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Mediamente vostro

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A cura di Francesco Miuccio

Cine taccuino del Natale messinese, dai film da non perdere alle sale che scompaiono nell'indifferenza

Il cinema resiste alla pandemia ma non mancano gli addii. Come quello al "Domenico Savio" ma anche a Fano Coco, il proiezionista del Cineclub Milani di Piazza Immacolata di Marmo, appena scomparso

Un altro giro del paese, o del pianeta se si preferisce, ma certamente anche per una Messina confusa e semiaffollata, a passeggio dentro il suo secondo Natale pandemico, con le sue luminarie buffe e coreografiche, una ruota panoramica degna del Prater che si affaccia su una piazza Cairoli dove a ben cercare non mancano le saracinesche abbassate, gli eventi di piazza a presenza contingentata con le repliche stroncate dai provvedimenti della cosiddetta “cabina di regia” governativa che escludono momenti il cui richiamo favorisca gli assembramenti.

E il cinema? Si, quell’esperienza di spettacolo che nacque pubblica ed oggi si frantuma in un catalogo di declinazioni di fruizione e di conoscenza che divide coloro che plaudono alla pluralità delle occasioni di incontro tra un film e il suo spettatore, e quegli altri che pensano che la fine della dimensione collettiva della visione in sala non sia lontana.

Il cinema pare resista, scampato alle voci messe in giro a metà dicembre, che volevano l’accesso alle sale condizionato non solo - comprensibilmente - dal possesso del green pass ma addirittura integrato dalla certificazione di un tampone.

Per fortuna questa misura di salute pubblica, che per chiunque ama il cinema in sala e sa che ormai non è facile trovarne di affollate, sembrava una beffa, specie in tempi in cui ai baccanali dell'aperitivo e nelle conventicole del baccarat si pecca di gaia incoscienza, è stata sostituita dall’obbligo, introdotto al cinema, della mascherina Ffp2 (unitamente a teatri ed eventi sportivi) e dal divieto di consumare cibi e bevande nel chiuso della sala.

Più schermi ma non altrettanti film

Per chi non si accontenta solo della dimensione domestica del cinema in televisione, che oggi offre più di quanto facesse nei natali di dieci anni fa, trascorsi a rivedere per la decima volta Angeli con la pistola di Frank Capra o Una poltrona per due, con Netflix che“proietta” direttamente negli schermi ultrapiatti di fronte al divano, un titolo importante di propria produzione come “E’ stata la mano di Dio” di Sorrentino, apparso sul grande schermo in una breve anteprima novembrina, in città c’è una novità che si vorrebbe foriera di più stimoli di quanti attualmente suggerisce.

Proprio in prossimità delle feste natalizie, Messina si è ritrovata gli undici schermi della multisala del centro commerciale di Tremestieri, restituiti alla passione della città per lo spettacolo cinematografico.

In quanto alla cultura, che nel cinema trova talvolta un’occasione di diffusione e condivisione, occorre sperare in tempi migliori, visto che la multisala chiusa un anno e mezzo fa dal Circuito Uci Cinemas e appena riaperta dalla società The Screen che già gestisce sotto lo stesso marchio gli schermi del Parco Corolla a Milazzo, ha riaperto con una programmazione impostata esclusivamente sui grandi titoli del cinema commerciale, nel tentativo di riempire almeno qualche centinaio di posti sui duemila disponibili, selezionandone tra l’altro solo cinque per ogni rotazione, e allineandosi in termini concorrenziali con le altre due multisale cittadine, Apollo e Iris, che continuano la meritoria e dura battaglia degli esercenti privati discendenti di lunga tradizione familiare.

Stante questo scenario, a chi ama il cinema non resta che auspicare una diversificazione che, finite le feste, consenta anche di trovare qualche titolo più autoriale.

Un suggerimento per Capodanno

Pescato tra le pieghe della programmazione dei listini di inizio 2022, potrebbe fare l’inaspettata comparsa qualche pellicola d’autore che faccia la gioia della vecchia guardia cinefila e degli spettatori in cerca di proposte interessanti. Per scegliere un titolo ad esempio, il 5 gennaio, giusto un paio di giorni dopo l’uscita per il giorno di capodanno della “corazzata” industriale Matrix-Resurrection, sarà distribuito, e messo in cartellone, almeno dagli esercenti più coraggiosi Un eroe, nuova prova di uno dei registi più talentuosi del mondo, premiato a luglio a Cannes col Gran Premio della Giuria.

