuto l’unica cifra stilistica in grado di contrastare l’avanzata della cultura illuminista nell’isola. A questo disegno estetico reazionario affiancarono una strategica programmazione attuativa che dava precedenza assoluta alla realizzazione di 700 chiese, 250 monasteri, 22 collegi e due grandi cattedrali, rispetto alla ricostruzione di case ed edifici pubblici.

Una operazione di grande valore artistico

L’operazione cominciò con un giovane prete architetto, il panormita, Giovan Battista Vaccarini che da tempo operava a Roma, nelle grazie del potentissimo Cardinale Pietro Ottoboni, e che era stato allievo del famoso architetto Carlo Fontana. Questi nel 1735 venne nominato architetto della città di Catania. Lo stesso accadde in altre città con altri prelati architetti, come: il gesuita Rosario Gagliardi a Noto, Scicli, Modica e Ragusa Ibla; Fra Antonio Maria a Scicli; il domenicano Andrea Palma a Siracusa; il gesuita Francesco Maria Sortino a Noto; il gesuita Mario Spada a Modica; il gesuita Francesco Paolo Labisi, Noto; il gesuita Angelo Italia ad Avola; Fra Michele a Ferla e Grammichele, etc.. L’unico laico tra coloro che scrissero la grande pagina del Barocco Siciliano fu Vincenzo Sinatra, comunque marito della sorella del sacerdote architetto Gagliardi.

Fu così che la Chiesa siciliana rafforzò la sua egemonia nelle aree colpite. L’operazione per quanto reazionaria dal punto di vista culturale si rilevò di grande valore artistico.  Il Barocco Siciliano rispetto alla sua matrice romana si caratterizzò per l’enfasi ambigua dovuta al nero magnetico della pietra lavica, al giallo dorato del tufo e al bianco splendente della pietra di Siracusa che in molti casi si rivelò all’altezza del travertino romano. Un linguaggio caratterizzato da un universo segnico il cui significante negò ogni categoria razionale esprimendo: suggestione, misticismo; tensione, ombre; ambiguità, mistero, illusione; drammaticità. Rendendo pienamente l’idea del trascendente. Un’estetica che con le sue meraviglie servì a manipolare un popolo caduto, facilitando nella cultura locale la negazione di ogni materialismo. Ciò grazie ad un esercito di “architetti preti” che sedò ogni istanza innovatrice e progressista.

Architetto geniale e anticonformista

Quella innovazione che oltre mezzo secolo prima aveva portato Guarino Guarini. Colui che nello scenario dei grandi architetti barocchi fu il più anticonformista. Architetto geniale di spirito innovativo e di grande creatività artistica. Nel suo “Trattato di Architetura Civile” aveva enunciato un principio che caratterizzerà il senso dell’architettura nei secoli a venire:

“L’architettura può correggere le regole antiche e innovare. Mutando usanza gli uomini, conseguentemente l’architettura ordinata alla loro utilità cangiar si deve”.

In Sicilia, 50 dopo il suo esempio, si fece l’esatto contrario: si usò l’architettura per non corregge le regole antiche, per non innovare, per non mutare gli usi degli uomini e per non dar loro utilità e diritti.

Il collegamento tra il Barocco Siciliano e il suo progenitore messinese è un altro esempio metaforico di come in quest’isola qualunque innovazione si trasforma sempre nel suo opposto. Ogni spinta innovatrice è fintamente accolta come un’occasione di cambiamento, ma in realtà è vista sempre come una grande opportunità per radicare lo status quo. Tutto cambia perché nulla muti. Soprattutto i privilegi e il potere, quello vero, quello che da sempre vive sotto le mentite spoglie di un avvicendarsi inutile di Corone ed Istituzioni.

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