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Venerdì, 29 Marzo 2024
Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Gentile signora Meloni, non si può vivere perennemente sul confine

Giustizia a orologeria. Un rosario consolatorio che i politici si ripetono e ci ripetono senza mai entrare nel merito delle contestazioni a loro rivolte dalla magistratura, che pure di suo qualche aggiustatina la necessiterebbe.

Parlano sempre come se fossero a tavola tra di loro, i politici, con un linguaggio gergale e una logica incomprensibile ai cittadini, mentre regolano conti sospesi nella loro scatola chiusa. La persona comune si può rovinare un pezzo di vita per un misero parcheggio in seconda fila, loro, invece, vorrebbero si sorvolasse su infrazioni gravissime o, se proprio non si può sorvolare, che le inchieste fossero confinate in momenti scelti dai partiti e dai politici sotto scacco, che naturalmente ritengono sbagliati tutti i momenti, sebbene ci ripetano la seconda frase standard del loro rapporto con la legge, “Abbiamo la massima fiducia nella magistratura”, salvo insinuare, con sistematicità infantile,  che essa è al soldo della controparte o che li abbia presi di mira senza una ragione plausibile.

Già, perché i politici, che in genere rappresentano la frazione banale (a essere generosi) della collettività, entrano in un regime mentale particolare, dove si mischiano deliri di impunità ed eccessi di autostima, che non cedono alla realtà neppure quanto questa bussa prepotente e si mostra con un’evidenza che richiederebbe solo silenzio. In questo senso è addirittura incredibile il caso di Matteo Renzi, che si muove come vivesse in un mondo a parte, dove tutto finisce nell’inceneritore della distrazione pubblica.   

Giorgia Meloni, che tenerezza l’abbraccio con l’altro pretendente alla leadership nera, Matteo Salvini, si lamenta per le accuse contenute in un’inchiesta giornalistica, che parla di finanziamenti occulti, di fascisti di stretta osservanza e di contiguità inconfessabili con membri del suo partito. Nel 2021, una leader che pretende di candidarsi alla presidenza del consiglio, si ritrova per l’ennesima volta a dovere spiegare in quale mare galleggia per davvero, mentre sarebbe suo dovere tagliare i ponti, in modo aperto e definitivo, con l’inquietante corte dei miracoli che si alimenta di nostalgie arcaiche e pericolose.   

Ai tempi del terrorismo, i partiti e i sindacalisti di centro e di sinistra, con poche eccezioni, presero posizioni nette pagando cospicui tributi di sangue, a cominciare dal povero Guido Rossa. Se il progressismo in diverse stagioni della storia recente, è stato alla guida del Paese, lo deve anche alla scelta di campo, senza tentennamenti, tra gli abissi della violenza populista e la luce della democrazia.

Stare sul confine, cercando di portarsi a casa quei “30 voti”, che lei stessa rimprovera al parlamentare europeo del suo partito che l’ha messa nei guai, non è una scelta tollerabile e non basta nemmeno fare proclami generici, senza contare che la faccenda dei 30 voti, assai simile a quella dei 30 denari, vale anche per l’atteggiamento a giorni alterni tenuto sui temi legati alla pandemia, con metodi così ambigui che spero la signora non applichi alla sfera pedagogica.

Che un candidato di destra evochi la libertà è già di per sé una barzelletta, un ossimoro, ma stavolta non c’è niente da ridere perché è proprio questa la maschera del populismo, ignorare il vero interesse collettivo, assecondare gli istinti antisociali, coltivare nuove versioni del tanto peggio tanto meglio, anche a costo di indurre false percezioni su ciò che è bene e ciò che è male, mentre è in atto un’emergenza sanitaria che si porta via milioni di vite dal Pianeta.  

Bisogna collocarsi, definitivamente, se si vuole davvero diventare figure istituzionali, magari ascoltando chi nello schieramento parla di partito unico della destra, sul modello dei conservatori europei, che la loro scelta l’hanno fatta, e proprio per questo quando si vota in quei paesi non bisogna raccomandarsi l’anima e Dio. Chiunque vinca si cade sempre nel canestro della democrazia.

Simpatizzare con personaggi equivoci, vedi il premier ungherese Viktor Orban oppure promuove nella propaganda elettorale chiamate alla difesa dell’Italia, come se fossimo in guerra contro fantasmi e nemici presenti solo nelle viscere dell’estrema destra, dice più di mille parole e racconta che ancora per un bel pezzo ogni elezione nel nostro paese avrà un retrogusto drammatico, perché da noi non si vota tra due schieramenti, ma tra due idee inconciliabili sui fondamenti dello stare insieme, per affermare i quali milioni di persone si sono congedate anzitempo da questa vita.

Gentile signora Meloni, non si può vivere perennemente sul confine

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