Asghar Farhadi, la cui cifra artistica è un realismo tutto centrato sull’indagine umana, sulle dinamiche e sui conflitti sentimentali, etici, cetuali, tra uomini e donne che appaiono molto di più che semplici personaggi ma si stagliano, con discrezione e senza spettacolarizzazioni, come veri e propri simboli viventi di una comunità affaticata da patemi e scelte universali, fa film bellissimi.

Per gustarseli basta non chinare il capo di fronte a certi conformismi della cultura spettatoriale, ad esempio non farne un problema se il regista è nato su un altopiano di una provincia al centro dell’Iran e non a Los Angeles e se il ritmo della storia e quello della vita e non quello di un giro sull’ottovolante.

L’invito è ripescare film come Il cliente, Il passato e soprattutto Una separazione, con cui Farhadi vinse l’oscar per il film straniero nel 2012.

La domanda che echeggia di questi tempi potrebbe essere la solita: “su che piattaforma si trovano”? Difficile trovarne su quelle più note ma Il passato e anche Tutti lo sanno, con la coppia Bardem e Cruz, unica escursione europea dell’autore, si trovano, mentre per gli altri ci sono i portali di film d’arte e i vecchi supporti fisici, da amare come si fa ancora coi libri.

Il panorama delle uscite natalizie

E’ chiaro: a Natale la programmazione è affollata di film che si incaricano o provano a farlo, tra la variante Omicron che aleggia e una qualità del risultato spesso tutta da immaginare, di sollevare gli umori del pubblico, spesso in gita familiare in sala, come usanza tipica delle feste.

Una decina di giorni prima della notte di Natale, sono stati lanciati in sala il Diabolik dei fratelli Manetti, piuttosto criticato, a parer nostro oltre misura (la concezione del film è un omaggio al ritmo e alla specificità estetica del fumetto delle sorelle Giussani, ma proprio questo ha sollevato critiche che sono giunte tra i cosiddetti esperti a citare come nettamente superiore persino il fiacco Diabolik “pop” di Mario Bava del 1968 dove tra l’altro recitava anche il messinese Adolfo Celi) e House of Gucci che ancora resiste in sala, con il suo diseguale e ambiguo ritratto, spettacolarizzato ai limiti del kitch, di un’epoca edonista e di un’epopea classista. E’ poi uscita la classica, inevitabile, commedia italiana “per famiglie” (una vecchia etichetta di genere delle riviste cattoliche dei cinquanta) che affastella luoghi comuni, suggerisce risate che per qualcuno è difficile rinvenire, mira basso per rastrellare letizia e rilassatezza ecumenica. Si tratta di Chi ha incastrato Babbo Natale? firmato da Alessandro Siani, e da lui interpretato accanto ad un Christian De Sica che recita da anni col pilota automatico e da una bellona pescata direttamente dal mondo del giornalismo sportivo glamour (reciterà anche la burrosa Diletta? E chi lo sa? Occorrerebbe pagare il biglietto per appurarlo).

Quella di Siani non è la sola commedia italiana distribuita a Natale, anche se a sbancare il botteghino non c’è in giro un titolo di Checco Zalone o di Ficarra e Picone che hanno saltato il giro e i cui ultimi due film mostravano apprezzabili segni di impegno oltre la farsa (sia Tolo Tolo che Il primo Natale, uscito nel 2019 nell’ultima ricorrenza prima della pandemia, si avventuravano sul tema dell’accoglienza allo straniero) e ricordiamoci che un film come Io sono babbo Natale di Falconi con l’ultima interpretazione di Gigi Proietti affiancato da Marco Giallini ha cercato di trovare un pubblico uscendo a novembre.

Le super produzioni americane

Il 15 dicembre è uscito anche il nuovo film Marvel, Spiderman-No way home, riempiendo le sale per la gioia degli esercenti in una misura ormai anomala anche in tempi pre-pandemici. Sull’ennesimo film dell’Uomo Ragno non c’è poi da spendere parole: che si affermi provocatoriamente, come fece Scorsese, o persino si creda magari sfiancati dalle traiettorie di narrativa pirotecnica del Marvel Cinematic Universe, che “non si tratti di cinema ma di qualcos’altro”, o che ci si svegli più realisticamente nel nuovo millennio e si accetti che oggi il pubblico del cinema è soprattutto giovane e privo di pregiudizi e schemi spettatoriali ormai desueti, i campioni di incasso del futuro sono questi, talora anche divertenti, sempre e comunque abbondantemente fracassoni sino al tellurico.

