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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

La condanna di Enzo Basso, amante vero di una città finta

Sono circa 850 gli articoli, editoriali, che nell’arco di una quindicina di anni, sono stati da me scritti per il settimanale Centonove, di cui Enzo Basso, appena condannato a oltre sei anni di reclusione, era editore. Oggi me ne sento ancora più orgoglioso del solito.

In qualche modo anch’io, come tutti coloro che avranno scritto un solo rigo per il periodico, dev’essere moralmente considerato responsabile degli eventuali pasticci contabili che vengono imputati a Enzo Basso. La circostanza che non abbia mai percepito un centesimo per i miei servizi, non mi scagiona, in fondo scrivevo per il suo giornale e lo facevo pure volentieri.

Tutti i giovedì, quali che fossero i miei impegni, mi mettevo alla scrivania e stendevo le mie tremila battute, spazi inclusi, con grande libertà, senza che nessuno mi limitasse, neppure nelle virgole, semmai le limitazioni, almeno i tentativi, venivano da fuori, considerato il numero di querele che piovevano sul giornale. Qualcuno ci si divertiva, e ci guadagnava, chiedendo risarcimenti da mille e una notte. Il giornale non era simpatico e il giochino delle querele deve avere lenito molti pruriti.

Io stesso ne ricevetti una, vergognosa per la banalità del pretesto, si chiamano querele temerarie, le butti in mezzo alle ruote e inchiodi la persona che ti sta antipatica per anni, come accadde a me. I politici siciliani, tra i peggiori in assoluto nel Paese, eccellono in questa specialità, ma solo coi pesci piccoli, e noi lo eravamo. Un giorno parlai con un famoso giornalista del Corriere, gli raccontai qual era l’oggetto della querela. Rise per dieci minuti. “Ma davvero sei stato querelato (e rinviato a giudizio) per questa stupidaggine! Pensa, lo stesso soggetto aveva querelato anche me, poi dev’essersi reso conto del danno che poteva tornargli, così mi invitò in Sicilia, mi fece mangiare bene e mi regalò un oggetto d’arte, comunicandomi infine di avere rimesso la querela”.

Certo, lui era del Corriere della Sera, e i codardi abbaiano solo ai gattini, soprattutto non abbaiano ai cani grossi, temono che possano ficcare il naso, quindi con loro niente muscoli, anzi tappeti rossi

In Sicilia le cose si devono risolvere in famiglia, Centonove faticava a adeguarsi, anzi non ci pensava, per questo aveva ricevuto una benemerenza dalle mani del Presidente della Repubblica.

Forse Enzo Basso non si rendeva simpatico. Forse. Questo non gli procurava ondate di popolarità, ma il suo, nostro, giornale, fu un atto d’amore alla gente onesta della città.

Forse le infrazioni alla base della condanna di primo grado sono fondate, non possiedo alcuna ragione per dubitarne, di sicuro non mi sogno che Enzo abbia fatto qualcosa a proprio vantaggio -naturalmente quando sarà dimostrato ne prenderò atto-, posso ragionevolmente pensare l’abbia fatto per salvare il giornale, la sua missione civile. Non che questo sposti la sua posizione processuale, ma dal punto di vista morale cambia tutto, anzi rovescia ogni cosa.

Quello che mi sento di dire è che, al netto della vicenda contabile, Enzo Basso è stato uno dei pochissimi messinesi, sebbene originario di Ramacca, a offrire a questa città una mano salvifica, fondando un giornale che ne è stato coscienza critica per anni, niente a che vedere con chi faceva finta di colluttare ma in realtà giocava un penoso gioco delle parti. Messina è come un incontro di wrestling, tutto accade per finta, ma le conseguenze nella vita delle persone sono tremendamente vere, è una commedia con le parti assegnate per sempre.

L’ascensore sociale è rotto dalla notte dei tempi, chi è dentro è dentro, chi è fuori lo è per sempre.

Centonove è stato un serio giornale d’inchiesta, segnando proprio per questo il suo destino, ma nello stesso tempo, ancora oggi, beffardamente restituito dalla sentenza, oramai fallito, al suo legittimo proprietario, rimane la cosa meno messinese che abbia mai frequentato in quella città, una sorta di ultimo treno che tutti potevano prendere per lasciare la vecchia Messina e puntare verso quella nuova.

Inutile dirlo, nessuno si è sentito di salirvi e nessuno se ne ricorda più, figurarsi poi se qualcuno ricorda Enzo Basso. Lo ricordo io, con gratitudine e affetto. La sentenza di primo grado dice che ha preso, chissà.

La cronaca grida che cercò di dare, a modo suo certo, con quel misto di spacconeria e di intelligenza non comune, ma soprattutto con l’incapacità di rassegnarsi a quella commedia di cui si diceva, dove i dannati restano dannati e chi cerca di cambiarla viene travolto dagli eventi.

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