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Venerdì, 19 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Messina e i cortili negati, così hanno stravolto “l'anima” di una città snobbando la legge Luzzati

Pensata nel 1903 ma tragicamente non applicata dopo il terremoto per favorire i palazzetti signorili nel centro storico. I pochi “esemplari” in via Roosvelt

A guardare dall’alto la trama della città disegnata dal Piano Borzì saltano all’occhio molte incongruenze e tanti anacronismi. Ma tra le tante dissonanze si resta attirati da un brandello urbano, che presenta una piacevole armonia geometrica. Una scacchiera urbana ricamata con pieni e vuoti articolati in variegati e creativi disegni regolari che esprime l’idea di una buona funzionalità urbana e civile. Essa è compresa tra la via S. Cosimo e viale Europa, contenuta a Nord da via Giolitti e piazza Dante e a sud dalla via La Farina.

Si tratta di isolati circoscritti da organismi architettonici di edilizia economica e popolare dal linguaggio semplice con al centro ampie corti. Edifici, quasi sempre a tre piani, che non hanno accesso diretto dalla pubblica via (tranne qualche rara bottega). Sulla strada gli alloggi affacciano solo con vani di rappresentanza mentre quelli di servizio  (bagni, cucina, ripostigli e vani minori) danno sul cortile interno, dove sono ubicati anche i corpi scala. Si tratta di classiche “tipologie in linea” affiancate in modo articolato, la cui impronta non supera 1/5 della superficie dell’intero isolato. Il cortile interno solitamente è uno spazio comune attrezzato e vissuto come esclusivo spazio di socializzazione condominiale al quale si accede da sontuosi cancelli che spesso esprimono, in antitesi alla semplicità dei prospetti, un’elegante semantica (pilastri bugnati sormontati da timpani, volute barocche, cornici spezzate, etc…).

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Una dimensione urbana e umana

Visitando quel quartiere si vive una dimensione urbana intima, quieta, rassicurante, quasi metafisica, pur trovandosi paradossalmente a poche centinaia di metri dalla zona più frequentata e commerciale della città: il viale S. Martino.

Persino una delle strade principali, la via Reggio Calabria, interrotta in più punti da finti ingressi con tanto di cornici, colonne, pilastri e nicchie, dà l’impressione di una corte esclusiva, che soggeziona gli automobilisti che l’attraversano, i quali hanno la sensazione di trovarsi per errore all’interno di un cortile condominiale e sentendosi intrusi placano il clamore roboante delle loro auto vetture: un classico esempio di come gli spazi modellati bene dall’architettura possano offrire benessere a chi li vive ed assumere compiti pedagogici.

Entrare in quei cortili è come tuffarsi in una vita fatta solo di relazioni positive, di gente sana, di quiete domestica dove tutto è in equilibrio nella sua essenzialità. I cancelli che separano il cortile dalla strada sono uno iato che che conduce dal rumore cittadino al silenzio dell’intimità, sembra che all’improvviso  qualcuno spenga l’audio. Giunti dentro si prova quell’armonia di un mondo già vissuto, di qualcosa di buono e consolante che arriva dal passato. Sembra di essere in una descrizione gucciniana: “Gente anni '50 già veduta, tuffato in una vita ritrovata, vera e vissuta, come entrare a caso in un portone di fresco, scale e odori abituali, posar la giacca, fare colazione e ritrovarsi in giorni e volti uguali”.

Ecco, quei cortili ci riportano, almeno a quelli della mia generazione, a qualcosa di già beatamente vissuto, come quando, davanti ad una ottima sontuosa colazione con squisiti croissant, consumata alla buvette di un’elegante caffè, ci prende quella piacevole nostalgia del caffèlatte preparato dalla mamma nel quale intingevamo solo pane con il burro e marmellata.

Sono la forma di una vita domestica limpida, semplice ma sicura. Un luogo dove la vita famigliare e quella condominiale vivono in un’osmosi perenne fatta di voci di bimbi, richiami di mamme, liti, amori, afrori intensi del ragù domenicale che si espande per quei cortili attrezzati a giardino, dove le massaie si incontrano e gli uomini si trattengono in discussione dopo il lavoro. Quei cortili erano i luoghi dei bimbi e dei primi amori. Erano un autentico baby parking dove ognuno aveva il ruolo di baby sitter. Gli adolescenti erano liberi di giocare fino a notte fonda purchè non passassero il cancello. Quel cancello che era una vera e propria linea di frontiera, tra il sicuro e l’incerto.

Le intimità in vetrina ma la solidarietà non macava

Un mondo di storie famigliari sapute da tutti, dove le intimità erano in vetrina, ma la solidarietà non mancava, e non si aveva traccia della solitudine. Gli anziani erano i veri guardiani del cortile e vivevano in simbiosi con i bimbi contribuendo al loro divenire uomini e donne. 

