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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Dall'Ospedale Piemonte al Regina Margherita, la forma di un Stato dichiarato obsoleto

Uno inspiegabilmente sottoutilizzato e sempre in procinto di essere dismesso a favore di strutture private, l'altro giace da tempo immemore in un totale assoluto e sconfortante abbandono. Storia di un'architettura simbolo che legava tutti i messinesi e che aspetta un nuovo umanesimo

Obsolescenza viene dal Latino “obsoleo”: ciò che non è più praticato o utilizzato. Qualcosa che non è più adatto allo scopo originale. Ciò vale anche per l’architettura, soprattutto per quell’architettura che ha una funzione specifica, una funzione che spesso ne determina la forma.

La forma dell’architettura è conseguenza del dimensionamento dei suoi spazi interni resi idonei ad attività specifiche e specialistiche come quelle di un ateneo, di una chiesa, di una caserma, o di un ospedale. Un’architettura è obsoleta quando la sua funzione è superata, quando non ha più un’utilità. Nel caso di un edificio pubblico quando questi non ha più un’utilità sociale.

Un tempo le architetture nelle quali si svolgevano funzioni pubbliche erano gli elementi fisici in cui si riconosceva tutta la comunità. Erano spazi modellati dove aveva vita quel sistema organizzato di regole che garantivano il vivere insieme di una comunità, di uno Stato. Erano lo Stato! Erano la forma dello Stato. Quello Stato fatto di monopoli, di sale e tabacchi, di chinino, di carabinieri, di leva militare, di questure, tribunali, scuole, impianti sportivi, università e ospedali.

Gli ospedali a Messina

Dall’inizio del XVII secolo la città di Messina ebbe un grande Ospedale Civico intitolato a “Santa Maria della Pietà”. Era al centro della città, sorgeva più o meno nell’area dell’attuale Tribunale coprendo una più vasta superficie rispetto alla nuova struttura pubblica. Per alcuni secoli è stato uno dei presidi di cura più importanti del Mediterraneo per via dell’essere il nosocomio di un rilevante porto. Era un edificio monumentale polispecialistico dentro le cui mura è passata anche la Storia con la S maiuscola.

Dopo la catastrofe del 1908, il grande ospedale venne demolito. Il Piano Borzì riservò per il nuovo sistema sanitario cittadino due aree, di oltre due ettari ciascuno, poste ai margini della risorta città: una a sud lungo il Torrente Camaro dove sorse l’Ospedale Piemonte e l’altra all’estremo nord, sulla riva destra del Torrente Annunziata, dove sorse l’Ospedale Regina Margherita. 

C'era una volta l'ospedale Regina Margherita

A partire dal secondo dopo guerra con la nuova espansione della città sono stati realizzati altri due poli sanitari: a sud quello universitario, il Policlinico, e a nord, in discutibile localizzazione, l’Ospedale Papardo.

Questa era l’ossatura del sistema sanitario pubblico sul territorio, alla quale si aggiungevano altre strutture pubbliche specialistiche, manicomi, sanatori, lebbrosari, gerontocomi, centri d’igiene mentale, etc., come l’Ortopedico di Ganzirri, il Mandalari, Il Sanatorio di Campo Italia, Villa Serena ed altri ancora.

Tutto questo prima che cominciasse anche in riva allo Stretto la tragica stagione neo-liberista improntata sul dogma indiscusso, persino dai progressisti, secondo il quale la sanità privata è meglio e più efficiente di quella pubblica perché riesce a fare migliori profitti e a contenere i costi. Il nuovo paradigma, unanimemente accettato, sostituì le necessità sanitarie collettive con gli scopi del denaro.  Così i due ospedali umbertini del primo Stato Laico Italiano furono piano piano dismessi, insieme alle altre strutture sanitarie pubbliche minori sopra accennate.

Oggi l’Ospedale Piemonte è inspiegabilmente sottoutilizzato e sempre in procinto di essere dismesso a favore di strutture private mentre l’Ospedale Regina Margherita da tempo immemore giace in un totale assoluto e sconfortante abbandono, dichiarato, illo tempore, come obsoleto, socialmente inutile. Si tratta di uno dei più grandi esempi, su scala nazionale, di obsolescenza ferocemente indotta.  

