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#UNMINUTODILIBRI

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A cura di Eliana Camaioni

Un minuto di testi, interviste, novità e retroscena, dedicato agli scrittori siciliani e alle loro opere. Un format di Eliana Camaioni, scrittrice e blogger, che non ha il dono della sintesi e romanza pure la lista della spesa, ma che ha dedicato ai libri la sua vita. Una vita in vacanza, sotto il sole della Sicilia in cui è nata.

VIDEO | Massimo Maugeri e la storia d'amore di Silvia e Marco: "Un omaggio alla montagna che tutto toglie e tutto dà"

Lo scrittore su romanzo candidato al Premio Strega, racconta di utopie, sogni da realizzare e di come la conoscenza può salvare il mondo

"La Montagna prende, la Montagna dà". Sono le parole sibilline con cui il nonno di Marco Cersi, protagonista maschile de "Il sangue della Montagna" di Massimo Maugeri (editore La nave di Teseo) definisce l'incessante divenire dell'Etna, e con esso le sorti dei suoi abitanti. Alla vita di Marco - imprenditore etneo, con un sogno da realizzare- si intreccerà quella di Silvia Veltrani, vedova, docente universitaria di letteratura, anch'essa con più di un sogno nel cassetto: i due protagonisti si ritroveranno legati dal battito di un cuore gettato sempre oltre ogni ostacolo, ma prigionieri entrambi delle sbarre di problemi, sensi di colpa irrisolti e lutti che hanno segnato le loro vite. Con un epilogo che è una fine, ma ha in sè il seme di una meritata rinascita. Come ci spiega lo stesso autore del libro candidato all'edizione 2022 del Premio Strega.

I fantasmi (di Tony, di Alberto, della madre di Tony, e della figlia di Paola): esistono davvero, ai margini della nostra visuale?

"Credo che ciascuno di noi abbia i propri fantasmi (non necessariamente intesi in senso letterale) con cui dover fare i conti. Riporto uno stralcio del romanzo, dal punto di vista di Paola Veltrami, che credo spieghi abbastanza bene questo concetto: «I fantasmi esistono. E sono più numerosi delle stelle. Esistono all’ombra dei ricordi, tra le pieghe delle esperienze, nei dolori per le mancanze, sopra l’onda dei rimpianti. Si nascondono sotto il peso delle delusioni, tra i dubbi di un futuro nebuloso, dentro gli spasmi scatenati dalle nostre ansie, nelle emozioni suscitate da oggetti custoditi come reliquie. Vivono nelle storie inventate e in quelle reali. In quelle scritte e in quelle lette. Avrei voluto dirgli che spendiamo la nostra vita a generare fantasmi e che forse, una volta o l’altra, avremmo dovuto avere il coraggio di guardarli in faccia anziché relegarli ai margini della nostra visuale".

Una fabbrica di pietra lavica, una Pastarealeria, il progetto Economia Umana: è l’utopia il motore che tiene in vita i personaggi, o è la sigla del loro fallimento annunciato?

"Credo che per i personaggi del romanzo non si tratti di “utopie”, ma di progetti da realizzare con speranza e abnegazione; al di là del fatto che poi vengano effettivamente realizzati. Credere nei propri sogni e nei propri progetti. E impegnarsi per portarli avanti. Credo sia questo il “motore” che tiene in vita i personaggi; ma, probabilmente, è anche uno dei motori fondamentali dell’agire umano. Viceversa, il fallimento (sempre possibile, talvolta probabile) diventa annunciato quando si decide di voltare le spalle a sogni e progetti".

C’è una frase criptica del nonno di Marco: “La Montagna tutto toglie, tutto dà”. Ce la spieghi?

