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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Commissione per valutare i magistrati al Sud, il giudice Sicuro: “Non ne sentivamo il bisogno, alla giustizia servono riforme”

Il presidente della sezione penale della Corte d’appello di Messina dove in cinque anni sono stati azzerati tutti i procedimenti arretrati, commenta la nomina di esperti che dovranno analizzare l'organizzazione nel meridione. “Non ha senso proporre un conflitto Nord-Sud che non esiste”. La collega Maria Teresa Arena: “Se vogliono trovare best practices, possono venire a cercarle qui”. E su prescrizione e depenalizzazioni...

“Noi magistrati del Mezzogiorno, trattati come sudditi e non come cittadini”.

Sono le dichiarazioni del pm di Catanzaro Alessandro Riello ad aprire le danze delle contestazioni sulla commissione di studio istituita dalle ministre Marta Cartabia  e Mara Carfagna per analizzare l’organizzazione della giustizia al Sud ed elaborare proposte in grado di garantire una maggiore efficacia.

Il dibattito tra i magistrati si è aperto all’indomani del decreto che ha dato vita alla commissione presieduta dal capo dell’Ispettorato di via Arenula, Maria Rosaria Covelli ed è composta da magistrati, avvocati e docenti universitari di altissimo profilo, quasi tutti del meridione.

Da cosa nascono dunque dibattito e contestazioni? Dal fatto che mancano rappresentanti di quegli uffici giudiziari che sono stati in grado, in contesti difficili e territori complessi, di ridurre l’attesa dei procedimenti diventando esempi virtuosi.

Best practices “escluse” dalla commissione quando avrebbero invece potuto dare un contributo fondamentale. Tra queste senza dubbio ci sono quelle della Corte d’Appello di Messina, che in cinque anni è riuscita ad abbattere completamente l’arretrato svettando ai vertici della classifica per durata media in giorni dei procedimenti penali secondo i dati del ministero.

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“Certamente se vogliono trovare best practices, possono venire a cercarle in Corte d’Appello a Messina – spiega a MessinaToday il giudice Maria Teresa Arena (nella foto) – Solo nel 2017 abbiamo esitato 4500 processi. Oggi possiamo dire che lavoriamo solo sul corrente”.

Maria Teresa Arena-3Per Maria Teresa Arena quella della durata dei processi rappresenta l’essenza stessa della parola giustizia. Dal primo giorno del suo ingresso in magistratura. “Quando ti capita come è successo a me di dover guardare negli occhi chi è vittima e dirgli che è arrivata la prescrizione, che è passato troppo tempo - spiega - allora metti tutte le tue energie per evitarlo. E’ una cosa che mi provoca sgomento”.

Una frustrazione che la Corte d’appello di Messina è riuscita a ridurre all’osso. “Se si considerano le mille difficoltà legate anche alla pandemia mi sembra un miracolo, e quando penso alla pandemia non mi riferisco alla necessità di lavorare in smart working perché questo da noi ha solo incrementato il tempo dedicato al lavoro. La necessità di lavorare in Smart working per i cancellieri ha spesso aumentato le ore dedicate al lavoro, per noi magistrati non è cambiato nulla dato che la stragrande maggioranza del nostro lavoro consiste nello studio dei processi e nella stesura delle sentenze, attività che svolgiamo prevalentemente da casa anche nei giorni festivi. Pensi che quando si è parlato di istituire tornelli di accesso all'entrata principale per i magistrati avrei voluto fosse installato a casa mia, un bel tornello che mi impedisse di sedermi e continuare a lavorare”.

Ma i risultati della Corte d’appello di Messina vanno sicuramente al di là della buona volontà del singolo.

“Penso che le best practices siano esclusivamente il frutto della capacità organizzativa di chi gestisce l’ufficio giudiziario – spiega Arena -  io posso essere un eccellente magistrato ma per giungere a questi risultati occorre anche sapere organizzare il lavoro degli altri. E se si lavora in un gruppo che condivide le responsabilità della funzione, allora le probabilità di riuscita sono assicurate”.

Ma come è stato possibile azzerare questa mole di contenzioso?

Il presidente della sezione penale della Corte d’appello di Messina, Alfredo Sicuro, è certamente protagonista del risultato. “In realtà, si deve tutto alla visione strategica del presidente Michele Galluccio e di un programma che si è rivelato vincente – spiega il giudice Sicuro –  Ha indicato gli obiettivi e fornito risorse adeguate per raggiungerli. Oggi, gli esiti del nostro lavoro sono sotto gli occhi di tutti, ma nel 2015 la situazione era insostenibile, con oltre settemila procedimenti pendenti. Erano stati mossi anche dei rilievi per i ritardi accumulati. Quando sono arrivato, ho studiato la situazione e insieme ai colleghi abbiamo individuato soluzioni condivise per riportare la situazione alla normalità. Pensi che nel 2016 avevamo il 49 per cento di prescrizioni e nel 2020 siamo al 4 per cento”.

