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Venerdì, 29 Marzo 2024
Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

Salvini e il ponte sullo Stretto, non meritiamo tutto questo o forse sì

Fiino a ieri si diceva assolutamente contrario, ora urla per la sua realizzazione, in preda al desiderio di lasciare tracce del proprio nome. Un’ambizione comune, ma sarebbe meglio riuscire nell’impresa senza rischiare la pelle e l’ambiente altrui

Nei giorni scorsi leggevo il peana di un parlamentare della provincia di Messina, figlio, com’è uso da queste parti, di un altro storico parlamentare.

A lui deve sembrare normale che i titoli si ereditino, come succede nelle monarchie e nelle scalcagnate repubbliche sudamericane, alle quali la Sicilia, anche grazie a questi originali metodi di trasmissione del potere, somiglia sempre più. Se glielo contesti ti dice che lui è stato mandato in parlamento dagli elettori, facendoti passare la voglia di replicare, ti cascano le braccia e basta. Questo è il “merito” che la destra sbandiera. Speriamo di no, temiamo di si.

Ringraziava, nella messa di gloria, lo storico direttore della Gazzetta del Sud per il grande impegno a favore del ponte e a lui dedicava il voto parlamentare favorevole all’opera. Echi fantozziani. Non ero tra gli estimatori del direttore, ma di una cosa sono certo, la stazza di quell’uomo, così ricordo, era assai maggiore di quella del suo incensatore, ed è questo scarto a farmi pensare con malinconia che il nostro territorio sarà sfregiato proprio grazie all’assenza di persone non necessariamente amiche ma assai preparate.

Posso garantire che il ministro spingi-ponte, Matteo Salvini, non rappresenta neppure la Lombardia, dov’è nato, qui gli estimatori sono al lumicino, come dimostra il calo verticale della Lega proprio nella regione dove è sorta, per questo compensa chiedendo e ottenendo voti dalle nostre parti. Non è difficile, basta reclutare detentori di pacchetti di voti.

Non la rappresenta per tante ragioni, umane e antropologiche, prima di tutto.

Solo una persona da nulla scampanella al citofono di una famiglia marocchina in un quartiere di Bologna, durante la campagna elettorale, dando dello spacciatore a uno dei componenti. Solo una persona minore si mette a esibire il Rosario come una carta moschicida, per catturare voti.

Per capire chi è l’uomo che vuole cambiare la storia dello Stretto, basta andare su internet e ascoltare ciò che dice di lui, che l’ebbe come redattore, l’ex direttore della Padania Gigi Moncalvo, il quale ne aveva pure chiesto il licenziamento.

Anche questo è merito. La politica è oramai diventata l’ascensore sociale di chi si è visto mettere da parte in altri ambiti. Una specie di servizio sociale.

Le città capoluogo della Lombardia, dove l’impianto culturale è diverso rispetto alla provincia, sono tutte in mano a sindaci progressisti, la Lega non alza più briscola e prende cantonate pesanti, l’ultima a Brescia, uno dei gangli produttivi più forti nel Paese, dove il centrosinistra si è preso ancora una volta la città, a mani basse già al primo turno. Qui, chi è abituato a lavorare non da credito ai fanfaroni, per fortuna ci siamo noi meridionali a esaltarli.

Matteo Salvini detesta da sempre i meridionali, atteggiamento mitigato dall’individuazione dei nuovi nemici, gli stranieri, e dall’ambizione di fare della Lega un partito diffuso in tutto il territorio nazionale, ma se qualcuno dei suoi elettori del Sud lo desidera possiamo fare due chiacchiere in proposito. Mi viene in mente quella povera gente che, dopo avere subito il trauma della migrazione necessaria, si è dovuta piegare anche alle umiliazioni di essere considerato straniero nel proprio paese.

Non sono un tecnico, spero solo che il ponte sullo Stretto non venga mai realizzato e qualora lo fosse, spero rimanga sui piloni. I terremoti rovinosi del 1783 e 1908 qualcosa suggeriscono, ma l’uomo che fino a ieri si diceva assolutamente contrario e ora urla per la sua realizzazione, è preda dell’ansia dell’insignificanza e desidera lasciare tracce del proprio nome. Un’ambizione comune, ma sarebbe meglio riuscire nell’impresa senza rischiare la pelle e l’ambiente altrui. Vorrei vedere i leghisti, a cominciare dal loro segretario, come la metterebbero se il ministro siciliano Nello Musumeci decidesse di cambiare la facciata del duomo di Milano.

Ecco, non aggiungo altro, se non che auguro alla Sicilia un futuro diverso, ma questo si guadagna solo riflettendo e ponendosi domande. Una, ad esempio, potrebbe consistere nel chiedersi come mai, visto che siamo e restiamo una delle zone più depresse d’Europa, continuiamo a votare le stesse persone di sempre e, quando scompaiono, ci buttiamo sui loro figli e figliocci.

“Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”.

A dirlo era, nientemeno, Albert Einstein, non propriamente uno dei soggetti cui continuiamo a mettere in mano il nostro destino, con una ostinazione che mi interpella più come professionista che come opinionista.

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