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Cronaca Barcellona Pozzo di Gotto

Arresti eccellenti ed estorsioni troppo pericolose, mafia barcellonese costretta a violare i principi puntando sulla droga

L'operazione "Dinastia" ha svelato il nuovo business della criminalità messinese. Saltati gli antichi accordi che vietavano il commercio di stupefacenti nel territorio. Il nuovo business gestito dai figli dei boss. Di Giorgio: "Svolta storica"

Puntare sulle estorsioni era diventato pericoloso e poco redditizio per la mafia barcellonese, da qui la decisione di virare sulla gestione del narcotraffico nella provincia tirrenica di Messina, isole Eolie comprese.

L'operazione dei carabinieri denominata "Dinastia", in seguito alla quale sono state arrestate 59 persone, ha svelato i nuovi interessi del clan del Longano, tra i più sanguinari della Sicilia ed in stretto legame con le famiglie palermitane e catanesi di cosa nostra. 

Una maxi operazione che ha visto coinvolti circa 400 militati tra Ros, unità cinofila, elicotteristi e cacciatori. 

I nomi degli arrestati

Un grande lavoro, scaturito da diversi filoni di indagine della Direzione Distrettuale Antimafia, ha fatto luce su un ulteriore sviluppo della famiglia mafiosa barcellonese, avvenuto anche in seguito ai pesanti colpi inflitti dagli inquirenti con le inchieste come Mare Nostrum, Icaro e Gotha che ne hanno decimato le fila con l’arresto e la condanna di capi storici e gregari, documentandone la struttura associativa, il modus operandi e gli efferati delitti commessi.

Dalle estorsioni al traffico di droga gestito via social

Dal 2013 i barcellonesi hanno tentato di risorgere. Il nuovo corso è stato dettato durante un summit che ha visto riuniti i più autorevoli rappresentanti della consorteria ancora in libertà, tra cui  Francesco Aliberti, Lorenzo Mazzù , Domenico Chiofalo e Aurelio Micale. Il nuovo obiettivo era mettere le mani sul controllo del traffico delle sostanze stupefacenti, allo scopo di integrare gli introiti dell’attività estorsiva che in quel periodo si era rivelata particolarmente rischiosa e non più remunerativa come in passato.

I proventi del traffico di stupefacenti erano destinati anche al sostentamento degli affiliati al clan detenuti e delle loro famiglie.

Sette anni fa è stato scritto il punto finale ad un'attività estorsiva che, come appurato dalle indagini, in vent'anni ha messo in ginocchio strutture ricettive, discoteche, concessionarie d'auto e agenzie funebri che sorgevano nel litorale tirrenico. Ma nel mirino del clan erano finiti anche due vincitori alla slot machine che, una volta incassato il denaro (500mila euro), sono stati costretti a cedere l'1% . 

Poi l'attenzione si è spostata alla droga, gestita anche tramite Facebook per aggirare i controlli. Un mercato più redditizio specialmente durante la stagione estiva così come sottolineato dal procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Messina, Maurizio De Lucia.

E il potere dei soldi ha messo da parte anche l'antico principio che vedeva i barcellonesi contrari al traffico di stupefacenti. "Si tratta di una svolta storica per la mafia messinese - ha spiegato il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio - la famiglia dei barcellonesi ha sempre vietato il commercio di droga nel proprio territorio, commettendo spesso omicidi per punire chi lo effettuava senza alcuna autorizzazione. Ma dopo gli arresti degli ultimi anni, l'organizzazione è stata costretta a cercare un nuovo business".

I figli dei boss nuovi capi dell'organizzazione

Figure di vertice in questo nuovo assetto erano i figli dei boss storici detenuti ormai da anni. Si tratta di Nunzio Di Salvo, figlio di “Sam” Di Salvo, Vincenzo Gullotti figlio del capo della famiglia mafiosa barcellonese Giuseppe Gullotti e Cristian Barresi,  figlio di Eugenio e nipote del defunto boss Filippo Barresi. 

