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Sabato, 20 Aprile 2024
Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Piazza Venezi e dintorni, se la direttrice di Taoarte rispolvera il motto fascista

Due o tre cose che dovrebbe sapere la direttrice d'orchestra sullo stereotipo "Dio, casa e famiglia"

Il direttore Venezi, è stata educata a modo, un delicato soprammobile di Murano, tanto a modo che mi sfuggono i segnali di vita, limite dovuto alla mia età se non alla mia provenienza plebea, figurarsi non avevamo neppure la carta igienica, ingredienti diversi risultati diversi, ma i miei genitori erano dei fuoriclasse, certo non si spingevano a Dio, patria, famiglia, gli bastava insegnarci a trattare il prossimo con rispetto, persino gli zingari. A noi nessuno avrebbe offerto, che carriera folgorante, la direzione artistica della fondazione Taormina Arte, nel caso ci avrebbero suggerito di rinunciare, essendo la nomina avvenuta contro il parere del padrone di casa, ossia il sindaco della città. Vabbè, anche i genitori migliori, mi riferisco a quelli del direttore, non possono arrivare dappertutto.

Amo l’arte, ed ero rimasto incuriosito da una serie sul Rinascimento che passava su un’emittente nazionale. Non conoscevo il direttore, ma la conduttrice era talmente plastificata, artificiosa e insipida, che ci siamo fermati dopo 10 minuti. Poi, nei giorni successivi, si era parlato di una candidatura della Venezi nelle liste di FdI, e mia moglie mi fa: “Sai chi è, la tipa noiosa dell’altra sera, quella del Rinascimento”.

Secondo me se la caverebbe meglio col Barocco, mi pare una dimensione più naturale.

A ruota scopro che la signora è pure un direttore d’orchestra, e qualche domanda me la pongo.

Ad esempio, mi chiedo, cosa significherebbe dirigere Otello di Verdi, come interpreterebbe la figura del protagonista, come si porrebbe di fronte al dramma del razzismo che pervade tutta la partitura. Farebbe di Otello un “muscolare selvaggio”, uso le parole di Rodolfo Celletti, oppure un civilissimo e raffinato eroe, generale dell’Armata Veneta, che non deve chiedere scusa nessuno per il colore della sua pelle. Entrerebbe, il direttore, in quell’animo con spirito di compassione, mosso dall’appartenenza alla comune umanità oppure si domanderebbe con quale diritto il Moro pensava di potere essere corrispondo dalla biondissima Desdemona, la quale, peraltro, lo corrispondeva eccome, fino a quando il destrorso Jago non si è messo a rovistare nelle fragilità del Governatore di Cipro, indotte proprio dal colore della pelle.

Non oso immaginare cosa potrebbe accadere se si affacciasse alla sua mente un riferimento alle leggi razziali promulgate dal fascismo, proprio quello di Dio, patria, famiglia, i valori del direttore. Chissà come se la sarebbe passata il povero Otello in tale tempesta, assai più seria di quella che apre il capolavoro di Giuseppe Verdi. Già che ci sono, mi domando come governerebbe il dramma degli esuli nel Nabucco oppure l’eccesso di vivacità di Carmen. Converrà, il direttore, che le pieghe autobiografiche pesano sul lavoro filologico.

Dio, patria, famiglia, certo. Il punto è che non sono la stessa cosa per tutti, anzi spesso il loro significato è inconciliabile, soprattutto quando si mettono al servizio di un’oscura ideologia.

Di quale Dio parliamo. Io parlo di quello cristiano e in proposito, alcuni anni fa, in un libro per bambini, scrivevo: “Come ogni cosa che vive, anche il rapporto tra Dio e noi può ammalarsi. Per questo tanti cadono nella tentazione di metterlo, come uno scarafaggio, in un barattolino di vetro, felici di possederlo e di presentarlo a tutti come fosse l’amico del cuore.

Ma Dio non ama i luoghi chiusi, tantomeno i barattoli e gli scaffali e, soprattutto non somiglia a nessuno. Una cosa è certa, se esiste è il padre di tutti e dunque rende gli uomini fratelli. Chi non parte da qui non crede in Dio e stringe ancora più forte il tappo del barattolo”. Mi domando se il direttore è disposta a sopportare l’idea che siamo tutti fratelli, perché se non è così significa che il suo rapporto con Dio è perlomeno originale e, soprattutto, che non parliamo dello stesso Dio.

