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Fiamme nella prigione di Barcellona, Padre Pippo Insana: “E' colpa del regime carcerario”

Nove intossicati il bilancio di tafferugli la cui dinamica è ancora tutta da chiarire. L'ex cappellano della struttura: “Non mi meraviglia per niente, lì non si garantisce la dignità ai detenuti malati”. E chiama in causa Regione e l'Asp

Un incendio nel pomeriggio, le cui dinamiche sono ancora tutte da capire. Non c’è pace la Casa circondariale di Barcellona, ex Opg che ospita comunque ancora tanti detenuti psichiatrici. Il risultato sono otto agenti penitenziari e un infermiere intossicati. A scatenare la miccia, è il caso di dirlo,  tafferugli fra detenuti.

E’ glaciale il commento alla notizia, di padre Pippo Insana (nella foto): “Non mi meraviglia per niente. Lo scritto anche su fb come commento a un sindacato di polizia che parlava di questo incendio. In quella struttura, possono accadere tragedie ogni giorno e da un momento all’altro perché non si garantisce il benchè minimo rispetto per la persona, per la dignità che chiunque merita – anche se ha sbagliato - e senza la quale si diventa feroci”.

Padre Pippo Insana è stato il cappellano dell’Opg di Barcellona per anni. Una figura storica, sempre in prima linea contro la disumanità degli ospedali psichiatrici giudiziari e fondatore della Casa di Solidarietà e Accoglienza, impegnata nel recupero delle persone che vivono il disagio mentale. Da qualche anno è in pensione, da quando la legge 81 ha chiuso gli ospedali pschiatrici, spostando i casi più gravi nelle Rems. 

Ma i detenuti con problemi psichici restano lì, fuoco che cova sotto la cenere, con un’assistenza che padre Insana definisce senza mezzi termini: “Inadeguata”. 

“Io sono in pensione dal 2015 - spiega - ma ogni tanto vado per un paziente in particolare, assegnatomi dalla direzione. Restano comunque presenti tanti volontari dell’associazione che ho fondato. Ma non c’è collaborazione. Non c’è con noi. Figuriamoci con i malati detenuti che hanno bisogno di risposte immediate. Risposte che non arrivano alle loro piccole esigenze, paure e dubbi di tutti i giorni. Si sentono umiliati desiderando perfino una sigaretta, o di fare la telefonata ai parenti, o – magari - vogliono sapere perché la pensione che non gli sta ancora arrivando. Ma anche le risposte non gli arrivano. Ci sono sempre più restrizioni. Ad alcuni è concesso di usufruire di permessi per venire all’associazione ma mentre in passato potevano uscire insieme a noi per prendere, chessò, un gelato al bar, adesso è vietato. In questo clima certo che crescono i suicidi, le risse, le aggressioni”.

Pippo Insana-2

Ma c’è anche un problema di organico. Forse sono pochi... “Per me questo è l’ultimo dei problemi – insiste padre Insana – Il problema numero uno è garantire dignità. E cure. Che non sono solo gli psicofarmaci. E’ il sistema in cui vivono questi detenuti con patologie psichiatrici. Gli operatori della sicurezza stanno in una stanza per conto loro, così come gli operatori della sanità mentre i detenuti sono lasciati completamente soli, senza attività socializzanti. E’ vero, devono pagare una pena perchè hanno sbagliato, ma solo con psicofarmaci e senza riabilitazione non c’è speranza. Lo sanno anche le pietre”.

Padre Insana si prepara ora per un’altra battaglia. Dopo aver portato avanti per anni quella della chiusura degli ospedali pichiatrici, spera nell’aggancio offerto da una recente sentenza della Corte costituzionale, la 99/2019. “E’ una sentenza – racconta - in cui riconosce quanto anticostituzione è questo sistema di detenzione per chi ha patologie psichiatriche e dà la possibilità al Tribunale di Sorveglianza di misure alternative alla detenzione in carcere. Ora occore dare una spinta al governo perché lavori, sulla scia di questa sentenza, ad una normativa più idonea. Nel passato sia l’assessorato regionale alla Sanità, sia il dipartimento di Salute mentale che l’Asp di Messina  e la direzione della Casa circondariale avevano pensato ad un protocollo di intesa per garantire uno stile di vita diverso all’interno del carcere, ma a distanza di anni non hanno fatto niente di concreto. Penso, in ogni caso che se anche l’assessorato alla Sanità risce a formare figure adeguate e a mandare nella struttura, comunque mancherebbe la  collaborazione fra la polizia penitenziaria e gli operatori della sanità. Occorre una legge seria e ponderata che faccia da collante fra sanità e misure di sicurezza. Altrimenti l’incendio di ieri sarà solo l’inizio”.

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