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Giovedì, 28 Marzo 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Antonello diventa strabico nel mezzobusto che celebra in casa il grande genio della pittura

L’opera in bronzo di Antonio Bonfiglio sulla scalinata di Palazzo Zanca con evidente riferimento al “Ritratto di Uomo”. Ma lo sguardo non è quello in  “tralice”...

All’interno di Palazzo Zanca un mezzo busto celebrativo, posto su un alto piedistallo in marmo, si erge sul primo sbarco dello scalone monumentale che conduce al piano superiore.

L’opera, in  bronzo, di Antonio Bonfiglio, è un tributo al più grande artista della storia messinese: Antonio di Giovanni de Antonio, detto Antonello da Messina, nato in città nel 1429 ed ivi morto nel 1479.

Antonello da Messina fu figura preminente di tutta la pittura del XV secolo. La sua opera, di valore universale, rappresenta la sintesi di tutte le esperienze espressive del Rinascimento Europeo.

La scultura del Bonfiglio fa evidente riferimento  al “Ritratto di Uomo” dipinto da Antonello  tra il 1476 e il 1475 oggi conservato presso National Gallery di Londra, da molte fonti considerato un autoritratto del grande pittore.

Si tratta di una trasposizione nella terza dimensione di uno dei suoi celebri ritratti.

I ritratti d’Antonello

In pittura il ritratto ha origini che risalgono al mondo classico. Una tradizione interrotta per quasi tutto il Medio Evo, quando la concezione teologica del mondo indicava dio come misura di tutto e non l’uomo, il quale avrebbe peccato di vanità se si fosse fatto ritrarre.

Il ritratto tornò in auge nel Rinascimento grazie a quella trasformazione epocale della società europea avvenuta tra il trecento e il cinquecento che condusse ad una rottura radicale con il Medio Evo a favore di  una nuova visione del mondo che aveva come punto di riferimento la riscoperta della cultura classica: greca e latina. Una concezione antropocentrica che affermava l’Humanitas: la supremazia dell’intelligenza dell’uomo su tutti gli altri esseri animati ponendo questi e non dio al centro dell’universo.

Secondo questa nuova forma mentis l’uomo doveva essere rappresentato e descritto sia nella sua dimensione biologica che in quella intellettuale. Così torna a rivivere anche la pratica del ritratto che assume un ruolo peculiare nella pittura rinascimentale.

Antonello da Messina e i ritratti della psiche

Attraverso il ritratto si soddisfaceva la necessità culturale di indagare e rappresentare non solo la fisiognomica ma anche la psiche dell’uomo. Nelle corti e tra i ricchi il ritratto assunse un valore celebrativo, lo stesso valore dei ritratti modellati nelle medaglie nel mondo antico.

Fare il ritrattista diventò un mestiere molto ricercato. Questi  artisti erano i fotografi dell’epoca. Dovevano lasciare imperitura idea dell’animo del soggetto rappresentato illustrando ed enfatizzando tutta la sua dimensione umana, materiale e immateriale.

Tra i più grandi ritrattisti del Rinascimento emerge incontrastata la figura di Antonello da Messina. La sua abilità e il suo perfezionamento tecnico ed espressivo nel ritratto di tre quarti raggiunsero livelli insuperati.

Egli migliorò l’espressività, già magistrale, dei pittori fiamminghi, superando l’eccellenza di geni come Rogier Van der Weyden  e  Robert Campin ed andò oltre il paradigma strabiliante dell’“Uomo con il turbante” di Jan Van Eyck. Quest’ultimo grande innovatore della pittura ad olio che, spinto dal bisogno di una pittura lucida e più espressiva, fu il primo a risolvere i problemi dell’inadeguatezza di questa tecnica, usando olio di lino o olio di noci che gli consentivano un’essicazione più veloce e a freddo delle pitture, le quali non dovevano più essere esposte al sole correndo il rischio di fessurarsi.

In Italia prima di Antonello e dei fiamminghi i ritratti erano eseguiti con il soggetto posto di profilo e sguardo diretto in avanti. L’indagine sui tratti caratteriali e suoi sentimenti interiori veniva affidata all’allegoria degli oggetti o degli ornamenti inseriti nell’opera. Questi ritratti avevano un’espressività che si limitava alla profondità spaziale del paesaggio o della prospettiva di fondo, i volti non avevano nessuna tridimensionalità realistica. Come esempi, tra i più celebri e significativi, si possono citare: il famoso Doppio ritratto dei duchi d’Urbino di Piero della Francesca del 1465 e il Lionello d'Este del 1441 dipinto da Antonio di Puccio Pisano detto Pisanello.

Antonello ritrattista usò la tecnica pittorica e la figura in tre quarti con le quali i fiamminghi avevano ottenuto un esito straordinariamente realistico migliorandone l’espressività fino a riuscire ad indagare in modo esaltante l’animo dell’uomo, esplorando il suo mondo interiore, il suo carattere, i suoi pensieri, la sua dimensione emotiva come nessuno aveva fatto prima e farà in seguito.

Egli con una raffigurazione fisiognomica perfetta ed un magistrale innovativo uso della luce e della trasparenza dei colori riuscì a restituire all’osservatore la stessa empatia di quando due uomini si guardano negli occhi.

