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La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Storia della pignolata, dolce metafora della “messinesità”

Una prelibatezza autoctona che nasce nel periodo di Carnevale, divenendone il suo archetipo dolciario

Tra le tante specialità che caratterizzavano e caratterizzano il rito carnevalesco in riva alla Stretto imperava, ed impera ancora, un dolce che è l’icona della città di Messina: la Pignolata.

Una prelibatezza autoctona che nasce nel periodo di Carnevale, divenendone il suo archetipo dolciario.

La “Pignolata Messinese” è legata strettamente alla tradizione della macellazione e celebrazione del maiale. Quando non c’erano i frigoriferi il maiale doveva essere macellato nei giorni più freddi dell’anno, che spesso coincidevano con il Carnevale. La carne doveva essere lavorata, consumata, insaccata, salata ed essiccata in breve tempo e a temperature basse. Le parti nobili, diventavano salami, pancette, prosciutti da conservare in cantina come scorta per tutto l’anno, viceversa i sottoprodotti della macellazione, non potendoli conservare a lungo, andavano consumati in tempi brevi.

Sfrido, interiora, ossa, cartilagini, cotenne, etc. venivano messi lungamente a bollire ottenendo da questa cottura due prodotti ambiti: le “frittole” (miscuglio indefinito di parti solide edibili) e la “saime” (strutto o sugna) ottenuta dallo scioglimento e successivo raffreddamento della parte grassa delle carni.

Pignolata mon amour

La “saime”, allora, era un prodotto molto instabile e doveva essere consumato presto affinché non irrancidisse.

Così il Carnevale era il periodo in cui si disponeva di un grasso a buon mercato per friggere, e dunque ci si poteva permettere il lusso di preparare anche dei dolci. Usare il prezioso olio per queste voluttà era un’ipotesi insostenibile dal punto di vista economico.

Non è un caso che nella tradizione dolciaria italiana molti dolci che si preparano per il Carnevale sono dei biscotti o delle paste tradizionalmente fritte nello strutto, come le zeppole, le sfingi, le chiacchiere, le castagnole, le frappe, le ciambelle, le graffe napoletane, gli struffoli, etc..

Allo strutto si deve anche la tradizione dei Cannoli e della Pignolata come dolci delle festività carnevalesche.

Fino all’avvento dei refrigeratori questi dolci erano preparati solo ed esclusivamente nel periodo di Carnevale poiché sia le scorze dei Cannoli, sia il biscotto della Pignolata si impastano e si cuociono esclusivamente nello strutto.

La Pignolata in Sicilia è un dolce di antica tradizione fatto da piccoli gnocchetti di pasta fritta, nello strutto, e cosparsi di miele per alleggerire il sapore intenso del grasso suino.

A Messina, dove la tradizione pasticcera fu a lungo influenzata da quella francese, che impose un gusto più raffinato nei dolci, il biscotto della pignolata non fu concepito come uno gnocco bensì come un gustosissimo cilindro alveolato e poroso, per il quale vennero impiegati la farina di Manitoba e l’alcool.

Questo particolare biscotto, rispetto ad altri, assorbiva più “Saime” e cospargerlo solo di miele al palato non riusciva a vincere la preponderanza lipidica dello strutto. Sulle prime, per aromatizzarlo meglio, si pensò di sostituire il miele con il succo di limone (gustare un biscotto di pignolata appena fritto nello strutto bollente cosparso di succo di limone è una vera delizia per il palato).

Presto il succo di limone, per ragioni pratiche ed estetiche, venne sostituito da una raffinata glassa al limone, composta da una parte di albume montato a neve, due parti di zucchero e tanto succo di limone. Questo spiega perché la glassa della pignolata è al gusto di limone, quella al cioccolato è una recente modernizzazione.

Il biscotto era impastato con una sapiente miscela di farine, uova ed alcool in un procedimento estremamente laborioso e certosino, facendo scrupolosa attenzione all’assorbimento dell’alcol che doveva avvenire in modo lento, costante e capillare in modo da non incallire o “bruciare” l’impasto. Era una sorta di rito alchemico per certi versi spettacolare. Ultimato l’impasto veniva stirato in lunghi bastoncini che venivano a loro volta tagliati repentinamente in piccoli frammenti.

Il cilindretto di pasta, al calore della Saime, si apre generando forme porose causali e poliedriche la cui articolazione trattiene meglio la farcitura. L’iniziale forma piramidale è spiegata dalla necessità di agevolare questo processo.

Il biscotto appena fritto veniva incastellato a forma di pigna per essere cosparso meglio di glassa, la quale versata dall’alto, per caduta, riempiva tutti vuoti ed imbibiva ogni elemento. La forma è condivisa con la versione originaria della pignolata, quella farcita con il miele, anch’essa lavorata con la stessa tecnica per colata.

In seguito i maestri messinesi hanno raffinato questa tecnica cominciando a farcire i biscotti prima per immersione, in modo che l’assorbissero fosse più pregnante, e poi, formata la pigna, aggiungenvano un velo più denso di glassa per dargli quell’appetitoso uniforme candore che tutti apprezziamo.

Dopo la seconda guerra mondiale la produzione dello strutto divenne industriale ed il prodotto fu più durevole, raffinato e privo d’impurità. Queste nuove caratteristiche, unitamente al diffondersi dei frigoriferi, permise la conservazione perenne dello strutto e dunque la possibilità di preparare la pignolata tutto l’anno.

Così la “Pignolata Messinese” da dolce carnevalesco divenne il dolce che completa ogni banchetto e anche il semplice desinare dei peloritani.

Questo dolce soffice, spugnoso, avvolgente al palato, con un fragrante retrogusto al limone che gli conferisce quella freschezza che neutralizza la pesantezza della frittura di base, esprime in pieno tutto ciò che c’è di buono in questa terra, ma al tempo stesso dà l’idea di quanto il piacere a queste latitudini sia di difficile accesso.

Non è dato ai messinesi gustarsi facilmente la bellezza e la bontà, tutto è reso vischioso, nulla è possibile ottenere senza fatica e senza sporcarsi le mani, così come quando si mangia la Pignolata: una bontà che prima di arrivare al palato imbratta fastidiosamente le dita rendendole appiccicose di glassa.

Un dolce che è anche una ludica metafora della “messinesità”.

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Storia della pignolata, dolce metafora della “messinesità”

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