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Cronaca

Guardia giurata morta in sala d'attesa al Papardo, assolto il medico

Santamaria morì nel 2012 a soli 40 anni invocando aiuto per i forti dolori almeno mezz'ora. Pene ridotte per due infermieri. Restano le statuizioni civili a carico dei condannati e del responsabile civile, l'ospedale Papardo, a favore dei familiari

Medico assolto e condanne ridotte per due infermiere.

Si è concluso così in appello il processo per la morte di Daniele Santamaria, guardia giurata deceduta a soli 40 anni,  il 21 aprile 2012, nella sala d’aspetto dell’ospedale Papardo di Messina invocando aiuto per i forti dolori.

Il collegio della sezione penale della Corte d'appello, presieduto dal giudice Maria Celi, ha assolto il medico Corrado La Manna «perché il fatto non costituisce reato», difeso dall’avvocato Giovanni Caroè e  ridotto per i due infermieri le condanne, un anno e 6 mesi per Marco Costa, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenute equivalenti per un'aggravante contestata e,  6 mesi per Tindaro Impalà, assistiti entrambi dall’avvocato Maristella Bossa.

Sono rimaste integre, a carico dei due condannati e del responsabile civile, l'ospedale Papardo, le statuizioni civili a favore dei familiari che si sono costuituiti parte civile rappresentati dagli avvocati Enrico Basile e Diego Foti.

Santamaria, accusava forti dolori al braccio sinistro ed alla spalla e, secondo quanto indicato nella denuncia dai familiari, “spiegò ai responsabili del servizio di ricezione che si sentiva male e che i dolori aumentavano e che aveva urgente bisogno di un medico. Per tutta risposta sarebbe stato invitato solo ad attendere. Dopo mezz'ora d’inutile attesa il quarantenne si accasciò a terra e morì al pronto soccorso, senza essere visitato da nessun medico.

In primo grado, nell'aprile del 2018, il collegio giudicante del Tribunale di Messina condannò a 3 anni e due mesi, Corrado La Manna e Marco Costa, e ad 8 mesi (pena sospesa) Tindaro Impalà, accusati a vario titolo di falso aggravato in atto pubblico, favoreggiamento e omissione di atti di ufficio. L'infermiere Impalà, era accusato solo di favoreggiamento. Il pm aveva chiesto l’assoluzione del medico e dei due infermieri.  Impalà, La Manna e Costa erano stati inizialmente prosciolti, nel 2013, in udienza preliminare, ma nel 2014 la Corte di Cassazione ha annullato la decisione e si è arrivati al processo con una nuova contestazione mossa dalla procura, quella di omissione di atti d'ufficio perché secondo gli inquirenti “le falsità, già contestate agli imputati, sarebbero state strumentali a nascondere le omissioni di attività terapeutiche a beneficio del paziente”.

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