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Giovedì, 25 Aprile 2024
Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Traffici universitari e brodo culturale, quando il “mimetismo” diventa la strada maestra per fare carriera

La vicenda raccontata dalle Iene che riguarda Dario Tomasello, coinvolge l’intera città e chi la abita molto più di quanto è possibile percepire. E' espressione di un pensiero omogeneo che lascia Messina un uno stato di perenne agonia

La vicenda raccontata dalle Iene che riguarda Dario Tomasello, il figlio dell’ex rettore dell’Università di Messina, sembra non fare quasi più notizia.

In realtà coinvolge l’intera città e chi la abita molto più di quanto è possibile percepire, sebbene non paia che qualcuno si stia sbracciando, meglio tacere per non danneggiarsi in vista del prossimo giro, magari potrebbe essere il turno di nostro figlio o di un parente.

Le cose che avrei da dire sull’attuale rettore, dopo il siparietto delle Iene, e sul predecessore, padre del protagonista, nonché su quest’ultimo, personaggio che sembra uscito dalla saga del Signore degli Anelli, non servirebbero proprio a nulla, anzi incoraggerebbero costoro a fare le vittime. Un film già visto, anzi una sceneggiata, disciplina in cui i messinesi non sono secondi a nessuno. 

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La città in cui sono nato è fatta di persone che curano solo gli affari propri. La riprova sta nel fatto che se i soggetti di cui parliamo possono permettersi di esibire la sfacciataggine che caratterizza questa storia ai limiti del volgare, è perché sanno benissimo di essere espressione di un brodo di cultura omogeneo, dove il mimetismo e l’indistinguibilità rappresentano la strada maestra per avanzare, i tratti caratteristici che permettono di passare inosservati mentre si dissangua il luogo, e sanno pure che le uniche anime vive qui sono gli abitatori del Gran Camposanto, quindi se qualcuno vuole parlare di Messina deve rivolgersi a quelli, il poco che c’era se n’è andato con loro.

In questo posto a fari spenti, i prepotenti agiscono indisturbati. 

A Palermo è appena scoppiato un pandemonio, con arresti e interdittive, per analoghi traffici universitari. A Messina, giustamente gelosa della propria autonomia, non accade nulla. 

La condanna definitiva di questa città sta proprio nel fatto che in pochi tra i suoi abitanti possono contestare una simile infrazione ai personaggi di cui sopra, gli uffici pubblici traboccano di raccomandati, chi non è raccomandato ambisce a esserlo, e se richiesto si vende la dignità trasformandosi in galoppino elettorale ogni volta che il referente politico chiama all’appello. Quando ero piccolo, vicino a me, a Minissale, abitava un tizio che faceva l’autista gratuitamente all’onorevole, una manfrina durata anni. “Non piggia nenti, però fossi u dutturi ci dugna u postu a cocchi patti”, così ci diceva la povera moglie.

Ma i posti certi erano, e sono, soltanto per i giri che contato, non per chi vive murato nei quartieri, senza speranza, se non quella di andarsene o, come nel deserto dei tartari, in attesa per tutta la vita di qualcosa che non arriverà mai se non a un metro dal traguardo, quando sono rimaste sono le energie per l’ultimo saluto. 

Tutti sono invischiati con tutti, e chi gestisce le molliche di pane del posto pubblico si impossessa delle loro vite facendoli saltare come delle marionette. Infatti, in città la borghesia è sempre molto composta, nessuno si agita. Il professore e i suoi complici sono responsabili di fatti gravi e imperdonabili, al di là dei profili giuridici, ma è necessario uno sfondo diverso dalla figura perché si noti la differenza, dunque possono stare tranquilli, perché quello sfondo non esiste. 

Esiste solo una città che in tanti accompagnano nella sua agonia senza battere un colpo, un’agonia lunghetta ma lucrativa, che mai evolverà in funerale, perché chi comanda perderebbe la gallina dalle uova d’oro. Un malato perennemente agonizzante può chiedere assistenza specialistica, costosissima, richiamando risorse ingenti sulle quali ci si può avventare per costruire carriere di ogni genere, politiche, amministrative, accademiche. Come accade in talune famiglie che campano con la pensione della nonna, e quando quella muore non lo dicono a nessuno, la tengono al fresco in cantina. L’agonia è vita, non bisogna spingersi oltre. 

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