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Riguardare con cura

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A cura di Domenico Barrilà

Selvaggia Lucarelli e Noto, lettera aperta al sindaco: “Lavoriamo per diventare degni dei nostri ospiti e della bellezza che ci circonda”

Continuano scontri e dibattiti dopo che la giornalista ha sollevato la questione spazzatura lungo le strade secondarie di Noto e i disagi vissuti nella villa preso in affitto. Ma il rischio in Sicilia è sempre quello di cadere nella trappola di prendersela con chi denuncia il degrado. Occorre invece condannare quei concittadini che lo alimentano. Sono loro i veri nemici

Gentile dottor Corrado Bonfanti, malgrado comprenda il suo stato d’animo per le dispute di questi giorni, mi permetto di esprimerle la convinzione che le stia sfuggendo il cuore della questione, chiaro invece a chi osserva dall’esterno, che si domanda semplicemente se le cose scritte e mostrate della giornalista, a proposito dell’immondizia, sono vere oppure false. Il resto, mi creda, è marginale.

Sono portato a pensare che Selvaggia Lucarelli voglia davvero bene a Noto e al suo sindaco, al quale credo abbia fornito un’occasione straordinaria per affrontare i suoi concittadini da una posizione di forza. Già, perché sono proprio loro il problema, i cittadini, quella mole di rifiuti, infatti, non è la conseguenza di una singola trasgressione bensì di un’opera sistematica e collettiva. Un problema sociale e culturale, regolarmente ignorato per quieto vivere da chiunque faccia politica in Sicilia.

Una quindicina di anni fa, grazie a un grosso finanziamento da parte di una Fondazione privata, una casa editrice milanese aveva preparato un progetto sulla legalità per i ragazzi delle medie in Sicilia.

Lavorammo alacremente per un paio di anni, coinvolgendo anche i ragazzi del carcere minorile di Bicocca, alla fine ne uscì un kit pedagogico meraviglioso e costosissimo, distribuito gratuitamente in tutte le scuole isolane, nei cui sottoscala è rimasto, perché pochissimi insegnanti si resero disponibili al loro utilizzo, negli altri casi prevalsero la pigrizia, il fastidio, la strafottenza. Quasi un milione di euro e una grande quantità di lavoro gettati dalla finestra. Tanto non erano mica nostri.

La Regione non contribuì con un centesimo, ma era presente in forze quando, insieme a Maria Falcone presentammo il progetto a Palermo.

Per questo e per tanto altro la invito a rinunciare al pensiero che tutti ce l’abbiano con la Sicilia, semmai è il contrario, tutti la amiamo, anche mia moglie e il sottoscritto, che rievochiamo spesso un tramonto, proprio a Noto, con le facciate barocche illuminate dal sole, che restituivano lampi dorati, un’emozione impossibile da immaginare e da dimenticare, altrettanto impossibile da dimenticare è quella volta che, prima di iniziare una conferenza, ero andato a prendere una bella granita sul corso di una cittadina, nell’Ennese. Macchine in terza fila, decine di mezzi in sosta vietata. Quando mi ero convinto che non esistessero i vigili se ne materializzò uno, che iniziò a fischiare come un ossesso. Mi rivolsi al mio ospite e gli dissi che sarebbe arrivato un torrente di multe, lui sorrise e mi rispose che non sarebbe accaduto nulla, perché il vigile fischiava solo per dire alle persone che era passato e che potevano stare tutti tranquilli. Così andò, manco a dirlo.

Ecco, gentile sindaco, questo è un altro capitolo della nostra curiosa antropologia culturale, l’uso discrezionale del potere. A tutti i livelli, ce l’abbiamo nel sangue. Gli effetti si vedono perché da questa distorsione discende la madre di tutte le disgrazie siciliane, la raccomandazione. Non è che altrove non esista, ad esempio in Lombardia, dove Comunione e liberazione è riuscita a farne una vera e propria arte, ma arrivare ai nostri livelli è impossibile, ci vorrebbe Leonardo da Vinci in persona per superarci.

Per reazione, ai miei figli, nati e cresciuti proprio in Lombardia, mi è sembrato logico insegnare che si tratta di un crimine sociale grave, perché determina due danni irreparabili.

Da un lato assegna posti decisivi a degli incompetenti, il cui unico merito è quello di essere parenti o amici di qualcuno, danneggiando l’interesse collettivo, perché un incompetente non può fare bene il suo lavoro e, soprattutto, un raccomandato è una persona priva di dignità, dunque disposta a tutto.

Dall’altro fa scempio del talento, quello vero, di cui i ragazzi siciliani, al pari dei loro connazionali, non mancano. Gli esclusi, gli ingiustamente esclusi, diventano una spina nel fianco della società, perché, per ritorsione, assumono comportamenti indolenti, fanno finta di remare ma non remano, perché provano risentimento verso la società che li ha traditi, ingannati, barando al gioco.

