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Venerdì, 29 Marzo 2024
Mediamente vostro

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A cura di Francesco Miuccio

Il porto di Messina come set e la nave che visse due volte

Dal poliziesco di Sciascia al “Mafioso” di Lattuada, ecco tutte le pellicole che raccontano il passaggio sullo Stretto tra amori, comicità corrosiva, fughe e ritorni. Ma c'è anche la storia inedita di “Nessuno” girata sul Cariddi, il Titanic della città. Il regista Francesco Calogero: “Sfruttammo i bei saloncini e i due bar”

Ci siamo già occupati di una manciata di pellicole che hanno messo al centro delle proprie storie la cornice urbana e paesaggistica di Messina, ma ce ne sono altre che con una sequenza di montaggio, un breve stacco di raccordo o solo qualche fotogramma ne hanno stanato senza sforzo la poesia.

E’ stato spesso il porto, segnato ai margini dai due simboli di culto nati negli anni trenta, la statua della Madonna della Lettera, che veglia su chi arriva e chi parte, e il Sacrario di Cristo Re a troneggiare, in altro sopra la costa, dall’antico sito della torre medievale di Rocca Guelfonia, a conoscere alcuni sguardi fuggevoli della macchina da presa che hanno richiamato il destino di luogo di transito di quella falce, i suoi perduti fasti (quelli del “porto franco” dove le industrie agrumarie caricavano dei propri prodotti navi di tutto il mondo) il suo scenario pieno di Storia e di storie.

Fra libri, teatro e cinematografia

E’ successo, ad esempio, richiamando le pagine dei grandi letterati dell’isola, come in una trasposizione, firmata da Emidio Greco nel 1991, di Una storia semplice, breve ed amaro romanzo poliziesco di Sciascia. Il personaggio del professore Carmelo Franzò, alter ego dello scrittore reso dalla maschera inimitabile di Gian Maria Volontè, di ritorno in Sicilia per l’omicidio di un amico, in transito su un traghetto ferroviario (uno di quelli radiati tra il 2009 e il 2012, l’Iginia, la Sibari o la Rosalia, con le sue panchine di legno alternate sul ponte passeggeri) ormai alla fine della traversata,  si rivolge ad un attonito rappresentante farmaceutico col volto di Massimo Ghini, sferzandone l’inconscia diffidenza con un interrogativo eminentemente sciasciano: “ce l’aveva dipinta sul viso la domanda, moriva dalla voglia di chiedermi, come si fa ad essere siciliani?”

Dopo Sciascia, è il Vittorini di Conversazione in Sicilia a fungere da nobile richiamo per un’altra sequenza con cui si apre un’opera particolare, a metà tra teatro filmato e racconto etnografico, quel Sicilia! girato nel 1999 dalla coppia di coniugi registi francesi Jean-Marie Straub e Danièle Huillet.

Il porto di Messina nei film più celebri

L’incontro tra il protagonista che cerca di ritrovare le proprie radici, il tipografo Silvestro Ferrauto che scende in treno da Milano per trovare la madre, e un disperato venditore di arance locale con moglie giovanissima al seguito, che nel libro si svolge sul traghetto, nel film diventa un’inquadratura fissa in un bianco e nero fortemente contrastato, di uno scorcio della banchina del porto. In un quadro di rigorosa geometria, dove a destra si scorge a fatica un bambino che pesca con la lenza e a sinistra, senza troppi patemi di verosimiglianza storica (perché la storia resta, anche per i due registi, ambientata nel 1941 dell’apogeo fascista) è attraccato con tutta evidenza un aliscafo dei cantieri Rodriquez, Ferrauto in attesa del treno per Siracusa, conduce un dialogo con il commerciante che lamenta di non riuscire a vendere la sua frutta a Messina come a Villa San Giovanni, la cui recitazione, per scelta degli autori, è naturalistica, affidata a non professionista che declama in modo straniante le righe di Vittorini.

E’ infine appena il caso di citare Anni difficili che Luigi Zampa trasse nel 1948 dalla novella Il vecchio con gli stivali scritta alla fine della guerra da Vitaliano Brancati che sceneggiò anche il film, storia di un bonario impiegato comunale di un paesino dell’entroterra siciliano, che vive sulla propria pelle le miserie quotidiane del ventennio fascista. Lo stretto è appena accarezzato da una breve sequenza interpretata da Massimo Girotti, reduce e figlio del protagonista, che ammira la costa messinese dal traghetto con cui torna in Sicilia a incontrare il proprio destino.

