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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Disastro ambientale, molte condanne cancellate ma il danno rimane: le motivazioni della sentenza Palumbo

La cantieristica navale ieri e oggi mentre ci si interroga sui tempi della bonifica non solo nella zona Falcata ma anche a Mili dove Forestale e Arpa hanno già documentato lo scempio. L'avvocato del Wwf, Aurora Notarianni: "In questo tipo di processi ottenere una sentenza in tempi ragionevoli è fondamentale per rendere effettive le misure di ripristino dello stato dei luoghi"

Da una parte una delle aree più belle della città che da decenni aspetta di rinascere e di essere bonificata, dall’altra le imprese che gran parte di quell’area ce l’hanno in concessione da decenni in cambio di una manciata di posti di lavoro.

Sono lontani gli anni d’oro della Messina illuminata, quando Leopoldo Rodriquez costruiva il primo aliscafo realizzando il sogno di volare sulle acque dello stretto e verso le isole. Era il 1956. Oggi non esiste quasi più niente, neanche lo scheletro della Sea Flight a Capo Peloro.

C'era una volta la cantieristica navale

Esiste invece la zona Falcata che grida vendetta e racconta una storia di opportunità mancate. In particolare per la cantieristica navale, una perdita immensa “coltivata” nel corso degli ultimi trent’anni.

Dieci ne sono passati da quando si gridava allo scippo dei Cantieri Navali Rodriquez. Allora, l’allarme, venne liquidato come eccessivo. Invece era una morte annunciata. I sindacati chiedevano di chiarire le ragioni che spingevano a investire in altri cantieri le maxi commesse lasciando a Messina lacrime e desertificazione.

E oggi? Oggi per dirla con Ivan Tripodi, segretario della Uil, è un de profundis: la cantieristica ha numeri assolutamente marginali: “Palumbo occupa 30/40 dipendenti rispetto ai 400 di una decina di anni fa e a Intermarine sarebbero una settantina contro i 400 di una volta”.

Concessioni con proroga

Tutto questo mentre la società Intermarine ha una concessione dell’area sino al 2028 e i Cantieri Palumbo fino al 2027. Concessioni che – fa sapere il dirigente dell’Area demanio dell’Autorità portuale, Giuseppe Lembo - sono destinate a slittare di due anni per le misure a sostegno dei disagi subiti per l’emergenza Covid. Così come prevede la legge.

Ma c’è qualcosa che sfugge: non si capisce l’interesse della città e l’obiettivo di una concessione così lunga per una attività produttiva limitata che occupa un centinaio posti di lavoro a fronte degli impegni presi quando si sono insediati.

Le motivazioni della sentenza Palumbo

Ma è la cronaca giudiziaria che narra come si è “trasformata” la cantieristica.

La Corte di Appello di Messina ha infatti depositato le motivazioni della sentenza “Palumbo” che, tra prescrizioni e assoluzioni, ribalta le condanne per associazione a delinquere e traffico illecito di rifiuti che nel 2019, in primo grado, aveva registrato invece una serie di condanne per il disastro ambientale nelle colline a sud della città.

Dell’impianto accusatorio resta poco: cade il reato associativo nonostante la Corte stessa riconosca nella motivazioni della sentenza che “i fratelli Palumbo avevano elaborato un sistema consolidato e bene articolato per smaltire illecitamente, a costi estremamente ridotti, i rifiuti prodotti nell’attività di cantiere del porto di Messina”.

Rifiuti tossici dai cantieri Palumbo alle colline di Messina, assoluzioni e prescrizioni in appello

“A tal fine – si legge nelle motivazioni - si erano serviti di soggetti che acquistavano fittiziamente, per proprio conto, il grit da reimpiegare nel cantiere (primi fra tutti la Petrol lavori Srl e la Petrol lavori sud Srl), di operai che provvedevano alla miscelazione del grit esausto con materiale di scarto edile (soprattutto gli operato della Stabia Yaching e Coating srl), e di soggetti che, previa compilazione di formulari che falsificavano la composizione del materiale, provvedevano al trasporto e all’occultamento illecito dei rifiuti ottenuti con la miscelazione. Non può dunque dubitarsi dell’esistenza di una struttura organizzata, ben articolata e destinata ad operare con continuità in un ampio arco temporale, all’interno della quale i diversi sodali ricoprivano un ruolo specifico”.

