rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

D'estate andavamo alla spiaggia di via Don Blasco

Scelte urbanistiche e territoriali suicide hanno negato alla città quello che è stato un luogo simbolo d’integrazione sociale e culturale come per gli stabilimenti Principe Amedeo e Vittoria. Dagli studenti al proletariato, dai militari alla borghesia una città si ritrovava al “Lido Sud”. E' tempo di restituire quella bellezza ai messinesi

La Bandiera Blu nel 2020 è stata conferita alla spiaggia di Alì Terme, quest’anno a quella di Roccalumera e qualche anno fa a quella di Santa Teresa Riva.

Un ambito riconoscimento internazionale attribuito dalla Foundation for Environmental Education con la partecipazione dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) e della UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo).

La compagine riconosciuta dall’Unesco come leader mondiale nel campo dell’educazione ambientale e dell’educazione allo sviluppo sostenibile ha attenzionato da tempo la costa ionica messinese verificando e attestando la buona qualità delle acque di balneazione.

Ridateci il lido Sud in via Don Blasco

Questa circostanza ci segnala che le acque a sud della città, nella parte più negletta, abbandonata al degrado e al caos di improprie pseudo attività industriali quasi tutte disattivate per manifesta obsolescenza, sarebbero le più balneabili.

A queste riconosciute qualità ecologiche si aggiunge un’enorme valenza paesaggistica e naturalistica.

Un esempio è la spiaggia di via Don Blasco. Un luogo magico. Dalla battigia si gode una prospettiva dello Stretto mozzafiato, ma lo splendido arenile è negato alla città nonostante la sua incommensurabile bellezza.

Eppure quella spiaggia nel recente passato fu uno dei luoghi simbolo della balneazione messinese. Fu la spiaggia della nuova città che dopo il 1908 si espanse sul Piano della Mosella.

Un nuovo quartiere distante dal centro storico caratterizzato da palazzi a corte destinati all’edilizia economica, in attuazione della Legge Luzzatti del 1903, i cui alloggi furono prevalentemente assegnati ai lavoratori del terziario (Enti pubblici: Comune, Provincia, Erario, Poste, Ferrovie, Genio Civile, etc; e corpi militari: Esercito, Marina, Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Forestale, Arsenale, etc.). Più a monte, dopo l’area dell’ospedale militare, alcuni villaggi popolari destinati al proletariato artigianale (Fondo Pugliatti, Fondo Marino, Fondo Ragusa, Fondo Martinez, Fondo Consiglio) ed ancora più in alto drammatici villaggi ultrapopolari (Camaro S. Luigi, Bisconte, Camaro S. Paolo, Fondo Vadalà, Fondo Pistone, Carrubbara, Montesanto e Fondo Picardi e Fondo Saccà) fatti di misere casette assegnate ad un sottoproletariato effetto collaterale della tragica gestione post terremoto. 

Questa eterogenea popolazione appena insediata cominciò a prendere contatto con il mare e con la bellezza dell’arenile superando la forte deterrenza dell’accesso filtrato dei sottopassi.

Allora l’arenile aveva valori ecologici e naturali ancora inviolati ed offriva la suggestiva prospettiva di un incantevole scenario marino.

Via via la spiaggia del nuovo quartiere si attrezzò per la fruizione del mare e i sottopassi non furono più un deterrente, così come non lo sono in molte città costiere della penisola dove per motivi orografici la ferrovia trova spazio solo sulla costa, ma le spiagge sono comunque ben attrezzate e sempre popolate.

Il retrostante complesso zootecnico (Macello e Regio Istituto Veterinario) nel 1926 divenne polo universitario e l’area cominciò ad essere frequentata anche da giovani studenti. Presto la funzione balneare e ricreativa si potenziò con moderni stabilimenti balneari per un gioioso svago estivo.

L’arenile cominciarono ad essere frequentato dalle famiglie dei villaggi a monte che vi giungevano percorrendo i controviali dell’asta fluviale del fiume Zaera o la via Santa Cecilia unendosi agli accademici che giungevano scendendo dal Portalegni. 