Passiamo alla Patria. Il 14 di ottobre sarò relatore nel corso di una serata dedicata al bellissimo poemetto di Patrizia Cavalli, intitolato appunto “Patria”, che consiglio al direttore di leggere e rileggere. Io l’ho fatto, e spero che lei non abbia un’idea angusta dell’oggetto, propria della cultura cui pare vicina. La Patria non è una scatola che appartiene in esclusiva a dei guardiani privilegiati, che la detengono e ne sbarrano gli ingressi a chi parte non ne fa per nascita o altro diritto umano. Lo zelo territoriale rimanda più agli uomini primitivi che a una comunità civile

Infine, la famiglia. Qui il direttore deve mettersi d’accordo, perché quella di cui parlano i ministri del Dio cristiano non coincide con i modelli dei leader della destra. Dunque, mi pare più umana e decisamente meno bigotta, quella della vituperata Cirinnà, che la nuova direttrice della Fondazione non vorrebbe mai come madre. Sarebbe, infatti, un pasticcio interiormente difficile da dipanare, quella pretende che le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale, debbano godere degli stessi diritti.

Mi permetto, anche qui, di sottoporre al direttore un piccolo testo, tratto dal mio volume, I legami che ci aiutano a vivere. “Cercheremo infine di trarre qualche auspicio, ragionando sugli scenari aperti da questa mutazione che oggi appare irreversibile e che, sia pure in forme non immaginate fino a pochi decenni orsono, rappresenta un riflesso dell’eterno compagno di viaggio della nostra specie. L’amore. Un sentimento che, verosimilmente, resterà accanto a noi e ci aiuterà a diventare più umani, comunque. Indifferente alle forme in cui decideremo di ospitarlo”.

La famiglia non è una questione di forma, ma di sostanza, i legami evolvono, seguono il profilo dei tempi, quello che li rende veri sono i sentimenti che li animano. Non vorrei che quando parla di famiglia il direttore avesse in mente un’immaginetta ingiallita alla quale neppure la leader di FdI mostra di credere, già perché i leader della coalizione di destra parlano di famiglia, ma sembrano riferirsi a quella che vorrebbero infliggere al prossimo.

Infine, chi è un uomo di cultura.  Tiro in ballo Arturo Toscanini, non per accostarlo al direttore, non bestemmiamo, ma per ricordare che il 14 maggio 1931, presso il Teatro comunale di Bologna, fu chiamato a dirigere un concerto in memoria dell’insigne musicista Giuseppe Martucci. Quella sera, malgrado i pressanti inviti, il maestro non volle eseguire Giovinezza e la Marcia Reale, che nei voti dei richiedenti doveva omaggiare il gerarca locale. Il rifiuto gli valse una violenta aggressione, che non si trasformò in tragedia solo grazie all’intervento deciso del suo autista, che lo sottrasse all’orda fascista. La musa Giorgia Meloni si chiedeva se per caso le persone di cultura di destra non vengono discriminati perché di destra, mi permetto di tranquillizzarla, il fatto è che avendo orizzonti interiori angusti, sono anche poco interessanti, nella migliore delle ipotesi. In passato anche il famoso duo “I fichi d’india”, quelli di ahrarara, si lamentavano di essere discriminati perché non di sinistra.

Spero che il direttore non si sforzi di emulare la bacchetta dell’indimenticabile Maestro, temo sarebbe tempo perso, sarebbe meglio provare a fare memoria della dignità e del coraggio di quel genio. Certo, la dignità e il coraggio non c’entrano nulla col talento, anche se non ne sono così sicuro, ma almeno concedono il diritto di essere ascoltati con rispetto quando si dice qualcosa.

Forse la Cirinnà è stata drastica nelle sue espressioni, o persino offensiva, resta il fatto che molte persone omosessuali le sono grate per la legge che porta il suo nome, che consente loro di formare delle famiglie. La sua opera accresce i diritti delle persone, a destra cercano affannosamente di contenerli. Penso all’inno alla libertà che si chiama Guglielmo Tell, altra opera che immagino di ostica lettura per una persona che ammira Giorgia Meloni.

Quelle stesse persone omosessuali, ai tempi di Benito Mussolini sarebbero finite al confino, dopo essere state spogliate di tutti i diritti.

Si tenga pure, il direttore, Dio, patria e famiglia, ma si accerti che si tratti degli originali, lontanissimi dalle caricature che ne fece il fascismo o dalla paccottiglia nostalgica di questi tristi giorni, che lei con la sua arte potrebbe allietarci, magari dirigendo “Chi il bel sogno di Doretta”. A ognuno il suo.

Piazza Venezi e dintorni, se la direttrice di Taoarte rispolvera il motto fascista

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