Ogni alloggio era una finestra sul mondo di una comunità dove il cortile era il luogo comune, dove si condivideva la gioia, il dolore, la morte, la nascita, la vita comunitaria con i suoi conflitti e le sue dinamiche relazionali. Un mondo proletario che attorno al cortile costruiva la propria cultura, storia e costumi. Un mondo equilibrato, paritario, interpretazione di un’idea socialista alla quale contribuivano molto quelle forme articolate delle corti comuni. Spazi dove si sviluppava il senso dell’altruismo e il senso della solidarietà e si formava la coscienza di esseri sociali, di cittadini, dove si allenava un forte senso della cooperazione e della condivisione. 

Piccoli alloggi essenziali costruiti attorno a un cortile pensato per ricostruire le comunità. Spazio che ha assunto un ruolo nevralgico nel ripristino di quel tessuto sociale lacerato dal terremoto, consentendo ad alcuni messinesi, affranti dal dramma, di reimpostare una vita dignitosa, vivendo collettivamente spazi che gli hanno evitato l’alienazione. In quei casamenti, così concepiti, famiglie modeste hanno avuto modo di vivere vite decorose.

La legge Luzzatti che ha concepito cortili e tipologie edilizie

Quegli isolati sono la forma di un riconoscimento, seppur molto tardivo, di un diritto sancito dalla legge già dal 1903. Quando il 31 maggio venne approvata la L. 254 , detta “Legge Luzzatti”.

Lugi Luzzatti fu un giurista ed economista veneziano, presidente del Consiglio nel 1910 e più volte Ministro, così motiva in parlamento la sua proposta di Legge: “Bisogna risolvere, annullare, cancellare l’esistenza  dei quartieri infimi nelle grandi città, che rappresentano degrado civile e svantaggi socio-culturali a chi li vive…… … La vita di migliaia di famiglie si svolge in una promiscuità immorale. “

La legge 254/1903 sanciva il diritto alla casa affermando che la casa dell’operaio doveva soddisfare 3 principi generali non negoziabili: 1) essere vicina al posto di lavoro; 2) avere un costo mite, la pigione non doveva superare 1/6 del salario; 3) essere salubre.

Imponeva a progettisti e costruttori, al fine di evitare speculazioni, l’onere di: a) affittare ogni alloggio ad un prezzo inferiore a £ 100 ; b) proibizione assoluta al costruttore di abitare o vendere in tutto o in parte l’edificio; c) dare ai cortili ampiezza non inferiore ad 1/5 della superficie coperta dei fabbricati eretti; d) non costruire più di 3 piani oltre il piano terra.

Questi obblighi spiegano l’ampiezza di quei cortili  e l’essenzialità degli alloggi.

Infine dettava i seguenti standard minimi di funzionalità che doveva avere ogni alloggio: 1) essere fornito di tutti gli elementi necessari allo svolgimento della vita fisica e morale; 2) avere aria, luce, acqua, pulizia, difesa dalle intemperie e tutte le comodità essenziali che contribuiscono ad una serena vita famigliare; 3) distogliere dal vizio l’operaio e indurlo alla cura dei suoi doveri di cittadino, di capo famiglia e al miglioramento della sua salute fisica, morale ed intellettuale; 4) essere dotato di un numero di vani sufficiente al fine di non determinare occasioni di promiscuità igienica e morale.

La legge ha le sue matrici nell’urbanistica moderna e nel socialismo reale, fattori che cambiarono tutte le città europee tra la metà dell’800 e gli inizi del ‘900. Essa, figlia di un grande percorso culturale progressista, a Messina, dopo il 1908 fu platealmente disattesa, pur garantendo una maggiore densità abitativa e una migliore sicurezza antisismica.

L’anima mancata della città

Quei cortili di case economiche e popolari, dove furono alloggiati in posizione periferica solo una parte dei terremotati, e solo a partire dal 1923, quando ormai il centro storico era stato occupato da palazzetti signorili (acquistati in libero mercato da personale in prevalenza esogeno, grazie alla politica speculativa dei comparti), si sono trasformati nella forma di un privilegio. Un privilegio paradossale se si fa riferimento a quei 50.000 messinesi a cui è toccata solo una casetta con un vano pluriuso in uno dei tanti villaggi extra popolari, presto trasformati in quelle baraccopoli di cui la città ancor oggi soffre.

Quei cortili sono la forma dell’avvio tardivo di un processo civile comunque rimasto irrisolto.

Sono la forma delle case popolari lasciate perniciosamente fuori dal centro della città, l’anima mancata del Centro Storico di Messina.  Italo Calvino sosteneva che “le case popolari sono l’anima dei centri storici”. E non possiamo che dargli ragione se pensiamo a Palermo, Catania, Roma, Firenze, Milano, Torino, ect.,  solo per restare in Italia.

Messina dunque è una città senz’anima perché dal suo centro storico, dopo il 1908, è stato enucleato il popolo.

Quel brano di città dà la chiara idea di come sarebbe dovuta essere la città risorta e quei cortili sono la forma di come sarebbe stata l’anima della nuova Messina se non si fosse messa in atto una feroce rapina a danno dei messinesi disastrati.

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