Quei lidi sopravviveranno al secondo conflitto mondiale divenendo frequentatissimi e alla moda negli anni del secondo dopo guerra. Resisteranno fino alla fine degli anni 60 del secolo scorso, quando la concorrenza dei lidi razionalisti realizzati sulla costa tirrenica della città avrà la meglio su di loro e sui lidi della riviera nord (Bagni Principe Amedeo e Bagni Vittoria).

Quella spiaggia fu dunque luogo di relazione e di svago. Fu luogo d’integrazione sociale e culturale, frequentato unanimemente da studenti ed accademici, dal sottoproletariato dei villaggi ultrapopolari, dal proletariato delle case popolari, dagli impiegati pubblici delle case economiche a corte, dai militari di stanza nei vasti presidi ubicati lungo lo Zaera e dai ceti più abbienti della nascente borghesia commerciale che si stanziava sul viale S. Martino. Tutti insieme prendevano il bagno d’estate e godevano dell’amenità del luogo nei giorni di festa e di bel tempo.

L’arenile in quel periodo intraprese una forte relazione con la vita del quartiere fino a divenire un forte elemento identitario, come lo furono per la riviera nord i succitati stabilimenti Principe Amedeo e Vittoria.

La nuova vocazione ricreativo-relazionale si avvalse anche di alcuni elementi preesistenti e simbolici del luogo è lì assorbì. È il caso del tempietto dei colerosi: un piccolo Panteon in stile neoclassico eretto sull’arenile nel lXX secolo nel stesso luogo in cui nel XVII sorgeva un piccolo lazzaretto. Il monumento durante la gloriosa stagione degli stabilimenti balneari venne usato come bar e locale di ristoro dello stabilimento “Lido Sud”.                                 

 Il “Lido Sud” fu un luogo mitico, rinomato per avere alcune cabine su palafitte che sporgevano direttamente sul mare. In alcune di esse le signore potevano, attraverso un argano, abbassare il pavimento fino a immergerlo nell’acqua e prendere il bagno senza essere viste da occhi indiscreti. Rispetto agli altri lidi, tra i quali quelli universitari, vantava un singolare ingresso trionfale è un artistico bar-ristoro ricavato nel piccolo Panteon succitato. Questi elementi distintivi unitamente alla frequentazione delle giovani studentesse, più emancipate delle popolane, lo resero leggendario nel ricordo dei messinesi e in modo particolare di quello degli abitanti della vallata del Cìa era.

Un luogo siffatto oggi potrebbe vantare persino la Bandiera Blu e sarebbe senza dubbio un attrattore turistico-sociale d’eccellenza, viceversa è preda di una letale invasione di indecorosi manufatti votati ad altrettante incongrue attività produttive che hanno generato una condizione di degrado opprimente, gettando nell’oblio ogni la traccia di quel Genius loci che abbiamo appenata raccontato.

Urge un intervento di riqualificazione urbana e ambientale per restituire quella bellezza alla città.

Anche questa è un’altra storia di scelte urbanistiche e territoriali suicide. Un altro luogo di grande valore paesaggistico ed ambientale, tra i tanti che abbiamo raccontato, di cui si è fatto strame per pascere momentanei interessi di pochi a discapito del futuro della città e della sua incontestabile naturale bellezza.

Un futuro di ricchezza e opportunità che avrebbe certamente avvantaggiato anche coloro lo hanno usurpato facendogli ottenere, senza dubbio, di più di quanto hanno predato con il vantaggio di non dover affrontare l’onere di recuperare oggi le grandi perdite ecologiche e riparare i gravissimi danni ambientali.

Altrove inventano l’improbabile per creare valore ambientale e paesaggistico, qui che la natura è stata prodiga di bellezza si è fatto, e si fa, di tutto per mortificare questo immeritato dono nella maniera più cieca e rapace.

Si parla di

D'estate andavamo alla spiaggia di via Don Blasco

MessinaToday è in caricamento