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Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Siamo abbagliati dalle mongolfiere e ci perdiamo la meraviglia di un insetto che cerca di tirare sera, la tenacia di un filo d’erba, gli affanni e i sorrisi dei nostri simili. Guardare con maggiore attenzione è una necessità, perché solo occhi più attenti e compassionevoli possono rendere più umano il nostro tempo

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“Mi auguro che le società mettano insieme un ragionamento comune, fondato su idee e sinergie, riconoscendo il talento altrui e piegandolo all’interesse cittadino, perché la sfida del calcio oggi richiede realtà imprenditoriali molto evolute, e dunque non si vince con i dispetti di paese”

Ai calciatori e altri membri dello staff i complimenti, meritati, li faranno altri, a noi spetta il compito più ordinario di guardare ai particolari, a proposito dei quali due persone mi colpiscono, in questa commedia minore che oggi è il calcio messinese, in attesa di tempi migliori.

Per equanimità, scelgo una per sponda.

L’allenatore dell’Acr Messina e il presidente dell’Fc Messina. Due pedine fondamentali nel percorso che riporta il calcio locale tra i professionisti.

Il primo perché è uno sgobbone silenzioso, campano poco o niente scenografico, chiamato a inventare da zero una squadra che non c’era, dopo un subentro in extremis di un socio corregionale, vista la scarsa dimestichezza con il calcio dei proprietari messinesi, peraltro sfiancati da tre anni di insuccessi, investimenti, contestazioni. Già, perché noi messinesi quando c’è da reclamare, chi picciuli i ll’autri, siamo imbattibili.

Ai proprietari dell’Acr, bisogna rendere merito e augurare un ritorno di almeno una parte delle ingenti risorse messe a disposizione in questo arco di tempo.

Ma torniamo al mister, che sembra avere l’aria di una persona davvero buona, oltre che preparata, misurata, capace di tenere insieme un gruppo numeroso e qualitativo, quindi complesso. Ci sono stati momenti iniziali che avrebbero fatto perdere la testa a persone meno navigate, soprattutto se schiacciate da attese così alte, ma qui il suo equilibrio è stato formidabile, facendo alla fine la differenza. Penso al derby dell’andata, perso in maniera davvero ingiusta, ma anche ad alcuni scivoloni improvvidi che potevano riportare l’orologio ai fallimenti del triennio precedente.

Mi auguro rimanga al suo posto, persone così fanno bene all’ambiente. 

Il secondo è il presidente del Fc, senza il quale non ci sarebbe stato il salto di qualità di quest’anno e che speriamo sia premiato dai ripescaggi, vista la sua vocazione aziendale, gli sforzi compiuti e uno stile finora quasi impeccabile.

È stato il suo arrivo ad accelerare i processi legati al mondo del pallone in città, forse neppure la stessa dirigenza, invero piuttosto garibaldina, dell’Acr avrebbe replicato per il quarto anno, se non fosse stata dall’orgoglio di non lasciare il campo allo “straniero”. Anche quei dirigenti, ora promossi, dovrebbero ringraziare.

Il presidente dell’Fc non è stato accolto bene in città, bisogna riconoscerlo, sebbene abbia portato professionalità e ambizione, incappando in un biennio terribile per un investitore del calcio. È stato vittima della diffidenza emotiva che noi riserviamo, a capocchia, agli ospiti. “Ma chistu chi voli! Chi ci pari chi semu babbi”.

Sovente è stato trattato come un estraneo, pure avendo scelto questa città per il suo business, creando premesse interessanti, non parlo solo della questione dello stadio, gestita in maniera irritante, ma per la larghezza di vedute. Certo, voleva “anche” guadagnarci, ma forse è difficile capire il concetto di rischio di impresa per chi pensa che il calcio sia un’attività parastatale. Mi permetto di ricordare, sommessamente, che realtà come Bari e Parma, si sono tirate su con azionariato popolare e decine di migliaia di abbonamenti, soldi coi quali sono state costruite squadra che sono risalite subito. Comportamenti che a Messina sono fantascienza, fatto salvo per i ragazzi del club organizzati, sovente un modello di sacrificio, devozione e partecipazione che la città dovrebbe imitare.

Comunque, niente mitologie, siamo in terza serie. Vivo da mezzo secolo a 15 minuti da Bergamo, sebbene in provincia di Milano. L’Atalanta, in una città con metà degli abitanti di Messina, si candida a vincere il prossimo scudetto, grazie alla tradizione, alla programmazione e ad una competenza di tutto il sistema che suscita ammirazione.

Se posso fare un augurio è proprio quello di parlare meno (i bergamaschi sono avari di parole) e agire con sagacia e senso del tempo (nulla si crea in un anno), il calcio può essere un volano di benessere, anche per chi non va allo stadio, addirittura può diventare un modello di gestione a disposizione di un’intera comunità. L’importante, appunto, è dimenticarsi di avere il dono della parola e mettere le basi per testimoniare alla città che tutto è possibile quando si usa la testa.

Mi auguro altresì, forse questa è utopia, che i due Messina mettano insieme un ragionamento comune, fondato su idee e sinergie, riconoscendo il talento altrui e piegandolo all’interesse cittadino, perché la sfida del calcio oggi richiede realtà imprenditoriali molto evolute, e dunque non si vince con i dispetti di paese.

Forza Messina (tutta la città e chi la ama).

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