Comicità corrosiva e amori sul traghetto

Molto più significativa è la sequenza tratta da Mafioso di Alberto Lattuada, film del 1962 di comicità corrosiva (Marco Ferreri era tra gli sceneggiatori) dove il caporeparto industriale trapiantato a Milano, un ottimo Alberto Sordi che si destreggia in una parodia delicata del carattere passionale di figlio dell’isola che ritrova i propri istinti appena a contatto visivo con le amate sponde della Trinacria. “Guardate la Sicilia, l’isola del sole e dei ciclopi, cantata da tutti i poeti del mondo - dice a moglie e figlia nordiche e biondissime - ecco guardate quella è la città di Messina, già si sente l’odore degli aranci, dei limoni” doppia poi con goffo lirismo. A colpirci è la battuta che il copione regala allo spavaldo personaggio in merito ad una questione che ancora oggi non smarrisce la sua dimensione di sogno o incubo, a seconda delle prospettive: “Neanche più separati siamo. Il più grande elettrodotto del mondo ci unisce al continente…oh ci sono voluti quattro anni di lavoro e attraverso quei fili sospesi nell’aria, ci passano milioni di kilowatt e domani anche il ponte” unendo simbolicamente i due indici e rubandoci ancora oggi un sorriso malizioso.

Dentro il traghetto in viaggio per Messina si consuma poi l’incontro tra una bella trentenne americana di origine siciliane, una Greta Scacchi capace di recitare in italiano senza doppiaggio, diretta al funerale del padre, e un giovanissimo compagno di strada nel road  movie La donna della luna, esordio alla regia del 1988 del critico Vito Zagarrio, mentre è una fuga da una terra ingrata quella del gruppo di emigranti di Favara, minatori delle solfatare chiuse dalla crisi, in Il cammino della speranza (Pietro Germi, 1950). Messina e il suo porto segnano il loro distacco definitivo dall’isola matrigna con una brevissima scena agli imbarcaderi delle Ferrovie dello Stato, con il nome della città in sovraimpressione a scandire il passaggio narrativo e un inquadratura della bella Elena Varzi sul ponte del traghetto con la madonnina visibile sullo sfondo.

Storie di mare e di marinai

Molto curiosa la scelta della produzione di Mare matto, storia di marinai in cerca di imbarchi sulle navi merci al porto di Genova, girata da Renato Castellani nel 1963. Infatti, nonostante il protagonista sia un Belmondo con accento livornese e la bella pensionante Gina Lollobrigida operi nella città della Lanterna, è davanti alla Madonnina della Lettera che appare il suo nome sui titoli di testa, girati interamente al porto di Messina. Evidentemente serviva una sequenza di montaggio costruita in un set portuale di provato fascino, al di là di ogni coerenza geografica.

La luce di quelle immagini è una carezza alla città che ispirò, come raccontò più tardi agli amici, il messinese Tano Cimarosa, presente con una delle prime gustose parti in quel film, a sognare un set interamente messinese che lo vide regista e interprete più di dieci anni dopo.

La curiosità inedita con cui chiudiamo questa rassegna di citazioni sul porto di Messina al cinema è il ricordo di alcuni giorni di lavorazione nell’estate del 1991 sul set di un film del messinese Francesco Calogero, Nessuno, delicata storia di formazione e sperdimento giovanile con un cast importante, in cui il protagonista Roberto De Francesco è affiancato da Renato Carpentieri, Sergio Castellitto e Lucrezia Lante della Rovere ancora non consegnata alle fiction televisive.

Il regista, raggiunto da MessinaToday a Roma, dove sta lavorando a un progetto ancora riservato, ci chiarisce che, a differenza di altri suoi lavori, l’esordio La gentilezza del tocco e l’ultimo apprezzabile Seconda primavera, per quel film non scelse di eleggere la città a sfondo riconoscibile delle riprese.

