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Giovedì, 28 Marzo 2024
Riguardare con cura

Riguardare con cura

A cura di Domenico Barrilà

Perché il Pd non cresce, favorendo, involontariamente, ideologie oscure

Inutile nasconderlo, oggi il Pd è l’unico vero baluardo ai personalismi e alle derive populiste, forse anche totalitarie, nel nostro paese. Tuttavia, malgrado possa esibire forti valori pro-sociali, a cominciare dalla solidarietà, nonché il leader nettamente più adulto e preparato tra quelli presenti sul campo, rimane inchiodato a numeri importanti ma non decisivi.

Per capire questo apparente paradosso, occorrerebbe spogliarsi dalle straficazioni culturali degli ultimi venti anni, responsabili di una progressiva frattura tra la persona e la realtà, che il Pd non percepisce e, ancora peggio, non sembra in grado ricomporre. Parto da due semplici episodi.

Il primo mi è riferito da una collega-paziente, persona decisamente non comune (di quelle che mancano in politica). Mi parla dei nonni, che avevano coltivato simpatie fasciste durante il Ventennio. Una ventina di anni fa chiese come mai loro, così buoni e affettuosi, avevano fatto quella scelta. La risposta dovrebbe fare riflettere chi oggi vuole davvero interpretare il Paese.

“Non siamo mai stati fascisti convinti, però eravamo poveri. Il macellaio del paese, che era anche il podestà, ogni tanto ci regalava la carne del suo negozio per venirci incontro”.

Banale, forse, ma quella persona, in carne e ossa, c’era, stava, era vicina alle persone della sua comunità. Questo rimane il caposaldo della politica, soprattutto se concepita come servizio. Mi permetto di precisare che allora il macellaio non poteva avere fini elettorali, dal momento che l’organo monocratico dei comuni veniva scelto dal partito.

Il secondo episodio riguarda i miei vent’anni, quando, alle porte di Milano era uno studente lavoratore, impegnato in politica. La mattina del 16 marzo 1978 mi cercò il segretario amministrativo del partito, io ero quello politico. Mi comunicò, con tutta la concitazione del caso, che era stato appena rapito, dopo l’uccisione della sua scorta, Aldo Moro. Mi precipitai in sezione, che lascia aperta tutto il giorno e anche quelli appresso. Fu un via vai di persone, di ogni appartenenza politica, che venivano a portare solidarietà, quasi sempre sincera. Credo che la ribellione alle Brigate Rosse nacque da quella voglia spontanea di incontrarsi di condividere emozioni di interesse comune. Allora fu facile percepire il pericolo che incombeva su tutti, nessuno escluso, oggi sembra che siamo coinvolti in una scampagnata, sebbene le prospettive potrebbero essere persino peggiori.

Si stava in mezzo alle persone, ci si conosceva, proprio per questo gli elettori sapevano distinguere benissimo il livello del rischio ma anche tra una persona credibile e un fascista.

“Stare” è l’unico strumento per fare politica, soprattutto oggi che siamo immersi in una realtà fortemente virtualizzata e ingannevole, che non permette “letture” dirette e raffinate dell’animo umano, nelle due direzioni, dall’elettore al candidato e viceversa. Questo spiega, ad esempio, il successo di Carlo Calenda sui social e il clamoroso naufragio umano nella realtà tridimensionale. Sui social media riesce a fare passare l’idea di un uomo preoccupato per il Paese, poi, di fronte al pericolo di una svolta traumatica per la comunità, nella realtà reale, mostra di che pasta è fatto.

Ma questo non vale solo per questa persona, così deludente, quasi tutti gli attivisti del Pd, infatti, sono convinti che si possa cogliere l’anima di un paese attraverso l’uso ossessivo dei media digitali. Non è un caso se il loro partito è stato scavalcato da una formazione a limpida vocazione fascista, perché nel caos del web le distinzioni le fanno i ghost writer e vince chi fa la battuta migliore. Prendete il discorso, vigliacco, violento e razzista, di Giorgia Meloni, che aggredisce tutte le diversità possibili e immaginabili (esattamente questo è il fascismo), esaltando allo stesso tempo il proprio io (anche questo è fascismo, l’individualismo malato), ebbene si tratta di un colpo di genio mediatico che potrebbe sconvolgere la storia del nostro paese. Lo stesso successo, fulmineo, che ebbe Matteo Renzi agli esordi, fu la conseguenza di questa furba strategia della parola, che però aveva nascosto bene il personaggio sottostante, rivelatosi poi nella pratica quotidiana.

Ciò che si scrive sui social dovrebbe essere il report di attività tridimensionali, la virtualità dovrebbe essere la traduzione di quanto si testimonia nella vita reale.

Forse sarà inutile ricordare che Damiano Tommasi si è imposto a Verona, in una competizione ai limiti dell’impossibile, proprio guardando in faccia tutti gli elettori, uno ad uno, personalmente, attraverso i suoi occhi limpidi, mettendo le persone in condizione di fare una scelta davvero inattesa e fortunata. Ma, evidentemente, bisogna avere un’indole di servizio che non ci si può inventare al momento. Un giorno suor Paola d’Auria, laziale sfegatata, mi invitò a parlare alla sua gente, facendomi visitare le sue opere caritative, tra le quali alcune strutture per madri in difficoltà. Durante una chiacchierata mi raccontò, che tra i suoi volontari c’era un solo calciatore della Roma, uno solo, Damiano Tommasi.

Evidentemente lo stile di vita quello è e quello rimane ed è proprio quello che ci si porta dietro quando ci si impegna per la gente, a qualsiasi livello. Se non si è come il nuovo sindaco di Verona, è meglio lasciare perdere la politica e dedicarsi ad altro, altrimenti il dramma che temiamo per il 25 settembre sarà solo il primo.

Il Paese necessità del verbo stare non di fenomeni virtuali.

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