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Cronaca

Il sociologo: "Non stringeremo più le mani? C'è il coronavirus e il virus del panico che gira"

Pier Paolo Zampieri, Ricercatore di Sociologia Urbana, spiega come vede l'emergenza sui condizionamenti sociali e se ci saranno cambiamenti nei nostri comportamenti. Con una premessa importante

"La mia opinione è che tra un anno, un anno e mezzo non parleremo più di coronavirus ma è una mia ipotesi ancora non suffragata da un'analisi più lunga dei dati in arrivo": risponde Pier Paolo Zampieri, 51 anni, Ricercatore di Sociologia Urbana all'Università di Messina, su come uno studioso degli aspetti sociali stia leggendo, guardando in tv e dal suo balcone di casa costa sta succedendo. Con una premessa basilare: la Sociologia ha bisogno di tempo per analizzare la curva dei dati che hanno un impatto sulla società e al momento si possono solo esprimere pensieri personali e non scientifici

"In questa fase sono molto in ascolto - ci dice - da sociologo ho bisogno di tempo per interpretare la realtà in movimento, la mia posizione è di cercare di capire, all'inizio sottovalutavo il fenomeno coronavirus, avevo la sensazione di un gap tra comunicazione e problema, io penso che il problema sia la fragilità del sistema sanitario legato ai casi che potrebbero finire in terapia intensiva non principalmente che il problema sia un raffreddore molto aggressivo, il coronavirus chiama in causa la Sanità pubblica e l'importanza in Italia di avere ospedali e servizi pubblici che sono il nostro bene, in America non è così ad esempio, una coppia americana di amici miei a Roma ha pagato 12 euro per vari ticket consentendo di operare il figlio al cervello, negli Stati Uniti un fatto del genere non accade, il virus sta mettendo a nudo il nostro sistema sanitario e la Sanità pubblica a bassa soglia e per tutti sta tenendo unito come un collante il Paese, se comprassimo migliaia e migliaia di ventilatori polmonari..."

Nel medio periodo cosa prevede? Cambieremo i nostri comportamenti? Non daremo più la mano o un abbraccio ad esempio?

"No, non credo che i nostri comportamenti cambieranno, torneremo a fare tutto quello che facevamo prima quando tutto questo finirà perché penso, non so quando, che si troverà il vaccino, si troverà un farmaco capace di risolvere la malattia, nel medio periodo penso invece che potrebbero sorgere rischi di ordine pubblico, abbiamo visto cosa successo in molte carceri italiane, torneremo ad abbracciarci, a dare la mano, non ci saranno effetti sui comportamenti di tutti i giorni"

Non ci saranno effetti?

"Guardi, la nostra generazione è basata sul presente, non vediamo il futuro per tante ragioni, in testa economiche,  io ho la sensazione che ci siano due virus che girano in questo momento: uno è il coronavirus e l'altro è un virus di panico che gira nel sistema sociale alimentato dagli allarmi, il coronavirus non è la peste del Seicento, tra un anno penso che ne usciremo ma la questione è un'altra"

Quale?

"Se hanno risolto un problema come l'Aids bisogna essere ottimisti, io credo che sia il modello di comunicazione da verificare, più stiamo a casa e più siamo bombardati da un'informazione che ci rende tutti insicuri; pensiamo agli omicidi in Italia, ce ne sono circa 300 l'anno e di questi la metà circa vede vittime le donne per ragioni di gelosia e rapporti eppure pensiamo di vivere in un mondo altamente pericoloso rispetto a 40, 50 anni fa ma non è così, leggiamo l'informazione seria, leggiamo i dati, cerchiamo di andare oltre i numeri e il panico, un mio amico ha postato più o meno così: vince la Politica che sta dando forma alle paura della vita, basta leggere It o guardare il film per farsi un'idea"

I nostri nonni a cavallo tra due guerre mondiali non vivevano le nostre paure?

"Premesso che non ho nostalgia del passato, ho la sensazione che prima si vivesse con molti aspetti mescolati insieme, si viveva insieme alla paura e si conviveva con la morte, noi espelliamo la paura e la rendiamo più difficile da affrontare, viviamo nel terrore anche quando non c'è da aver paura"

Come nei fumetti dove l'attenzione è legata all'intervento del supereroe e al panico provocato dal cattivo di turno?

"I fumetti hanno una capacità molto rapida di comunicare il tempo che stiamo vivendo, direi che il fumetto anticipa clamorosamente il tempo che stiamo vivendo, ma non è così, non abbiamo bisogno dell'Uomo Ragno, di Superman o Batman, le consiglio uno dei fumetti da me preferiti, Watchmen, dove ci si chiede "Chi controlla i controllori?", mi riferisco al fatto che i supereroi estendono i loro poteri al di là della legge, entrano nelle nostre case e intervengono sulle nostre paure ma non viviamo nei fumetti avanguardistici, facciamo noi che sia così".

Dal suo balcone cosa vede?

"Vedo cittadini che rispettano le regole e non perché abbiamo l'esercito sotto casa che ce lo impone, per la prevenzione sanitaria va bene, i comportamenti positivi sono anche loro contagiosi, chiudo dicendovi che la sociologia deve prendersi il tempo di analizzare, non siamo medici che devono intervenire subito, penso che oggi tutte le Scienze debbano unirsi per reprimere il fenomeno in corso creando un ampio ventaglio di studio senza iperfocalizzare casi singoli e momentanei, le dico questo perché vivo a Messina, se vivessi a Bergamo probabilmente le risponderei in altro modo.

E io avrei fatto altre domande probabilmente. 

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