"Il nonno di Marco prova una sorta di devozione nei confronti della Montagna, del vulcano. Questo suo sentire è contenuto in quella frase. Ed è rappresentato da essa. La Montagna, con la sua furia devastatrice (il riferimento è alle eruzioni vulcaniche che hanno prodotto più danni) è capace di distruggere, di togliere tutto. D’altra parte, la pietra lavica è anche fonte di ricchezza; dà lavoro a tanta gente. E poi, l’eruzione in sé è uno spettacolo meraviglioso e (insieme agli scenari naturalistici e paesaggistici che ne derivano) attira molti turisti, con tutto ciò che ne consegue a livello economico. Dunque, se da un lato è capace di togliere tutto… dall’altro, la Montagna, è capace di dare tutto. Da qui anche l’atteggiamento fatalista del nonno di Marco".

Bum, ton, plat. In questa onomatopea ciclica, ossessiva, c’è il legame fra Paola e sua figlia. Di cosa è metafora?

"È metafora di come, a volte, certi oggetti (nella fattispecie una pallina da tennis) e tutto ciò che è legato a essi (in questo caso il suono prodotto dalla pallina dopo il lancio su un’anta di un armadio, il rimbalzo sul pavimento e la presa con il palmo della mano) possano assumere un ruolo nell’ambito delle nostre esistenze; per ciò che hanno rappresentato; per l’essenza vitale contenuta in essi. Nel caso di Paola e Silvia, diventa metafora di una mancanza incolmabile".

La parola addio scandisce precisi cicli delle vite dei protagonisti. E’ un elemento di rottura, o di rinascita?

"Credo di entrambe. I percorsi che compiono i personaggi del romanzo sono indirizzati alla ricerca di una forma di riscatto, anche esistenziale. E ci sono addii che, al di là della loro apparente ineluttabilità, nascondono i semi di una vera e propria rinascita"

“La divulgazione della conoscenza è una delle armi più potenti che si possono contrapporre all’economia della disuguaglianza”. Lo dice Paola Veltrami, o Massimo Maugeri per bocca sua?

"Lo sostiene Paola Veltrami, ma posso dire di essere abbastanza d’accordo con lei. D’altra parte uno dei presupposti fondamentali per poter sperare di risolvere un problema (qualunque problema) è acquisire la consapevolezza della sua esistenza e delle dinamiche che lo hanno generato. Buona parte del progetto “Economia Umana” di Paola si fonda proprio su questo presupposto".

La citazione shakespeariana “There is no darkness but ignorance” mi fa domandare: che tipo di ‘ignoranza’, in senso latino, separava una madre da una figlia?

Un tipo di ignoranza che discende da un difetto di comunicazione. O, ancor di più, da un’assenza di comunicazione. In una delle scene più forti del romanzo, per quanto concerne il rapporto madre/figlia, Silvia rimprovera a sua madre che quando parlano tra loro è come se trasmettessero su frequenze diverse. È una considerazione drammatica; perché si possono conoscere anche tante lingue… ma se poi si trasmette su frequenze diverse, la comunicazione è impossibile.

La metafora delle tartarughe di pietra lavica che vengono ‘liberate’ dalla pietra mi porta a pensare alla vita dei protagonisti, prigionieri della ‘pietra’ delle loro vite. Una prigione che essi stessi hanno costruito, per autodifesa, una prigione fatta di paure, rancori e sensi di colpa. Qual è lo scalpello e chi è l’artista che può liberarli da essa?

"Difficile dirlo. Tuttavia ritengo che la possibilità di liberarsi dai pesi (di “affrancare” dalla roccia, come dice il personaggio don Vito Terrazza) risieda nelle vite interiori dei protagonisti e – di riflesso – in quelle di tutti noi. È un percorso che, in un modo o nell’altro, e al di là della tragicità di certi eventi, compiono un po’ tutti i personaggi del romanzo".

Somebody to love è a tutti gli effetti la colonna sonora di questo romanzo. E’ l’amore, Eros, e non la morte, l’unica via d’uscita e di riscatto?

"Probabilmente sì. Quella canzone è il riflesso di un’invocazione inascoltata, una sorta di preghiera. Find me somebody to love. Trovami qualcuno da amare. Non bisogna mai stancarsi di chiederlo".

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