La storia

Era febbraio del 2011 quando gli ispettori della Forestale, durante un servizio di perlustrazione nel villaggio di Mili San Marco, scoprirono rifiuti speciali provenienti dagli scarti di lavorazione dei bacini dei cantieri navali.  Rifiuti, in particolare grit esausto frutto dell’attività di sabbiatura, che dovevano essere smaltiti nelle discariche appositamente autorizzate a trattarli e che invece sono finiti nei boschi attorno alla città di Messina. I primi esami dei campioni prelevati, affidati alla Agenzia regionale protezione ambientale (Arpa), avevano consentito di accertare che si trattava di materiale ferroso e acciaioso ridotto a particelle minuscole. I servizi di appostamento e di pedinamento di alcuni camion hanno invece consentito di arrivare al luogo da cui il materiale proveniva: i cantieri navali della zona Falcata della città gestiti dallʼazienda del napoletano Antonio Palumbo.

Il processo

Ed è sulla corrispondenza tra il materiale rinvenuto a Mili e quello prodotto dai cantieri Palumbo dalle ditte appaltatrici, che in appello si è giocata la partita dei legali, che hanno cercato di evidenziare che nessuna comparazione era stata fatta tra i materiali rinvenuti e che, comunque, l’esistenza di un contratto di sub-appalto dei lavori di sabbiatura, stipulato prima con la Petrol Lavori e poi con Stabia Yachting, liberava la Palumbo spa della qualifica di “produttore del rifiuto”.

In più: si è cercato di dimostrare l’arbitrarietà della valutazione del grit esausto quale rifiuto pericoloso e l’impossibilità  di configurare un “evento distruttivo di proporzioni straordinarie”, tale da provocare un pericolo per la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.

Il disastro ambientale "prescritto"

Una tesi che la Corte d’appello non ha accolto, ma la condanna per disastro ambientale è stata annullata per prescrizione del reato. Il colpo di spugna su alcune condanne non cancella però anche l’enorme discarica non autorizzata di rifiuti speciali a Mili, 6975 metri quadrati contaminati come documenta la Forestale.

Oggi, mentre per l’inquinamento nella zona falcata è aperta l’interlocuzione con la Regione, l’area di Mili – che non ricade nelle competenze dell’Adsp - inquinata dai rifiuti pericolosi provenienti dei Cantieri Palumbo è nell’oblio. Non è stato eseguito nessun intervento di bonifica dopo che sono stati discaricati nel terreno ingenti quantità (kg 2253000,00 circa) di rifiuti speciali, anche pericolosi, parte dei quali interrati anche in area attigua a torrenti (nella foto in basso). Chi lo dovrà fare? Il proprietario del terreno? La società Palumbo? Insomma, cosa rimane della cantieristica a Messina, solo rifiuti?

La bonifica che verrà...

“Non so descrivere il senso di impotenza e l’amarezza – è lo sfogo dell’avvocata Aurora Notarianni che ha difeso il Wwf - Nei processi per reati ambientali, ottenere una sentenza in tempi ragionevoli è fondamentale per rendere effettive le misure di ripristino dello stato dei luoghi. La condanna al risarcimento del danno in separato giudizio rende oltremodo difficile per il Wwf, ma anche per il Comune di Messina che è parte civile, la possibilità di ottenere quanto necessario per la bonifica del sito inquinato e così non resta che contemplare macerie e non solo ai rifiuti”.

“La prescrizione non significa che i soggetti non siano responsabili, quindi sia Comune che Wwf potranno adoperarsi comunque per ottenere il risarcimento” spiega Fortunata Grasso, avvocato del Comune, a MessinaToday. “Occorrerà avviare in sede civile un nuovo procedimento per ottenerlo e accertare in quella sede le responsabilità”.

Nel frattempo rischiano di passare altri dieci anni. Se tutto va bene.

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