L’Ospedale Regina Margherita

Eppure l’Ospedale Regina Margherita era un grande esempio di struttura pubblica che rappresentava lo Stato. Un ospedale da manuale, formato da un nutrito numero di padiglioni, fornito di tutti i reparti specialistici, con corsie di degenza, ambulatori, laboratori, sale operatorie, etc..

Una struttura grandiosa articolata all’interno di un’area di 23.000 mq nella quale si trovavano 3 grandi padiglioni a tre piani per un totale 6.000 mq, 2 grandi padiglioni a cinque piani per un totale di 6500 mq, tutti destinati alle degenze e alle sale operatorie. A questi si aggiungevano 3 palazzine a tre piani per un totale di 1800 mq destinate a laboratori, degenze speciali, ricerca. Vi erano poi palazzine per gli uffici, una chiesa, locali destinati alla lavanderia e agli impianti tecnologici, cabina elettrica, etc.. Tutto anticipato dal padiglione principale di rappresentanza a due piani, dove c’era l’accettazione, le attività direzionali e presidi medici di routine. In tutto 15.000 mq di superficie ospedaliera effettiva più altri 1.000 mq di camminamenti coperti che collegavano tutti i padiglioni.

Un’ergonomia ospedaliera perfetta. Una struttura che compiva a pieno il suo ruolo, che svolgeva pienamente la sua funzione! Quella di servire alla salute dei cittadini e far fronte alle emergenze: un intero padiglione era destinato al pronto soccorso e alle sale di rianimazione.

Tutto questo è stato dichiarato obsoleto e le sue prestazioni oggi vengono disperse in una moltitudine di strutture private più o meno convenzionate con spazi inadatti ad affrontare emergenze sanitarie serie. Strutture sanitarie rimediate in architetture concepite per altri scopi ed altre funzioni che non possono offrire la necessaria ergonomia che impone un’efficiente pratica sanitaria. Queste in gran parte hanno sostituito le efficaci ergonomie degli ospedali pubblici veri, quelli concepiti esclusivamente a tale scopo la cui architettura era la forma di una funzione specifica ed esprimeva anche valori comuni e collettivi. Era la forma dello Stato.

L’articolato nosocomio posto su un colle davanti all’incanto dello Stretto di Messina, con i suoi blocchi serviti da strade sinuose era anticipato da un edifico in stile neoclassico che svettava solenne sulla strada sottostante suggestionando il passante con la sua ieraticità. Chi vi giungeva per cure o visite doveva ascendere un tornante e attraversare la sua imponenza rassicurante. L’ospedale visto dalla riviera o dal mare era un imperioso pezzo dello Stato Italiano.

Era un’architettura che legava tutti i cittadini messinesi e in particolare quelli della zona nord. Lì guarivano o morivano, sia i ricchi che i poveri. Nelle sue corsie si incontravano tutti i messinesi di ogni censo a condividere la condizione umana del dolore e della malattia. La sua era una ieraticità giusta. Era il luogo dove si azzeravano le differenze sociali. Quel luogo solenne era un educativo equilibratore sociale e per i messinesi fu, per moltissimo tempo, il “luogo comune della sofferenza e della riabilitazione”.  Era il luogo della scienza medica, il luogo dove si svolgeva una pratica seria della vita, che stava al disopra di ogni valore, anche del denaro.

Era il luogo dove i cittadini affidavano allo Stato la propria salute, il proprio benessere e questo era sottolineato dalla solennità dell’atrio d’ingresso e del suo scalone.

Quel nosocomio era lo Stato. Lo Stato ai tempi in cui i servizi pubblici erogati da privati erano per tutti un grave ossimoro, un’inaccettabile e perniciosa contraddizione in termini. I valori di quel tempo imponevano una visione collettiva statalista. Il contrario dei giorni nostri dove un pensiero collettivo manipolato disinnescato da ogni struttura di senso ha inneggiato a lungo alla privatizzazione dei servizi essenziali ritenendoli più efficienti, fino a quando un semplice virus ci ha svelato la grande impostura.

L’Ospedale Margherita oggi è la forma di uno Stato dolente, abbattuto, distrutto, rapinato da coloro che lo hanno governato, svendendolo ai loro veri padroni.

