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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

E' Carnevale, l'icona di Messina è la pignolata ma su tutto regna il maiale

Viaggio in fotografia alla scoperta delle tradizioni della festa: dalla macelleria, messa su strada, allestita come un carro allegorico fino alla storia del dolce che celebra sua maestà il suino

Il bimbo davanti alla folla sghignazza. Tutti fanno spazio affinché l’obiettivo del fotografo possa inquadrare la teatrale esposizione.
Siamo a Messina nel periodo di Carnevale del secondo dopoguerra.  Questo spiega l’enfatica opulente e macabra esposizione pubblicitaria che esce dalla bottega di quel macellaio ed invade, esuberante, lo spazio pubblico, servendosi della strada, del marciapiede e persino degli alberi che diventano elementi di una scenografia dove si ostenta e si celebra il personaggio principale, interpretandolo in tutte le sue versioni, Il maiale! 

Il Carnevale e la pignolata

La scena è grottesca, degna di un racconto di François Rabelais, sembra di essere in un quadro del pittore olandese Pieter Aertsen (famoso per le sue scene di mercato come “Banco di Macelleria “ del 1551 )  o dentro un’opera del fiammingo Joachim Beuckelaer  (“La bottega del Macellaio” 1568) o ancora, in un  dipinto di Annibale Carracci (“Macelleria” del 1585). L’immagine supera persino il significante della “Vucciria” di Renato Guttuso.

Salsicce come festoni, teste di bovino come i mascheroni zoomorfi di uno dei tanti palazzi eclettici della città, palme intrecciate come sul prospetto di un palazzo liberty che fanno pensare al romano Villino Ximenes di Ernesto Basile o al genovese Palazzo Bogliolo di Gino Coppedè.

Dietro all’opulento bancone si fa largo, tra le salsicce appese, una siepe di facce che si sporgono per essere inquadrate. Davanti al medesimo bancone il macellaio in maniche di camicia serve ad un avventore spavaldo una porzione di frittole (un sottoprodotto della macellazione costituito frammenti di carne e altre frattaglie a lungo lesse).

Su tutto impera il maiale, esposto in multiforme atteggiamento, in modo che il cliente possa esplorare nei dettagli le carni ed individuare esattamente l’anatomia originaria di quei muscoli trasformati in salsiccia, costate, salami, etc..  Una narrazione tassonomica di tutto il processo di macellazione dal maiale peloso al maiale scuoiato, dal maiale sezionato alla salsiccia. Una rappresentazione che pretende di far immaginare l’intero animale vivace e dinamico.

Un racconto che supera ogni paradosso carnevalesco: cadaveri di maiale gai, come se anch’essi fossero lieti della gaudente celebrazione. Animali morti e macellati esposti come fossero vivi. Una scena surreale dove si sprecano le allegorie, come quella dei maiali che si arrampicano sugli alberi. 

E’ il Carnevale! La macelleria, messa su strada, è allestita come un carro allegorico. Una sintesi iconografica che va oltre la rappresentazione di quel detto che vuole che del maiale non si butta niente e si spinge fino alla sua rappresentazione grottesca proponendo ogni sfumatura estetica di rito prosaico e dissacrante.

Questa foto ci racconta di una città che a quel tempo viveva il carnevale in maniera totalizzante. Una dimensione pantagruelica che esprime tutto il suo carattere con una pietanza assolutamente autoctona, un dolce che è l’icona della città: la pignolata.Questo dolce nasce a Messina e nasce nel periodo di carnevale… divenendone il suo archetipo dolciario.

La pignolata è legata strettamente alla macellazione/celebrazione del maiale.  A quel tempo non c’erano i frigoriferi e il maiale macellato doveva essere lavorato, consumato, insaccato, salato ed essiccato. Questo valeva per le parti nobili che diventavano salami e prosciutti da conservare in cantina come scorta per tutto l’anno. Viceversa i sottoprodotti della macellazione non potendoli conservare andavano consumati in tempo utile. Sfrido, interiora, ossa, cartilagini, cotenne, etc.. venivano messi a bollire per tempi lunghissimi. Da questa cottura si ottenevano delle parti solide edibili (le frittole) ed una parte grassa liquida, la quale una volta raffreddata dava luogo allo Strutto o Sugna… meglio conosciuto come “Saime”.

