rotate-mobile
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

L'afasia dell'architettura, ecco come si è cancellata l'armonia del paesaggio urbano

Non rappresenta nessun passato, non coniuga nessun presente e non interpreta nessun futuro. Viaggio tra la visione integra delle città del passato e quella caotica di oggi

L’afasia espressiva delle attuali architetture delle nostre città è dovuta a molti fattori. Su tutti quelli di ordine prosaico. L’opera architettonica, ormai da tempo, rientra nella concezione mercantile contemporanea: la valutazione dei costi e dei profitti è la condizione essenziale per la sua realizzazione.

I costi devono sempre garantire profitti consistenti e tenere conto delle disponibilità finanziarie che non derogano mai a favore della qualità e dell’utilità architettonica o del suo valore estetico, culturale, sociale, civile o funzionale.

L’opera deve rientrare in un dato quadro economico con il quale ogni idea originale e ogni elaborazione geniale devono fare i conti, venendo quasi sempre mortificate o, come accade spesso, cancellate del tutto.

L'afasia dell'architettura in quattro esempi

Non importa più che l’architettura abbia una struttura di senso che sia comunicativa, che sia la sintesi dei processi culturali in corso, che abbia funzionalità urbana, che soddisfi pienamente gli obiettivi e le utilità per le quali dovrebbe essere realizzata, l’attenzione primaria del processo architettonico viene posta esclusivamente sui costi.

Così si usano materiali e tecnologie a basso costo e di facile applicazione in modo da semplificare l’esecuzione e contrarre i costi della mano d’opera specializzata. Mano d’opera che man mano perde la sua competenza fino a scomparire a discapito di future qualità esecutive.

L’esecuzione in architettura è sempre più una pratica artigianale facilitata, sbrigativa, standardizzata e sempre meno a regola d’arte.

Questa è una delle ragioni di fondo del perché le nostre attuali architetture sono afasiche. Una inespressività formale e funzionale che restituisce ovunque una visione del paesaggio urbano dissonante.

La massa architettonica delle città risulta babelica e scomposta. In essa ricorrono confusi e senza equilibrio degli standard che sono espressione solo di semplificazioni dell’esecuzione edilizia. Pochi sono gli elementi che marcano il paesaggio urbano connotando la città con la loro qualità e la loro bellezza, il resto è caos. Basti guardare la differenza tra la visione integra e armonica delle città del passato e quella caotica delle città di oggi.

Indichiamo ad esempio la visione della città di Firenze rimasta integra e proporzionata rispetto ad una città come Messina ricostruita e moderna caotica e dal carattere inespressivo; o la visione della Catania barocca rispetto alla Catania moderna, la prima suggestiva la seconda afasica; o ancora la Cefalù medievale bella ed equilibrata e la Cefalù moderna squilibrata e in disordine. Questa disarmonia della visione del paesaggio urbano si coglie in modo marcato soprattutto quando in esso si inserisce qualche architettura di senso. In questi casi l’afasia dell’architettura prosaica emerge in tutto la sua bruttezza. E’ il caso della Torre Velasca a Milano o della Cupola del Museo d’arte moderna a Rovigo che con la loro qualità espressiva evidenziano ancor di più il disordine disturbante della massa architettonica urbana che le circonda.

Oramai gli edifici attuali propongono cifre incomparabili con la qualità architettonica ed esecutiva di quelli del passato, anche del recente passato, la bellezza delle città razionaliste italiane ne sono un esempio.

Vi è un totale disinteresse al modo di fare architettura di un tempo. Si rinuncia, come direbbe Bruno Zevi: “… a trarre dalle architetture del passato quegli elementi vitali e perenni che sono stati l’elemento conduttore di tutte le elaborazioni d’avanguardia”.  Non sono più prioritari quei fattori che hanno dato anima ai significanti dell’architettura di sempre, a quella moderna e a tutte le cifre d’avanguardia, anche le più distopiche.

Questo spiega perché le architetture del nostro tempo sono inanimate, viziate nella loro dimensione ontologica da prosaicismi e pragmatismi che gli conferiscono quell’assoluta sterilità espressiva che non le rende più architetture ma elementi di disturbo che infettano l’intero paesaggio antropico, contaminando nuovi e vecchi nuclei urbani, oltraggiando i Genius loci.

Questo fenomeno ormai secolarizzato mortifica ovunque la memoria e l’identità delle città, compromettendo quei modelli urbanistici e quei linguaggi architettonici che per molto tempo furono i paradigmi di riferimento di nuove forme e nuove idee, che furono il terreno fertile dal quale germogliarono sempre nuove visioni artistiche e culturali.

Questo atteggiamento di negazione assoluta dell’esercizio architettonico del passato, la dichiarata contrarietà a processi evolutivi si è imposto e si impone grazie alla compiacenza di chi potrebbe e non opera gli sforzi dovuti per agevolare lo sviluppo di nuove espressività architettoniche, politici ed intellettuali in primis, lasciando campo libero ad una feroce speculazione edilizia.

Dobbiamo rassegnarci all’idea che l’attuale visione della massa architettonica delle nostre città non comunicherà ai posteri nulla di pedagogico, ma racconterà solo i termini di un disimpegno culturale che ha reso in macerie ogni spinta creativa. Queste città non saranno mai la palingenesi di nuove cifre architettoniche che caratterizzeranno il futuro.

L’attuale afasia dell’architettura delle attuali città non rappresenta nessun passato, non coniuga nessun presente e non interpreta nessun futuro. E’ solo un bubbone che forse tra millenni potrà essere estirpato. Forse!

Si parla di

L'afasia dell'architettura, ecco come si è cancellata l'armonia del paesaggio urbano

MessinaToday è in caricamento