Le necessità degli uomini e le necessità del denaro

Un tempo gli edifici pubblici svolgevano funzioni che rispondevano alle necessità esistenziali dell’uomo. Da almeno trent’anni le necessità degli uomini sono state sostituite con gli scopi della finanza. Quella finanza che qualcuno, eufemisticamente, ci dice essere malata e che invece è la vera malattia del nostro tempo, certamente più nociva del corona virus. Quella finanza che commette delitti, anzi stragi asincroniche affamando popoli, con il suo fare soldi con i soldi. Quella finanza che ha scoperto di poter dominare sugli uomini con lo spred e con le tv, pagando le coscienze invece di pagare gli eserciti.

Così si è abbandonata ogni funzione pubblica concepita per produrre benessere sociale, utilità collettiva, sviluppo civile, senso dello stare insieme, identità comune, luogo comune, tutti valori immolati sull’altare di un nuovo dio, il denaro; di una nuova dottrina, il solipsismo.

La politica ha presto abdicato al suo ruolo di governo obbedendo non più al consenso sotto ordinato dei cittadini, ma ad un potere sopra ordinato, quello della finanza e delle multinazionali che hanno imposto la globalizzazione delle idee e cancellato ogni identità territoriale e ogni pensiero critico, puerilizzando l’opinione pubblica e imponendo processi di valorizzazione dell’incompetenza in ogni campo, anche nella sanità, attraverso un nuovo ordine invisibile quanto spietato.

Si è spogliata la ricchezza pubblica a favore di quella privata, con un gioco di prestigio favorito da una moltitudine di “coscienze tirapiedi” che nascoste hanno permesso che i boia facessero una buona impiccagione della civiltà e della democrazia.

Ora che l’emergenza del corona virus ha svelato tragicamente il trucco la sanita privata, quella che ci avevano promesso come più efficiente, ha dato forfait, manifestando assoluta inadeguatezza, nonostante si sia sostituita con forza alla sanità vera, imponendo la sua sanità della “spina del faroto”.

Oggi che ci troviamo nel bisogno assoluto di avere spazi e standard da ospedali veri, abbiamo solo presidi privati che non lo sono. E le poche strutture pubbliche sono state barbaramente mutate in aziende e anch’esse come le private perseguono il profitto. Così la mentalità aziendalista ha aperto le porte al più cinico e più spietato neoliberismo che nessuno ha voluto vedere perché offriva alla mediocrità le porte del successo professionale ed economico che diversamente, puntando solo sulle proprie capacità, non l’avrebbe visto nemmeno da lontano.  Ed ora assistiamo al pietoso spettacolo della disparità di opinioni da parte di eminenze mediche (dalla quale sarebbe normale esigere certezze scientifiche) sulla natura del virus, sull’opportunità o meno di fare i vaccini. Professori che dovrebbero darci risposte certe, tirare fuori ricerche scientifiche inconfutabili, studi indiscutibili, invece forniscono verità aleatorie svelando tragicamente l’inconsistenza di una disciplina sempre più evanescente e sempre più barbaramente prosaica alla quale siamo costretti ad affidare le nostre vite.

In questo scenario, quanto sarebbe servito un ospedale ampio efficiente, strategico, attrezzato addirittura con un intero padiglione destinato alla rianimazione? Un ospedale attrezzato da ospedale, pensato per affrontare emergenze come l’Ospedale Margherita? Quanto sarebbe servita in questa tragedia collettiva la forma dello Stato? Quello Stato concepito per il benessere del cittadino e la sua cura in ogni fase della sua esistenza e in ogni condizione.  Quello Stato che concepisce l’efficienza sanitaria come bene comune, valore che la concezione della sanità privata imposta dallo spietato neo liberismo non prende minimamente in considerazione.

Ora tutti ci aspettiamo, dalla lampante evidenza dell’inefficienza del privato, del capitalismo e della globalizzazione, che si dismetta la mentalità neoliberista nella gestione dei servizi pubblici essenziali e che si torni ad un nuovo umanesimo socialista.  Che si torni ad una Sanità Pubblica, per evidente provata inefficienza del privato, dovuta ad un suo innegabile limite ontologico, il profitto. Stavolta un virus ci ha spiegato cosa sia l’obsolescenza indotta, forzata per profitto e quanto sia dannosa. La sanità non può essere privata, questo ormai, da domani dovrà essere un principio tautologico!!!

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