“Girammo una scena importante ad Acitrezza, poi ci spostammo a Messina per ragioni produttive e individuammo nell’edificio del Seminario Arcivescovile Angelo Paino il set dell’immaginario Civico Convitto James Joyce dove il protagonista sperimenta la sua inadeguatezza giovanile ma è indubbio – sottolinea Calogero – che dal punto di vista scenografico quel collegio si sarebbe potuto trovare in Svizzera, mancando intenzionalmente qualunque connotazione cittadina”. E Messina fa solo da sfondo neutro col suo mare in lontananza in alcune scene conviviali girate al Residence sui Laghi di Ganzirri perché Nico, il giovane che fugge da scomode realtà familiari, si muove, ci ricorda il regista “in una dimensione di permanente e deliberata astrazione esistenziale”, un percorso di crescita e di spersonalizzazione suggeritagli da un’infantile visione dell’Odissea televisiva di Franco Rossi (il titolo del film rimanda alla non-identificazione dell’eroe omerico di fronte al pericolo del ciclope) e da successivi traumi che incideranno sulla sua sensibilità e la sua attitudine nei confronti del mondo circostante, affetti compresi.

Calogero e la bisca galleggiante

La rivelazione davvero inedita (“non mi dispiace che finalmente si citi questa cosa”), che riguarda un modo del tutto diverso di eternare la città sullo schermo pescando nella Storia del suo porto, è nelle sequenze che Calogero e la produzione della sua Nutrimenti Terrestri decisero di ambientare su una bisca galleggiante, lo Stork club, il cui nome omaggia il celebre night-club di Manhattan oltre che echeggiare il cognome del protagonista.

Il numero di un cantante confidenziale, un tipico crooner alla Sinatra (anche se canta Nobody di Tom Waits) in una delle sequenze iniziali e poi una lunga scena centrale al tavolo di Chemin de fer sono girate sulla “nave che visse due volte”, il traghetto ferroviario Cariddi, in disarmo e ormeggiato al molo Luigi Rizzo in quei giorni del ’91.

Costruito a Trieste nel ’32, il Cariddi, fece la spola con la Calabria, con la sua elegante struttura in fasciame chiodato e il suo innovativo motore a propulsione Elettrico- Diesel a corrente continua sino a quando, passata la notte di ferragosto del ’43, il comandante di macchina Michele Porcasi non fu comandato di affondare la nave per non farla cadere nelle mani degli alleati.

Recuperato e ristrutturato per aumentarne la capacità di trasporto, il traghetto conobbe un nuovo varo nell’ottobre del ’53 e viaggiò sullo stretto sino al 1990. Per quindici anni le istituzioni messinesi progettarono di farne un museo galleggiante di storia marinaresca cittadina ma anche uno spazio ricreativo: ”Il ponte auto potrebbe diventare un giardino pensile con la possibilità di utilizzo come ritrovo estivo o anche come spazio all’aperto per proiezioni cinematografiche specializzate” si leggeva nella proposta del professor Giulio Romano, datato 1989.

Il cinema era quindi nel destino della Cariddi, anche prima del film di Francesco Calogero, che a proposito delle riprese racconta: “sfruttammo i bei saloncini e i due bar, che la scenografa Marianna Sciveres rese funzionali alla storia restituendo l’atmosfera di un locale che nei ricordi del giovane protagonista trascolorano, disilludendolo e rendendo la sua reticenza sociale sempre più estrema, sino al mutismo, dalla raffinatezza del jazz club che lo affascinava da bambino alla fumosa confusione di una bisca organizzata a bordo”.

Non si decise di sfruttare l’esterno della nave e tantomeno di dedicare panoramiche sull’esterno, su una location notturna ovviamente tentatrice. Non aveva senso inquadrare la madonnina illuminata, perché, come ricorda il regista, “La scelta era quella di restituire un locale notturno galleggiante, in navigazione, e il direttore della fotografia Roberto Meddi ed io ci impegnammo piuttosto con i cambi di fuoco attraverso gli oblò e le carrellate tra i tavoli”.

Resta questa piccola storia di cinema, mai raccontata prima, nella vicenda piena di colpi di scena del traghetto Cariddi, che il 14 marzo 2006 non sopravvisse però ad un nuovo affondamento, un’eutanasia silenziosa messa in atto nel molo più esterno del porto, tra i cantieri al riparo dagli sguardi. Costava troppo mantenere la sua leggenda e si preferì consegnarla al mare, come fosse un piccolo Titanic peloritano il cui set riposa con i pesci.

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