I talenti si ribellano, magari silenziosamente, e molti se ne vanno, portando con sé il loro genio, sottraendolo a tutti noi, che dobbiamo tenerci quei carciofi inutili dei raccomandati.

Un modo geniale per impoverire la società e ucciderla lentamente, a fuoco lento, come piace a noi.

Le conseguenze della raccomandazione sono anche remote e, per tanti versi, tragiche. 

Qualche anno fa sono andato a un funerale, a Pioltello, alle porte di Milano. Era mancato mio zio, arrivato a Milano mezzo secolo prima per guadagnarsi il pane, insieme alla moglie e a cinque figli. Immagino lei conosca Pioltello, in passato grande quartiere dormitorio, lugubre e socialmente difficile, oggi va appena meglio.

Ero confuso tra un centinaio di siciliani a loro volta immigrati. Origliavo involontariamente discorsi sui tempi passati, sulla terra d’origine, il suo mare, i suoi profumi, abbandonati troppo presto per rinchiudersi in casermoni popolari grigio smog con le luci delle scale così fioche che sembrava non ci fossero. Immagini cosa significa passare dai colori della Sicilia a questi spaccati.  

Quella riunione forzata, comunque occasione per una rimpatriata, aveva riportato in vita qualcosa che si era addormentato, forse annichilito, in quella traumatica transumanza di decenni prima.

Vede sindaco, forse può sembrarle esagerato ma quelle persone sono state “selezionate” dai politici siciliani, incapaci di creare benessere ma capacissimi di usare la penuria di lavoro per procurarsi consensi, premiando e punendo, quelli utile restavano, gli altri erano costretti a cercare altrove il loro pane. Il destino di quei siciliani era stato deciso da tale modo disumano di usare il potere, che specula sui bisogni dei cittadini, ricattandoli, dividendoli in salvati e sommersi.

Migrare non è una disgrazia, soprattutto se uno lo sceglie e non dipende da azioni immorali altrui.

Rifletta, sindaco, metta da parte l’orgoglio, materia in cui eccelliamo e che spesso ci rende inconcludenti, quando non insopportabili. La causa del nostro male siamo noi, dobbiamo guardare la punta dei nostri piedi per trovare le risposte. I rifiuti per strada ci sono o non ci sono, non voglio pensare se li sia inventati la giornalista. Non perda tempo in difese improbabili, induca piuttosto la sua gente a un profondo esame di coscienza, quell’immondizia non può essere piovuta dal cielo.   

Malgrado la Lucarelli abbia usato accenti forti, le suggerirei di ringraziarla pubblicamente, non cada nella trappola di prendersela con chi denuncia il degrado, condanni invece quei concittadini che lo alimentano, mettendo Noto sulla graticola, sono loro i veri nemici della sua città, si fidi. Il problema lo abbiamo in casa, sono tutte quelle persone che lontano da sguardi indiscreti si liberano dei loro rifiuti, perché non accettano che quanto avevano sempre fatto gratis ora si debba pure pagare.

La prego, non sposti il problema sul medico che fa la diagnosi, ma trovi la cura, lei è stato eletto per questo, ma si ricordi che sotto c’è una questione che va affrontata con la pedagogia civile, scolastica, familiare, altrimenti quella spazzatura si moltiplicherà. Certo, se la mette così rischia di perdere le prossime elezioni, sempre che possa ricandidarsi, ma se decide di vincerle omettendo le parti scomode, saranno i suoi concittadini a uscire sconfitti, anche se si illuderanno di essere furbi. 

La lascio regalandole un detto trentino, l’ho fotografato sulla facciata di una casa a Moena.

“Empea en lumin e no maledir el scur”. È in Ladino, lingua parlata in alcune vallate del nostro paese, la traduzione non dovrebbe essere difficile. Invece di lamentarti del buio, accendi una lampada.

Me la ripeto ogni volta che mi viene voglia di lagnarmi o di prendermela con qualcuno cui dovrei, invece, essere grato. Noi siciliani siamo maestri in questa tecnica di distrazione, se la colpa è degli altri non c’è motivo di porsi domande.

Sia scanzonato, la gente ama le persone che sanno esserlo, abbia il coraggio di dire: “Cari amici, a Noto diverse cose non funzionano, come in tante parti d’Italia, tuttavia noi siamo e restiamo un posto meraviglioso, che vogliamo proteggere perché appartiene anche a voi. Da oggi lavoreremo, ogni singolo giorno, per diventare sempre più degni dei nostri ospiti e della bellezza che ci circonda. Voi però tornate a trovarci, abbiamo bisogno di sorprendervi, abbiamo bisogno del vostro affetto”.   

Le auguro buon lavoro, credo ne abbia da fare, ma mi pare ne valga la pena.

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