Il 23 è uscito in sala il remake di un classico della storia del cinema, West Side Story, tratto da un musical di Bernstein che uscì sui palcoscenici di Broadway nel lontano ’57 e che quattro anni dopo venne trasposto sullo schermo da Robert Wise che ne co-firmò la regia col coreografo Jerome Robbins. Ci si chiede ogni volta se sia il caso di operare questi “scongelamenti” di vecchi copioni e di sopite emozioni da ravvivare nel pubblico come funghi secchi nell’acqua tiepida della fantasia.

La firma di Spielberg (che anni fa si impegnò in un inutile remake del classico di fantascienza La guerra dei mondi) può garantire accuratezza formale ai limiti della perfezione tecnica, persino un tocco autoriale (si parla di sequenze girate con la macchina a mano) perché di un grande autore popolare sempre si parla, ma le perplessità prima della visione non svaniscono. In attesa di piacevoli smentite, è certo che Rachel Zegler non sia Natalie Wood, neanche un po’.

La commedia oltre la farsa

Sempre il 23 sono uscite due commedie, dall’impianto certo meno banale del citato film di Siani: lo spagnolo Il capo perfetto, con Javier Bardem e l’italiano Superoi.

Il primo vede la star iberica, invecchiato ad arte, in un lavoro che indaga in chiave tragicomica il mondo del lavoro e le sue attuali derive (spersonalizzazione, sfruttamento contrattuale, dittatura del profitto che devasta i rapporti umani) su cui non è facile strappare un sorriso, mentre il film di Paolo Genovese, con la coppia Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, vuol cimentarsi in una riflessione sull’eroicità del restare coppia in tempi di sfaldamento precoce e costante dei legami amorosi.

Il tocco del regista, che è quello di Perfetti sconosciuti, film di cui si ricorda lo spunto più banale del mondo (i soliti cellulari altrui spiati dal prossimo in cerca di rivelazioni piccanti e segreti di pulcinella) e nondimeno, o forse di conseguenza, di buon successo a tutte le latitudini di pubblico, è noto. Basta accontentarsi, magari giocando ad anticipare i dialoghi e le svolte di sceneggiatura e cercare la leggerezza implacidita dello sguardo natalizio.

Il giorno di Natale esce un altro remake, una versione italiana di un film di Francois Ozon di neanche tanti anni fa, Sette donne, un mistero. A dire il vero, nel film girato nel 2002 dal regista francese, di donne al centro di un intrigo giallo degno del classico “whodunit” alla Agatha Christie, ce n’erano otto, da lì il titolo italiano, ovviamente Otto donne e un mistero, con un cast strepitoso, con la Ardant, la Denevue, la Huppert, Emanuelle Beart tra le altre.

Alessandro Genovesi gira, con una donna in meno nel cast e nel titolo, ambientando la storia che nell’originale si svolgeva negli anni cinquanta in Francia, nell’Italia degli anni trenta e la vicenda si svolge, cascando appositamente a fagiolo con l’uscita in sala, alla vigilia di Natale.

La domanda è sempre quella fatta per West Side Story: davvero non si riesce a scrivere storie degne di succedere a quelle già collaudate? Rinunciando a rispondere, e auspicando che in sala non manchi la correttezza di chi eviterà di rivelare il mistero che si conosce da anni, anche prima delle piattaforme e del cinema in streaming, c’è da godersi un drappello di ottime attrici, da una Ornella Vanoni che ha un carisma che doveva essere in più occasioni offerto al cinema (I viaggiatori della sera accanto a Tognazzi è un film da riguardare) a nomi collaudati come la Buy, la Ranieri (reduce dall’abbacinante apparizione del film di Sorrentino) la Ramazzotti, sino ad un giovane talento come Benedetta Porcaroli, vista di recente in La scuola cattolica e prima ancora nella popolare e non proprio autoriale serie televisiva Baby.