Lo sguardo dei personaggi antonelliani è uno sguardo in  “tralice”. Un sguardo trasversale che oltre a  dare profondità all’immagine consente di catturare meglio l’attenzione di chi guarda. A questi non permette mai di evitare lo sguardo del protagonista dell’opera. Con questo espediente riuscì a mettere nello sguardo dei suoi soggetti tutto il suo pensiero, tutto ciò che vedeva nell’uomo ritratto, la sua dimensione ideale, le emozioni e sentimenti. Riuscì a narrare integralmente la categoria del vissuto e il profilo caratteriale dell’uomo che ritraeva. Il resto fu solo una grande e insuperata tecnica ed una perfetta e minuziosa restituzione verista dei connotati facciali. Così, oltre ad enfatizzare i caratteri fisiognomici e nascondere eventuali difetti per garantirsi la benevolenza prosaica del committente, Antonello riuscì a dare grande espressività ai contenuti psicologici.

Quella impostazione dello sguardo gli permise di rappresentare una vasta pluralità di stati d’animo e di categorie mentali come: l’ironia, il sarcasmo, la complicità, l’ambiguità, la benevolenza, ma anche la fierezza, la dignità, l’intransigenza, l’onestà, la durezza, la forza d’animo, etc.. Tutte categorie emotive che rivedendo i suoi ritratti si evincono con lampante chiarezza. Queste espressioni, spesso unite a taluni segni distintivi, offrono una chiara e completa rappresentazione del profilo caratteriale del soggetto.

Antonello si avvalse di questa modalità rappresentativa per mettere sulla tela un campionario quasi universale di tipologie umane lasciando all’osservatore, grazie all’ambiguità dello sguardo obliquo, la possibilità di riconoscere in quei ritratti i propri stati d’animo o di metaforizzare quelli dell’Uomo in senso più escatologico.

Egli sapeva bene che il nostro pensiero e il nostro universo emotivo sono sempre scritti nell’espressione del nostro volto. Aveva compreso benissimo che il nostro animo si manifesta attraverso segnali fisiognomici specifici. La sua grandezza sta nell’avercelo svelato nella forma più icastica mai vista, attraverso il linguaggio universale della sua grandissima arte pittorica.

Lo strabismo dell’Antonello di Bonfiglio

Tornando all’opera di Antonio Bonfiglio in Palazzo Zanca, si evidenzia come lo scultore peloritano riportando il ritratto di Antonello nella terza dimensione abbia tentato di riproporre, con poco successo, anche l’espediente dello sguardo. Il risultato è stato quello di provocare all’illustre artista un lieve strabismo.

L’incidente è difficilmente rilevabile se non da un occhio attento ed esperto poiché la posizione elevata della  statua non consente una diretta visione dello sguardo scolpito.

Quando si sbarca dalla prima rampa centrale lo sguardo di Antonello è troppo in alto per poter notare questa lieve imperfezione. Se lo si osserva dalle rampe laterali l‘opera è troppo distante per vedere il particolare degli occhi, così pure se la si guarda dal ballatoio centrale o da quelli laterali. Risulta del tutto invisibile qunado la si osserva dal ballatoio loggiato posteriore.

La percezione diretta della posizione degli occhi in quello sguardo è possibile solo se l’osservatore, vantando una elevata statura, si sofferma ai piedi della statua prestando qualche attimo d’attenzione.

E’ doveroso precisare che lo strabismo è una malattia relativamente comune che riguarda circa il 4-5% della popolazione. Si tratta di una condizione nella quale gli occhi sono mal allineati e non sono orientati nella stessa direzione a causa di un mal funzionamento dei meccanismi neuromuscolari che danno mobilità agli occhi. Così mentre un occhio fissa un oggetto l'altro è rivolto all'interno, all'esterno, in alto oppure in basso.

Questa deviazione degli assi visivi non consente di orientare entrambe le pupille verso lo oggetto mirato impedendo quell'allineamento corretto dei due occhi detto: sguardo ortoforico.

Questo disallineamento può essere accentuato o lieve. In quest’ultimo caso lo si appella come “Strabismo di Venere”. La  mitologia romana descrive la Dea della Bellezza, con sette piccoli difetti tra i quali un lieve difetto di allineamento degli occhi.

Si potrebbe obiettare che il già discusso espediente espressivo, tipico nei ritratti di Antonello, nel caso del ritratto dell’ignoto marinaio fa percepire una fissità oculare che sembra lievemente divergere, ma in quel caso si tratta di una eteroforia, un’impercettibile disallineamento visivo che gli oculisti chiamano anche strabismo latente.

Nel caso dell’Antonello di Bonfiglio, se si guarda con attenzione, lo strabismo non è latente ma manifesto.

Questa evidenza si percepisce non per l’occhio sinistro che traguarda, forse troppo di lato, quanto per la fissità dell’occhio destro, che rende lo sguardo della statua come affetto, se non da strabismo, certamente da ambliopia: l’occhio pigro.

Una pigrizia oculare nascosta che pare voglia metaforicamente avvisare il visitatore che ascende quelle scale con frenetiche speranze e lusinghiere aspettative che in quel luogo non sempre lo sguardo verso la realtà e verso i bisogni dei cittadini è ortoforico (attento e diretto), talvolta è pigro, ed in alcuni casi strabico.

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