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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

Investire a Messina? Non conviene: l'imprenditoria nel pallone dagli Sciotto a Rocco Arena

Non è sembrata equidistante la concessione dello stadio che diventa così simbolo della difficoltà a fare impresa in città, senza ostacoli palesi o occulti. Ma se non è il capitale a venire qui saranno i giovani messinesi a viaggiare

Diciamocelo, il calcio è banale, però ci aiuta a distrarci da pensieri più impegnativi e, soprattutto, è un grande livellatore perché tutti possono parlare di calcio e persino affratellarsi attraverso di esso, dunque chi se ne occupa professionalmente andrebbe rispettato. Da tutti, però, a cominciare dai tifosi per finire alle istituzioni.

Trovo folle, ad esempio, l’aggressività che si respira nelle opposte tifoserie messinesi, ma anche poco coerente con la storia dei tifosi messinesi, quelli veri. La prima partita della mia carriera di tifoso è stata Messina-Lucchese, era il 1962. Dieci anni dopo avrei lasciato la città, ma fino a quando sono andato al Celeste, non ricordo intemperanze particolari, anzi mi tornano in mente momenti di cameratismo e un clima di grande bonarietà, al netto dell’arbitro, che era “cunnuto” sempre, per definizione.

Ci si divertiva, in un paio di occasioni ci avevo portato pure mia madre, che una volta capito qual era “u missina”, tifava con passione, a modo suo. Se prendevamo un gol, cosa non facile allora, lei si rivolgeva a me, come se i biancoscudati fossero i suoi figli: “nuncinteddi, pigghiaru u gollu”, se invece il gol lo sbagliavano noi, dopo le rituali mani nei capelli dei tifosi, mentre si alzavano all’unisono, lei mi chiedeva “chi succidiu!”, “mamma sbagliammo u gollu!” le rispondevo sconfortato, e lei chiosava “malanova, povirazzi, sunnu sputtunati!”.

Adesso la mamma non ce la porterei più, soprattutto durante il derby, perché stiamo andando decisamente oltre e dovremmo fare qualcosa per spiegare a quelli che pensano allo stadio come casa loro che non è così, lo stadio è di tutti noi.

Ora, con questo spirito da vecchio tifoso, vorrei dire due parole a favore della famiglia Sciotto e del competitor Rocco Arena.

Gli Sciotto sono stati tirati in ballo un paio di anni fa, quando c’è stato da fare ripartire dalla serie D la squadra, che era senza proprietario. Nessuno degli imprenditori messinesi si era fatto avanti, ma nemmeno i tifosi aveva esplorato modalità di finanziamento innovativo, come l’azionariato diffuso, tentato con successo a Parma tra anni fa.

Confesso di averli stimati, gli Sciotto dico, per il sacrificio compiuto, poiché possiedo il senso della realtà e conosco i costi del calcio, che anche a questo livello richiedono molte centinaia di migliaia di euro all’anno. Bisogna pagare, tutti i mesi, decine di calciatori, senza contare il resto. Ma i poveri Sciotto, dopo essersi svenati per aderire ad un’impresa che forse non avrebbero nemmeno voluto cominciare, sono stati trattati come delinquenti.

Naturalmente nessuno tra i tifosi più intemperanti si è chiesto da dove arrivassero i soldi per tenere in vita la squadra, forse pensavano che bastasse qualche centinaio di spettatori ogni 15 giorni, che immagino significhi circa 100 mila euro di incasso a stagione. Invece di arrabbiarsi con quelli che non vanno allo stadio, se la prendono con la proprietà che, detto sempre da vecchio tifoso, non poteva fare di più.

Qualche mese fa sulla scena è apparso Rocco Arena, un imprenditore del Nord con chiare radici messinesi, cercando di rilevare l’Acr, ma le trattative non sono andate come sperato, così è nato, sulle ceneri del Città di Messina, una bella esperienza di sport fondata e coltivata da messinesi perbene, l’Fc.

Rocco Arena credo abbia in mente di fare calcio in modo non amatoriale, dunque cerca di guadagnarci. Nel mondo del business funziona così, ma mi domando dov’è lo scandalo. Ce ne fossero di imprenditori che investono a Messina, con progetti e professionalità. Invece l’amministrazione comunale, con una certa ineleganza, si è smarrita, vedi questione stadi, dando, anche a chi vive lontano, la sensazione di scarsa equidistanza.

Apprezzo l’entusiasmo con cui la nuova proprietà dell’Fc si è buttata nel progetto di riaprire lo Stadio Giovanni Celeste. Sarebbe stata un’operazione culturale straordinaria, ma non si può fare cultura da soli, certe cose solitarie si fanno in adolescenza. Trovo grottesco che una persona estranea alla città si impegni in un’operazione così romantica, incontrando solo ostacoli, palesi e occulti. Già, perché a volte non c’è bisogno di mettersi palesemente di traverso, basta non fare nulla.

Credo Messina abbia un sindaco preparato, lascio perdere il suo stile e i suoi eccessi, ognuno è fatto a modo suo, ma che a capo della città ci sia una mano solida e competente, mi pare indiscutibile. Tuttavia, questo incidente di percorso è grave, perché dice almeno una cosa, vale per gli Sciotto vale per Arena: investire a Messina richiede un coraggio che talvolta rasenta la temerarietà. Non è una buona notizia, perché se non è il capitale a venire qui saranno i giovani messinesi a viaggiare. L’Acr e l’Fc sono due aziende che danno lavoro, stipendi veri, magari non risolvono i problemi della gente, ma fanno impresa. Proprio quello che ci serve, ma per fare impresa occorrono fiducia, certezze e regole, niente di più niente di meno.

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