Il cinema d'autore ed un commiato da luoghi e persone

Chissà, forse alcune uscite della settimana natalizia o dello stesso segmento festivo, che accarezzino la fantasia di chi ama anche un cinema meno conformista e immaginato su scala industriale, potranno tornare ai primi di gennaio- Pensiamo al finlandese Nimby-Not in my backyard, uscito a metà dicembre, una commedia dal taglio piuttosto acre, ribaldo, di satira sociale che di questi tempi sonnolenti attrae parecchio, o al racconto familiare denso e commovente del cinese Tiepide acque di primavera, che pare trovi una distribuzione il 28 dicembre.

E proprio auspicando che anche a Messina, possa trovare uno schermo un film come One second, il nuovo di Zhang Yimou (che il mondo e l’Italia conobbero con Lanterne rosse e che per decenni ha proseguito con una carriera d’autore e con talento da maestro, anche quando per problemi col governo cinese dovette camuffare i contenuti politici del suo cinema dentro storie che una volta si chiamavano “di cappa e spada”, che è un film sull’amore per lo spettacolo cinematografico, per la proiezione e il suo fascio luminoso pieno di storie e di sogni, per i nastri di pellicola impressionata che si smarriscono e si deteriorano a differenza delle emozioni che hanno saputo suscitare, per il mestiere di chi porta i film tra la gente, che vogliamo ricordare due pezzi di storia dell’esperienza cinematografica della città scomparsi in questi giorni.

Una è una sala, quella annessa all’oratorio Salesiano del Domenico Savio di Via Peculio Frumentario. Nella tristezza di non troppi cittadini forse già in là con gli anni ma con l’intatta coscienza di quanto sia grave ciascuna e distinta perdita culturale, in una città che in materia conosce continue emorragie di pratiche e soprattutto di spazi, la Curia si è riappropriata dei locali lasciati liberi dai salesiani E lo schermo in cui già dagli anni settanta si proiettavano per i piccoli scolari, oltre le classiche “filmine” su Don Bosco, anche classici natalizi come I dieci comandamenti (che allora conosceva una riedizione ogni paio di anni, al pari di Ben Hur) di De Mille, ma anche film d’avventura, come – ricordo di chi scrive – classici  ripescati dai magazzini degli anni cinquanta, come I bucanieri o Il corsaro dell’isola verde, resterà buio. Dopo la gestione “in-house” dei salesiani, il cinema-teatro Savio di Messina, è stato per anni un punto aggregazione, una tra le sale messinesi, una gradita opzione per assistere a proiezioni, oltre che a rappresentazioni teatrali e concerti musicali. La gestione privata del cinema da 250 posti dopo la ristrutturazione degli anni ottanta andò avanti sino ai primi anni del nuovo secolo e, in quella sala, che oggi si dice troppo vetusta per essere resa agibile, non mancarono visioni appassionate. Personalmente voglio ricordare l’opportunità di vedere sul grande schermo, in una riedizione restaurata, il film che è responsabile del mio amore per la cosiddetta settima arte, e che avevo visto solo in tv, era il maggio del 2002, e il film era Jules e Jim di Francois Truffaut.

Pare ci vogliano diverse centinaia di migliaia di euro per rimettere a nuovo i locali, considerando che la tribuna sospesa, creata in un’epoca in cui le normative di sicurezza erano un pio desiderio, non è recuperabile per l’uso e immaginare che si proiettino ancora film nel buio reso accogliente di quei locali è difficile, molto difficile.

Per una sala che scompare nell’indifferenza, vogliamo ricordare chi non merita di salutare gli appassionati di cinema della città senza che gli si dedichi un breve e caro ricordo.

Il nostro addio sorridente è per Fano Coco, il proiezionista del Cineclub Milani di Piazza Immacolata di Marmo, appena scomparso. In questi giorni il creatore di quella esperienza di cinema e cultura, Ninni Panzera, di cui Fano fu fido collaboratore, lo ha ricordato come entusiasta conversatore con gli spettatori prima e dopo le proiezioni nella piccola e accogliente saletta che è stata un rifugio per i cinefili messinesi. Così, questa è per te Fano, l’Alfredo di Nuovo Cinema Paradiso, era un personaggio che a molti ricordava te, o viceversa chi lo sa.

Cine taccuino del Natale messinese, dai film da non perdere alle sale che scompaiono nell'indifferenza

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