A loro il compito di gestire il traffico di stupefacenti ed in particolare di cocaina, hashish e marijuana. Il tutto avveniva secondo metodo mafioso, utile a regolare le controversie connesse con le narco transazioni e i rapporti con altri gruppi criminali calabresi e catanesi fornitori delle ingenti partite di stupefacenti che venivano poi distribuite nell’area tirrenica della provincia di Messina. Una rete formata anche da gruppi minori, autorizzati a spacciare sul territorio a Milazzo, Terme Vigliatore e a Lipari e loro volta vittime di estorsioni.

Il ponte tra la Sicilia orientale e la locride

I terminali del traffico gestito dai barcellonesi si estendavano tra le province di Messina, Catania e Reggio Calabria.  A Lipari sono stati individuati due distinti gruppi criminali facenti capo, l’uno a Simone Mirabito e l’altro ad Andrea Villini e  Antonino Iacono, che agivano in regime di duopolio servendo la clientela dell’isola con ogni tipo di stupefacente parte del quale veniva acquisito tramite la famiglia mafiosa barcellonese.

A Terme Vigliatore è stata accertata l’operatività di un gruppo organizzato dedito stabilmente allo spaccio di sostanze stupefacenti, cocaina e marijuana, con a capo Pietro Caliri che utilizzava come base logistica, il bar “Il Ritrovo", oggetto di decreto di sequestro preventivo. Quanto a Milazzo, le indagini hanno portato all’individuazione di un gruppo organizzato dedito allo spaccio di stupefacenti, collegato al gruppo dei barcellonesi con i quali condivideva i canali di approvvigionamento dello stupefacente, composto da Francesco Doddo , Giovanni Fiore, Francesco Anania, Gjergj Precj e  Sebastiano Puliafito. 

Attivi anche canali di approvvigionamento dello stupefacente proveniente dall’area della locride, del catanese nonché dal capoluogo peloritano, attraverso i contatti con soggetti riconducibili a contesti di criminalità organizzata. In particolare, uno dei principali canali di approvvigionamento di narcotico del sodalizio barcellonese era quello calabrese facente capo a Giuseppe Scaliache provvedeva a consegnare la droga ai corrieri barcellonesi e milazzesi che si organizzavano per prelevarla solitamente in Calabria attraverso lo stratagemma del noleggio di autovetture di comodo o utilizzando degli scooter o talvolta, per eludere i controlli stradali di polizia, attraversando lo Stretto senza mezzi di trasporto per poi fare rientro a Messina con zaini o borsoni carichi di droga.

A Catania, ad interagire con i barcellonesi e con il gruppo dei milazzesi era Salvatore Laudani collegato alla criminalità mafiosa catanese poiché dalle risultanze investigative in contatto diretto con esponenti dell’associazioni mafiosa Pillera-Puntina e del clan “Mazzei”, in grado di assicurare forniture di marjuana di circa otto chili per consegna. Nel medesimo contesto è stato accertato inoltre che il gruppo di Fondaconuovo si approvvigionava ad Adrano daVincenzo Rosano, detto lo Zio Vincenzo.

Infine i barcellonesi si rifornivano a Messina da TURIANO Francesco appartenenti al Clan di Mangialupi, il quale per un certo periodo, con il concorso di altri esponenti del suo gruppo, aveva consegnato ingenti quantitativi di stupefacenti prima ai fratelli Mazzù e poi al gruppo di Alessio Alesci

Il ruolo dei collaboratori di giustizia

Parte del materiale probatorio acquisito si basa sul riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia  Carmelo D'Amico e Francesco, Munafò Franco, Bernardo Mendolia, Aurelio Micale e Alessio Alesci, tutti organicamente inseriti nel sodalizio mafioso barcellonese ed attualmente detenuti in quanto destinatari dei provvedimenti cautelari scaturiti dalle attività investigative denominate “Pozzo” e “Gotha” del Ros.

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