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Cronaca

Detenuto morto a Gazzi diciotto anni fa, la Corte Europea riapre l'indagine

Prima etichettato come suicidio, poi come omicidio colposo ma vennero tutti assolti anche in Cassazione. Ora la Cedu si interroga sugli strumenti utilizzati dell'amministrazione carceraria. Storia di una lunga battaglia portatava avanti dai genitori che non si rassegnano

Prima etichettata come suicidio. Poi come omicidio colposo. Ma gli imputati furono tutti assolti anche i Cassazione. Ora si riapre l'indagine grazie alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.

Il caso è quello della morte al carcere di Gazzi del detenuto Antonio Citraro avvenuta il 16 gennaio del 2001.

L'uomo, 31 anni, figlio di un imprenditore messinese e in attesa di giudizio più volte aveva chiesto di essere trasferito dal carcere di Messina per motivi che poi non sono stati approfonditi e la sua morte fu attribuita ad una scelta volontaria, ad un suicidio. Solo le denunce della famiglia hanno consentito al Gup di Messina di disporre il rinvio a giudizio per il direttore del carcere, due agenti di custodia e il sanitario del tempo, con le accuse di favoreggiamento, falso per soppressione, omicidio colposo, abuso dei mezzi di correzione e lesioni personali.

In seguito il Tribunale e la Corte di Appello pronunziarono sentenza di assoluzione per gli imputati e la Cassazione confermò il verdetto.

Ma non si sono arresi i genitori del ragazzo, assistiti dall'avvocato Giovambattista Freni, che hanno presentato ricorso alla Corte Europea per i diritti dell'uomo. Il Giudice ha quindi ora deciso di accertare i sistemi di tutela dei detenuti nelle carceri italiane, e ha formulato dei quesiti. Chiede innanzitutto "se nel carcere di Messina esisteva ed esiste un regolamento relativo al rischio di suicidio in carcere” e anche “il motivo per il quale la cella di Citraro è rimasta priva di illuminazione nei giorni che hanno preceduto il suicidio". La Cedu vuole vederci chiaro anche sulla somministrazione di farmaci ai detenuti  e sui sistemi usati per controllare  Citraro quando si era barricato in cella per protesta.

Una sentenza, quella della Corte Europea che riaccende i riflettori sulle condizioni delle persone ristrette in carcere e sulla necessità di prestare adeguati rimedi, con sostegno psicologico e somministrazione di farmaci, necessari per scongiurare decisioni estrem soprattutto in soggetti che non sono, pe motivi vari, nelle condizioni psicologiche di affrontare la detenzione.

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