Con quali scelte “miracolose”?

“Più che miracolose direi dolorose, sia dal punto di vista sia umano che professionale – spiega Sicuro – Intanto, abbiamo cominciato a vedere cosa era già prescritto, o comunque cosa lo sarebbe stato a breve e dunque inutile da trattare, e li abbiamo eliminati. Poi abbiamo assunto una serie di iniziative, selezionando in base al tipo di reato: priorità ai processi con detenuti, poi quelli con maggiore interesse sociale e infine quelli con reati minori. E’ sempre difficile fare queste scelte, dovrebbero essere politiche, non dovrebbero gravare su di noi, perché ogni processo ha storie e ripercussioni nelle vite delle persone e hanno tutti lo stesso diritto di arrivare a sentenza ma la situazione attuale del sistema giustizia non lo permette. Quando cinque anni fa ci siamo messi al lavoro per azzerare i processi prescritti – continua Sicuro -  è stato difficile, soprattutto in alcuni casi particolarmente gravi. Sul piano del principio di diritto può sembrare raccapricciante cancellare un processo, ma non potevamo fare diversamente. Abbiamo solo evitato che accadesse di nuovo”.

Ma la commissione di studio istituita dalle ministre Cartabia e Carfagna può aiutare a trovare soluzioni condivise che siano di stimolo e aiuto per superare queste difficoltà?

“Personalmente non credo nelle commissioni, proiettare una pratica e venderla come risolutiva a livello nazionale, è complicato anche solo da immaginare. La programmazione del lavoro è l’unica cosa che si può fare dappertutto e che può davvero funzionare, perché i problemi degli uffici giudiziari sono difficilmente uguali. Si può avere lo stesso numero di contenzioni e personale ma nella gestione incidono altri elementi del territorio che ha le proprie specificità in termini di reati. L’idea che una pratica che funziona Milano possa funzionare anche a Reggio Calabria, è tutta da vedere. L’apparato logistico influisce, le stesse soluzioni sono diverse anche tra Messina e la dirimpettaia Reggio”.

Ma c’è anche una questione meridionale della Giustizia?  Perché una commissione per analizzare l’organizzazione dei Palazzi di giustizia nel Mezzogiorno?

“Anche per questo secondo me l’idea della commissione è sbagliata, è suggestiva, ma non ha senso proporre un conflitto Nord-Sud che non esiste. Oltre la Corte d’Appello di Messina, ci sono anche altre realtà in Sicilia che lavorano in maniera egregia, penso a Caltanissetta ad esempio, ma anche altre. Probabilmente Milano ha molti più procedimenti di Reggio Calabria in assoluto, ma molti meno di criminalità organizzata con detenuti sia in assoluto che in percentuale. Per questo, al di là delle carenze di organico (che a Milano sono molto minori) e di tutte le altre situazioni specifiche, quel che va bene in un posto, può non servire in un altro. Quello che occorre, invece, è riformare, riformare, riformare”.

Con quali priorità? 

“Depenalizzare i reati minori è la strada sicuramente da seguire. Poi, non ho difficoltà ad affermare come ho già fatto di recente ad un convegno, che la riforma ultima di Bonafede è davvero una follia. Bloccare solo la prescrizione, dopo la sentenza del primo grado, non porta da nessuna parte se non si riorganizza. E’ ipocrita pensare di non prescrivere quando poi si può lasciare marcire un fascicolo negli armadi per decenni come accade nel civile perché davvero non c’è il tempo di trattarlo. Togliere la prescrizione senza rimuovere le cause che ostacolano il lavoro dei giudici, significa condannare ulteriormente le vittime ma anche gli imputati.  Perché se è vero che fino al terzo grado c’è la presunzione di innocenza, è anche vero che l’apertura di un processo penale – soprattutto se il fatto è reso pubblico nel circuito mediatico – espone a un pregiudizio di colpevolezza che può avere gravi ripercussioni sulla reputazione, sulle relazioni personali, nell’attività economica e vari altri aspetti della vita della persona. Occorre dunque depenalizzare dove è possibile, riformare, riscrivere le regole del nostro sistema giudiziario che non può prevedere le stesse garanzie per tutti. L’80 per cento del nostro contenzioso è fatto di reati minori. E va da se che il tempo di un giudice non può essere impegnato nella stessa maniera per chi guida in stato di ebbrezza rispetto a chi ha ucciso. Naturalmente – conclude Sicuro -  il problema non è tanto il tempo da impiegare, quanto il livello di garanzie, ovviamente molto maggiore per un reato piuttosto che per un illecito amministrativo, che è quello che rende complicato e lungo il processo”.

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