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Giovedì, 28 Marzo 2024
La forma delle idee

La forma delle idee

A cura di Carmelo Celona

Sopraelevazioni, è caos architettonico a Messina: ecco l'utile che mortifica la bellezza

La città deturpata da squilibri formali e stratificazioni inconsulte che hanno reso sempre più sgradevole anche il centro storico. Ma anche meno sicuro. In caso di terremoto, ad esempio...

Il centro storico di Messina da molti decenni è in fase involutiva. La visione del paesaggio urbano della città peloritana è caratterizzata da un forte caos formale.  La città anacronistica ricostruita dopo il 1908 con tutte le sue contraddizioni è divenuta una città invisibile ed invivibile. Messina è una città deturpata. Privata dal grande sisma della sua identità secolare, piano piano va perdendo anche quell’identità posticcia che si era data dopo il terremoto, trasformandosi via via in un organismo urbano sempre più caratterizzato da squilibri formali e stratificazioni inconsulte che forniscono una percezione sgradevole dell’ambiente cittadino. Una babele architettonica.  

La città improbabile rinata all’indomani del cataclisma sta scomparendo, sostituita non da un’altra idea di città, ma da un marasma inconsulto di accumulazioni incoerenti, di selvagge superfetazioni, di eterogenee scelte cromatiche, di restauri d’utilità. Quello che l’insulto bellico dei bombardamenti “alleati” dell’estate del 1943 non è riuscito a compromettere definitivamente lo sta compiendo questo galoppante fenomeno.

Sopraelevazioni, la babele architettonica anche nel centro storico

Negli anni 50, 60 e 70 del secolo scorso la città ricostruita è stata oggetto del barbarismo dei tecnici soprelevanti. Professionisti che vantando il pragmatismo tipico degli edili: l'utilità innanzitutto. Hanno sopraelevato con linguaggi afasici ed incoerenti gran parte dei palazzi del nuovo centro storico. In quel periodo la mancata istituzione, nell’ateneo peloritano, di una facoltà di architettura aiutò molto l’affermazione di profili professionali che vedevano nell’involucro architettonico solo un elemento di protezione dalle intemperie. Fu con questa categoria di pensiero e con il suo prosaicismo provinciale rassicurante sull’antisismicità che è stata avviata la stagione delle soprelevazioni.  

Esorcizzando con ostentata sapienza pseudo strutturista il rischio che queste soprelevazioni avrebbero evidentemente comportato, spacciando per ingegneria scientifica quella che fu solo una bizzarra ingegneria empirica, dettero garanzie anche alla fase successiva, quella delle soprelevazioni delle soprelevazioni.

Oggi molti ambienti scientifici qualificati ci dicono che solo alcune strutture costruite dopo il terremoto oggi sovraccaricate da soprelevazioni, resisterebbero ad un regime sismico forte come quello del fatale 28 dicembre, le altre, subirebbero notevoli danni, per via degli inappropriati ancoraggi alle strutture sottostanti. 

Questo atteggiamento inaugurò quell’insensibilità diffusa che oggi caratterizza l’espressività formale della città, rompendo il dogma della inviolabilità dell’architettura e dando il via libera morale ed estetico alla contaminazione utilitaristica dell’architettura: la sovrascrittura per necessità. Così oltre alle soprelevazioni si sviluppò il fenomeno puntiforme delle superfetazioni: la concretezza delle chiusure di balconi, gli ampliamenti orizzontali, i corpi aggiunti, i bow window, etc. Attività che hanno ma mano turbato la percezione dell’architettura messinese del ‘900.

Oggi il paesaggio urbano è gravemente contaminato da questo fenomeno.

Serve un’azione pedagogica prima ancora che normativa che sviluppi una nuova sensibilità abbandonando definitivamente la categoria dell’utile. L’utile delle soprelevazioni, l’utile delle superfetazioni, l’utile delle demolizioni per risparmiare, l’utile delle semplificazioni formali, dei gazebo approntati alla buona, dei sottotetti incongrui, dei giardini d’inverno in alluminio anodizzato, etc..

L’utile rende impossibile la bellezza. Ennio Flaiano sosteneva che “Il bello muore nell’adorazione dell’utile”.

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