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Traffico illecito di rifiuti metallici, anche Messina nell’operazione della Procura di Torino

La Guardia di Finanza del capoluogo piemontese esegue 33 misure cautelari, oltre 50 perquisizioni: sequestri per oltre 270 milioni di euro

Sono tre le associazioni per delinquere finalizzate al traffico illecito di rifiuti metallici e all’emissione ed utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti su cui sta indagando la Guardia di Finanza di Torino che oggi ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Torino, nei confronti di 33 persone. 

L’inchiesta si è snodata in diverse regioni e anche in provincia di Messina, con oltre 50 perquisizioni nei confronti di persone fisiche e aziende, nonché il sequestro preventivo di 8 società operanti nel settore del commercio di rottami metallici e di beni per oltre 270 milioni di euro, tra cui disponibilità finanziarie, immobili, veicoli e quote societarie.

L’attività scaturisce dal sequestro di denaro contante a carico di 2 soggetti di nazionalità italiana, uno dei quali titolare di una ditta individuale operante nel settore del commercio dei rottam, in occasione di un controllo nel febbraio 2018. 

Le successive indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino coordinata dal p.m. Giuseppe Riccaboni, hanno consentito di acquisire elementi gravemente indizianti grazie ad accertamenti bancari, approfondimento di decine di segnalazioni di operazioni sospette, intercettazioni telefoniche e telematiche, posizionamento di telecamere e di GPS veicolari, acquisizione di videoregistrazioni presso uffici postali. 

Secondo le norme unionali, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso.

Gli indagati avrebbero predisposto documentazione fiscale e amministrativa falsa al solo scopo di “regolarizzare” ingenti quantitativi di rifiuti destinati a società di capitali “utilizzatrici”, con sede in Piemonte e Lombardia. In particolare, sarebbe stata occultata la reale provenienza dei rifiuti (e, pertanto, la corretta tracciabilità della filiera di produzione, di recupero e smaltimento degli stessi), per il tramite di società “filtro” e/o ditte individuali “cartiere” (situate anche in Germania) e con il supporto di una fitta rete di soggetti “prestanome”.

Grazie alla falsa documentazione, secondo le indagini, avrebbero quindi potuto introdurre nel regolare commercio dei rottami ferrosi (c.d. end of waste) rifiuti metallici acquistati in nero e privi dei requisiti di conformità e tracciabilità previsti dalla legislazione europea. La falsa documentazione avrebbe anche consentito agli imprenditori-utilizzatori finali del materiale di dedurre costi “in nero”, configurando pertanto anche reati fiscali.

Nell’ipotesi di accusa, continui e frenetici prelievi di denaro effettuati dai titolari delle “cartiere” presso uffici postali nazionali e intermediari esteri, dove risultava più agevole reperire in breve lasso di tempo il contante, permettevano il rientro dello stesso nella disponibilità delle società “utilizzatrici”, al netto del compenso del 5-8% trattenuto dall’organizzazione. A tal fine, dalle attività di intercettazione è emerso chiaramente il ricorso a un linguaggio criptico e in codice, noto e condiviso tra gli interlocutori.

Ferma restando la presunzione di innocenza fino al compiuto accertamento delle responsabilità, gli esiti delle indagini, nell’ipotesi accusatoria, hanno messo in luce un collaudato, redditizio e tuttora pienamente operativo meccanismo illecito gestito dalle organizzazioni criminali in violazione di norme poste a tutela dell'ambiente e della collettività.

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