 La “Saime” era un prodotto allora molto instabile e doveva essere consumato in pochi giorni, per evitare che rancidisse. Non è un caso che nella tradizione dolciaria italiana molti dolci che si preparano per il carnevale sono dei biscotti o paste fritte tradizionalmente nello strutto come le zeppole, le sfingi, le chiacchiere, le castagnole, le frappe, le ciambelle, le graffe napoletane, gli struffoli, etc.. Il carnevale era il periodo in cui si disponeva di un grasso a buon mercato per friggere, usare l’olio era un’ipotesi insostenibile dal punto di vista economico. 

Sempre allo strutto, in Sicilia, si deve la tradizione dei Cannoli e della Pignolata come dolci delle festività carnevalesche. 
Fino all’avvento dei refrigeratori questi due dolci erano preparati solo ed esclusivamente nel periodo di carnevale poiché sia le scorze dei Cannoli, sia il biscotto della Pignolata si impastano e si cuociono esclusivamente nello strutto.
La Pignolata in Sicilia è un dolce di antica tradizione fatto da piccoli gnocchetti di pasta fritta nello strutto e cosparsi di miele per alleggerire il sapore intenso del grasso suino.

A Messina, dove la tradizione pasticcera fu a lungo influenzata da quella francese che impose un gusto più raffinato nei dolci, il biscotto della pignolata non fu concepito come uno gnocco ma come un cilindro alveolato e poroso gustosissimo che rispetto alle altre versioni assorbiva più “saime”, e dunque per compensare la preponderanza lipidica dello strutto si pensò sulle prime di sostituire il miele con il succo di limone per aromatizzarlo meglio ( vi assicuro che un biscotto di pignolata appena fritto nello strutto bollente cosparso di succo di limone è una vera delizia per il palato). Presto l’uso del limone, per ragioni pratiche ed estetiche, venne sostituito con una raffinata glassa al limone, composta da una parte di albume montato a neve, due parti di zucchero e succo di limone. Questo spiega perché la glassa della pignolata è al gusto di limone, quella al cioccolato è una recente modernizzazione.  Così il biscotto fritto veniva incastellato a forma di pigna per essere cosparso meglio di glassa la quale versata dall’alto, per caduta, riempiva tutti vuoti ed imbibiva ogni elemento. Il biscotto era impastato con una sapiente miscela di farine, uova ed alcool in un procedimento estremamente laborioso e certosino. Il cilindretto di pasta al calore della saime si apre generando forme causali e poliedriche che trattengono meglio la farcitura.

La forma è condivisa con la versione originaria della pignolata, quella farcita con il miele, anch’essa lavorata con la stessa tecnica per colata. In seguito i maestri messinesi hanno cominciato a farcirla prima per immersione ricoprendola poi con un velo più denso di glassa per dargli quell’appetitoso uniforme candore che tutti apprezziamo. Dopo la seconda guerra mondiale la produzione dello strutto venne raffinata depurandolo del tutto dalle impurità e consentendone una maggiore durata. Questo, unitamente al diffondersi dei frigoriferi, permise la conservazione perenne dello strutto e dunque la preparazione della pignolata fu possibile durante tutto l’anno. Così da dolce carnevalesco la pignolata messinese divenne il dolce che chiude in ogni occasione i banchetti o anche il semplice desinare dei peloritani.
Questo dolce soffice, spugnoso, avvolgente al palato, con un fragrante retrogusto al limone che gli dà quella freschezza che neutralizza la pesantezza della frittura di base, esprime in pieno tutto ciò che c’è di buono in questa terra, ma al tempo stesso dà l’idea di quanto bellezza e bontà siano di difficile accesso. 

Non è dato ai messinesi gustarsi facilmente la bellezza e la bontà, tutto è reso vischioso, nulla è possibile avere senza sporcarsi le mani, così come quando si mangia la pignolata. Una bontà che prima di arrivare al palato imbratta fastidiosamente le dita rendendole appiccicose di glassa. Un’altra ludica metafora?
 

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